Mosaico di volti umani diversi provenienti da tutto il mondo, che rappresentano la diversità culturale e religiosa globale, fotografia stile reportage, obiettivo 50mm prime lens, colori naturali, espressioni pensierose e variegate, profondità di campo media.

Chi Crede in Dio nel Mondo? La Mappa Inaspettata della Fede (e Non-Fede) tra 22 Paesi

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che tocca le corde profonde dell’esperienza umana: la fede. O meglio, la credenza in Dio, negli dèi, o in forze spirituali. Mi sono imbattuto in uno studio affascinante, un’analisi che ha coinvolto oltre 200.000 persone in ben 22 paesi diversi, e i risultati, ve lo dico subito, sono sorprendenti e fanno riflettere parecchio.

Siamo abituati a pensare alla religione in termini di grandi blocchi (cristianesimo, islam, induismo…), ma quanto sappiamo davvero di come la credenza nel trascendente varia all’interno di queste etichette e, soprattutto, come cambia da paese a paese e tra diversi gruppi demografici? La maggior parte delle ricerche, finora, si è concentrata sul mondo occidentale. Questo studio, invece, apre una finestra molto più ampia sul pianeta.

L’obiettivo era proprio questo: capire le proporzioni di chi crede (in un Dio unico, in più dèi, in forze spirituali impersonali) e chi non crede (o è incerto) in giro per il mondo, mettendo in relazione queste posizioni con fattori come età, genere, stato civile, lavoro, istruzione, frequenza religiosa e status di immigrato. Pronti a fare questo viaggio insieme?

Un Viaggio Attraverso la Fede nel Mondo: Sorprese dietro l’Angolo

La prima cosa che salta all’occhio è la varietà incredibile. Non stiamo parlando di piccole sfumature, ma di differenze abissali. Pensate: si va da un paese come il Giappone, dove solo il 20% dichiara una qualche forma di credenza nel trascendente, all’Egitto, dove la percentuale raggiunge praticamente il 100%!

Quasi la metà dei paesi analizzati (10 su 22) supera il 90% di credenti. Tra questi, ben cinque si trovano in Africa (Egitto, Kenya, Nigeria, Sudafrica, Tanzania). Questo dato fa pensare a come le condizioni di vita, magari una maggiore “insicurezza esistenziale” (legata a mortalità, povertà, sicurezza), possano rendere la religione una risorsa importante per il benessere e la coesione sociale. In contesti simili, l’ateismo o l’agnosticismo possono essere socialmente meno accettati, se non addirittura ostacolati. Anche l’Indonesia, paese a maggioranza musulmana, registra un altissimo 97%.

Dall’altra parte della barricata, troviamo paesi come l’Australia (54%), il Regno Unito (54%), la Svezia (44%) e, appunto, il Giappone (20%). Qui, la prosperità economica e sociale prolungata sembra andare di pari passo con un calo dell’attaccamento religioso. Le spiegazioni sono tante e complesse: l’ascesa della scienza e di una visione del mondo più materialista, ma anche il semplice fatto che un maggior benessere materiale riduce il bisogno percepito di supporto sociale e consolazione spirituale offerti dalla religione. È un fenomeno storico enorme, su cui si dibatte tantissimo.

Mappa del mondo stilizzata con diverse sfumature di colore che rappresentano l'intensità della credenza religiosa nei vari paesi, obiettivo grandangolare 15mm, messa a fuoco nitida, colori vibranti ma realistici, alta definizione.

Chi Crede di Più? L’Identikit del Credente (Globale)

Se proviamo a fare una media globale, emergono alcune tendenze demografiche interessanti, in linea con studi precedenti:

  • Età: La credenza tende ad essere più alta tra le persone più anziane (specialmente sopra i 70 anni, con un picco del 98%).
  • Genere: Le donne (90%) tendono a dichiararsi credenti più degli uomini. Questo potrebbe legarsi a differenze cognitive (le donne eccellono nel “mentalizing”, la capacità di percepire altre menti, utile per immaginare agenti soprannaturali) o a una diversa propensione al rischio (l’ateismo visto come una “scommessa” più rischiosa, alla Pascal).
  • Stato Civile: I vedovi e i coniugati (92%) mostrano tassi di credenza più alti rispetto ai single o divorziati. La religione spesso enfatizza il matrimonio e la famiglia.
  • Occupazione: Casalinghe e pensionati (92%) mostrano livelli di credenza leggermente superiori.
  • Frequenza Religiosa: Curiosamente, anche chi frequenta poco i servizi religiosi (meno di una volta a settimana) mostra altissimi livelli di credenza (98%) nel quadro globale, suggerendo che la credenza personale è più diffusa della pratica assidua.
  • Istruzione: La credenza è leggermente più alta tra chi ha livelli di istruzione più bassi (91% fino a 8 anni di istruzione contro 89% con 16+ anni). L’istruzione secolare può talvolta entrare in conflitto con certe credenze religiose.
  • Immigrazione: Gli immigrati (92%) tendono globalmente ad essere più religiosi rispetto alla popolazione nativa dei paesi ospitanti. La fede può essere un meccanismo di coping e un modo per mantenere un legame con la propria cultura o integrarsi.

Questi sono, diciamo, i trend generali emersi mettendo insieme i dati di tutti i 22 paesi. Ma, come vedremo subito, la realtà è molto più sfumata.

Ma Attenzione! Non è Tutto Bianco o Nero

Il bello (e il complicato) di questo studio è che, andando a vedere i dati paese per paese, quelle tendenze globali a volte si confermano, a volte si indeboliscono, a volte si ribaltano completamente! La specificità culturale e nazionale è fondamentale.

Facciamo qualche esempio:

* Età: Non è vero ovunque che i più anziani credono di più. In Brasile, Kenya e Tanzania, i giovani sono credenti tanto quanto gli anziani. A Hong Kong e in Indonesia, i giovani lo sono addirittura di più! In Svezia c’è una curva a U: credono di più giovani e anziani rispetto alla mezza età. In Giappone, invece, la non-credenza è costante tra le età.
* Genere: Sì, le donne credono mediamente di più, ma il divario è più marcato in paesi come Argentina, Polonia e Stati Uniti (dove forse esprimere ateismo è meno problematico) e quasi nullo in paesi ad altissima religiosità.
* Stato Civile: I coniugati credono di più quasi ovunque. Ma tra i vedovi/e ci sono sorprese: in Polonia o USA credono più dei coniugati, in India meno. C’è ancora molto da capire sull’esperienza religiosa di chi perde il partner.
* Istruzione: Il legame “meno istruzione = più fede” salta in paesi molto religiosi come Egitto o Tanzania (nessuna differenza) o Nigeria e Kenya (differenze non significative). Forse dove la fede è la norma sociale, l’istruzione incide meno, o forse la pressione a dichiararsi credenti è più forte.
* Frequenza Religiosa: In paesi come Brasile, Indonesia, Kenya, Nigeria, dove la credenza è altissima, anche chi va poco o mai in chiesa si dichiara credente quasi quanto chi ci va sempre. La frequenza non misura tutto, specialmente dove la fede è quasi scontata.
* Immigrazione: L’idea che gli immigrati siano più religiosi vale per alcuni paesi europei (Germania, Spagna, Svezia, UK), ma non per altri con forte immigrazione come Israele, Messico, Sudafrica o USA, dove sono i nativi a dichiararsi più credenti.

Ritratto di gruppo diversificato di persone di età, genere ed etnie differenti che discutono amichevolmente in un ambiente informale, obiettivo 35mm, profondità di campo ridotta per sfocare leggermente lo sfondo, luce naturale morbida da finestra laterale, stile documentaristico.

Uno Sguardo più da Vicino: Affiliazione Religiosa e Credenze

Lo studio ha anche guardato alle differenze tra affiliazioni religiose, dove possibile. Nei paesi molto religiosi, spesso non ci sono grandi differenze (credono quasi tutti, indipendentemente dall’etichetta). Ma in paesi più secolarizzati, emergono pattern interessanti.

In Europa (Spagna, Germania, UK), ad esempio, i musulmani tendono a mostrare livelli di credenza in Dio più alti rispetto ai cristiani. Questo potrebbe riflettere una maggiore resistenza dell’Islam alla secolarizzazione o un maggiore attaccamento alle pratiche e ai valori religiosi anche in contesti meno tradizionali.

Il caso del Giappone è emblematico della complessità. Qui, tra chi si dichiara affiliato a una religione, i cristiani (pochi, ma presenti) mostrano il tasso di credenza più alto (77%), seguiti dagli shintoisti (47%) e dai buddisti (25%). Questo riflette probabilmente il diverso focus sulla credenza in un Dio personale tra queste tradizioni, ma anche eventi storici traumatici che hanno colpito buddismo e shintoismo nei secoli scorsi, indebolendone forse l’appeal o modificandone la natura.

Fotografia macro di diversi simboli religiosi (croce cristiana, mezzaluna islamica, stella di David ebraica, simbolo Om induista, ruota del Dharma buddista) disposti con cura su una superficie di legno antico, obiettivo macro 90mm, illuminazione laterale morbida per creare ombre delicate, alta definizione e dettagli nitidi.

Cosa Ci Dice Davvero Questo Studio (e Cosa No)

Questo studio è una miniera d’oro di dati, grazie al campione enorme e alla diversità dei paesi inclusi. Ci offre una fotografia aggiornata e dettagliata della distribuzione della credenza nel mondo.

Però, come ogni ricerca, ha i suoi limiti. La domanda sulla credenza raggruppava diverse opzioni (un Dio, più dèi, forza spirituale) in un’unica categoria “credenza”, e poi l’ha contrapposta a “non credenza/incerto”. Questo semplifica l’analisi ma perde sfumature importanti: chi crede in una forza impersonale è diverso da chi crede in un Dio personale. E tra i “non credenti” ci sono atei convinti, agnostici, persone semplicemente disinteressate. Misurare la fede come “sì/no” invece che su una scala di intensità potrebbe anche appiattire le differenze, specialmente in paesi come l’Egitto. Infine, le traduzioni e le interpretazioni culturali delle domande possono sempre influenzare le risposte.

È fondamentale ricordare che questi sono dati descrittivi: ci dicono “chi” crede di più o di meno in certi gruppi o paesi, ma non spiegano il “perché” in termini di causa-effetto.

Nonostante ciò, i risultati sono preziosi. Ci mostrano un panorama della fede molto più variegato e complesso di quanto spesso immaginiamo. Ci ricordano che la credenza (o la non credenza) è influenzata da un mix intricato di fattori personali, sociali, culturali, economici e storici. E la buona notizia è che questo studio è solo all’inizio: seguiranno altre ondate di raccolta dati negli anni futuri, che ci permetteranno di vedere come queste credenze cambiano nel tempo.

Insomma, la domanda “chi crede in Dio?” non ha una risposta semplice. È un mosaico affascinante, in continua evoluzione, che riflette la straordinaria diversità dell’avventura umana su questo pianeta.

Fonte: Springer

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