Immagine fotorealistica, obiettivo grandangolare 24mm, che mostra un cantiere edile sostenibile con blocchi geopolimerici realizzati in tufo vulcanico e scorie d'altoforno, con operai che applicano la malta, messa a fuoco nitida.

Tufo Vulcanico e Scorie d’Altoforno: La Ricetta Segreta per Malte Geopolimeriche Pazzesche?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi appassiona da matti: come rendere l’edilizia più “verde” usando materiali innovativi. Nello specifico, ci tufferemo nel mondo affascinante delle malte geopolimeriche, un’alternativa super promettente al classico cemento Portland che, diciamocelo, ha un impatto ambientale non da poco (ciao ciao emissioni di CO2!).

Questi materiali, chiamati anche AAM (Alkali-Activated Materials), nascono attivando chimicamente precursori ricchi di allumina e silicati – pensate a materiali naturali come il tufo vulcanico (VT) o sottoprodotti industriali come le scorie d’altoforno (BFS) – con soluzioni alcaline belle forti. Il risultato? Un gel che indurisce e crea matrici resistenti, a volte anche più del cemento tradizionale, e tutto questo a temperature relativamente basse (25-100 °C). Immaginate il risparmio energetico!

Il Problema: Precursori Variabili e la Sfida del Tufo

Ok, sembra tutto bellissimo, ma c’è un “ma”. Trovare precursori industriali come le ceneri volanti (FA) o le scorie d’altoforno (BFS) con composizione costante e in quantità enormi non è facile. La produzione mondiale di cemento supera i 4 miliardi di tonnellate l’anno, mentre quella di FA e BFS è molto inferiore. Ecco perché la ricerca si sta spostando anche su materiali naturali abbondanti, come il nostro amico tufo vulcanico. Ce n’è tantissimo in molte parti del mondo, specialmente nelle aree tropicali (e anche qui in Algeria, da dove provengono i materiali del nostro studio!).

Il tufo ha un potenziale enorme, richiede meno energia per essere processato rispetto al cemento e a volte non serve nemmeno cuocerlo ad alte temperature. Però, ha un piccolo difetto: a volte è un po’ “pigro” a reagire e a indurire, specialmente a temperatura ambiente. Alcuni studi hanno mostrato che scaldandolo si migliora la resistenza iniziale, ma magari non quella a lungo termine. E qui entra in gioco la nostra idea…

L’Idea: Unire le Forze di Tufo e Scorie!

E se provassimo a dare una “svegliata” al tufo vulcanico aggiungendo un po’ di scorie d’altoforno (BFS)? Le scorie sono note per essere più reattive, specialmente grazie al loro contenuto di calcio (CaO). L’ipotesi è che mescolando i due materiali si possano ottenere malte geopolimeriche con proprietà migliori, combinando l’abbondanza del tufo con la reattività delle scorie.

Pochi studi hanno esplorato questa combinazione VT/BFS, quindi ci siamo messi al lavoro! Abbiamo preso del tufo vulcanico algerino (dalla cava di Chetaibi, Annaba) e delle scorie d’altoforno locali (dalla SIDER ELHADJAR Spa, sempre ad Annaba), li abbiamo macinati finemente (sotto gli 80 μm, per renderli più reattivi) e abbiamo preparato delle malte geopolimeriche. Abbiamo sostituito percentuali crescenti di tufo con le scorie (dal 10% al 30%) e abbiamo usato una soluzione alcalina standard (idrossido di sodio e silicato di sodio). Poi abbiamo fatto indurire i campioni sia a temperatura ambiente che a 80 °C per 48 ore, per vedere come cambiavano le cose.

Risultati Sorprendenti: Tempo di Presa e Lavorabilità

La prima cosa che abbiamo notato è stata il tempo di presa. Ragazzi, la malta fatta solo con tufo vulcanico ci metteva un’eternità a indurire, più di 48 ore! Impraticabile per molti usi. Ma è bastato sostituire il 10% del tufo con le scorie (BFS) per ridurre il tempo di presa iniziale a circa 435 minuti (poco più di 7 ore). Aumentando le scorie al 30%, il tempo si riduceva ancora di un buon 33-34%! Questo è fantastico perché significa poter usare queste malte per lavori più rapidi, riparazioni urgenti o costruzioni in climi freddi. La “colpa” di questa accelerazione? Il calcio (CaO) nelle scorie, che reagisce più in fretta e promuove la formazione di gel resistenti (C-S-H e C-A-S-H).

E la lavorabilità? Anche qui, le scorie hanno fatto miracoli. La malta diventava molto più fluida e facile da mettere in opera. Misurando il tempo di scorrimento con un apposito strumento (maniabilimetro), abbiamo visto che sostituendo il 10% di tufo con scorie, il tempo crollava da quasi 49 secondi a circa 15 secondi. Con il 30% di scorie, scendevamo sotto i 4 secondi! Un miglioramento del 92%! Questo probabilmente perché le particelle di scoria sono più lisce e sferiche di quelle angolari del tufo, riducendo l’attrito. Inoltre, le scorie richiedono meno acqua. Immaginate quanto sia più facile lavorare con una malta così fluida, specialmente in casseforme complesse!

Macro fotografia, obiettivo da 60 mm, di malta di geopolimero fresco che viene testato per il flusso su un cono di crollo, mostrando una migliore coerenza dovuta all'aggiunta di BFS, illuminazione controllata.

La Resistenza Meccanica: Una Storia a Due Temperature

Ora passiamo ai muscoli: la resistenza meccanica (compressione e flessione). Qui le cose si fanno interessanti e dipendono molto dalla temperatura di stagionatura (curing).

Stagionatura a 80 °C:
Scaldando i campioni a 80 °C per 48 ore, abbiamo visto che aggiungere scorie faceva decisamente bene. La malta solo tufo era la più debole (circa 5.6 MPa a compressione dopo 28 giorni). Ma aggiungendo scorie, la resistenza aumentava progressivamente. Con il 30% di BFS, la resistenza a compressione a 28 giorni schizzava a 15 MPa, quasi tre volte quella del tufo puro! Anche la resistenza a flessione seguiva lo stesso trend positivo. Questo perché a temperature più alte, sia il tufo che le scorie reagiscono meglio, formando più gel resistenti (probabilmente un mix di N-A-S-H dal tufo e C-A-S-H/ (C,N)-A-S-H dalle scorie e dalla loro interazione). Sembra che il calore aiuti le nostre scorie locali (El-Hadjar), che magari a freddo non sono super reattive, a dare il meglio di sé.

Stagionatura a Temperatura Ambiente:
E qui arriva il colpo di scena! A temperatura ambiente, la storia è diversa. A 7 giorni, aggiungere scorie aumentava la resistenza iniziale, come ci aspettavamo (con il 30% di BFS, la resistenza era quasi 4 volte quella del tufo puro). Ma… aspettando 28 giorni, la situazione si ribaltava! La malta fatta solo con tufo vulcanico, che all’inizio era debole, continuava a reagire lentamente e alla fine diventava la più resistente (quasi 12 MPa a compressione)! Le malte con le scorie, invece, non miglioravano altrettanto e restavano meno resistenti del tufo puro.

Come mai? La nostra ipotesi è che a temperatura ambiente, la reazione lenta del tufo e quella più rapida (ma forse incompleta a freddo) delle scorie non vadano molto d’accordo. Le scorie potrebbero “consumare” subito gli attivatori alcalini, non lasciandone abbastanza per far reagire completamente il tufo nel tempo. Inoltre, le particelle di scoria non reagite potrebbero agire da punti deboli. Insomma, a freddo, la sinergia vista a 80°C sembra svanire, e il tufo puro, se gli si dà tempo, alla fine vince la gara di resistenza.

Assorbimento d’Acqua e Microstruttura: La Prova del Nove

Abbiamo anche misurato quanto assorbimento d’acqua avessero le nostre malte dopo 28 giorni. Questo ci dà un’idea della loro porosità: meno acqua assorbono, più sono dense e compatte (e generalmente più resistenti e durature). I risultati hanno confermato le tendenze della resistenza:

* A 80 °C: Più scorie mettevamo, meno acqua assorbiva la malta. Il 30% di BFS riduceva l’assorbimento del 18% rispetto al tufo puro. Logico: la malta era più resistente, quindi più densa e meno porosa grazie alla migliore reazione favorita dal calore.
* A Temperatura Ambiente: Qui, di nuovo, l’opposto! La malta solo tufo era quella che assorbiva meno acqua (8.37%). Aggiungere scorie aumentava l’assorbimento (fino al 38% in più con il 20% di BFS). Questo conferma l’idea che a temperatura ambiente, le scorie disturbino la formazione di una matrice densa e omogenea, lasciando più pori.

Infine, siamo andati a “vedere dentro” la struttura delle malte con una tecnica chiamata spettroscopia infrarossa (FTIR). Senza entrare nei dettagli tecnici, questa analisi ci ha permesso di vedere i tipi di legami chimici presenti e come cambiavano. Abbiamo visto chiaramente che a 80 °C, specialmente con il 30% di scorie, avveniva una riorganizzazione strutturale più profonda, segno di una migliore polimerizzazione e della formazione di un gel più denso (N-A-S-H, forse con incorporazione di calcio). Questo combaciava perfettamente con la maggiore resistenza meccanica osservata. A temperatura ambiente, invece, le differenze tra tufo puro e miscele con scorie erano meno marcate a livello di legami principali, confermando che la reazione era meno completa o comunque diversa. Abbiamo anche notato bande legate alla carbonatazione (reazione con la CO2 dell’aria), un fenomeno comune in questi materiali.

Sezione trasversale di campioni di mortaio geopolimero temprato al microscopio, lenti macro 100 mm, dettagli elevati che mostrano differenze nella porosità tra campioni curati a ambient vs 80 ° C, messa a fuoco precisa.

Conclusioni: Cosa ci Portiamo a Casa?

Allora, cosa abbiamo imparato da questo viaggio nel mondo delle malte geopolimeriche VT-BFS?

  • Il tufo vulcanico da solo è lento a indurire, ma basta un po’ di scorie d’altoforno per accelerare drasticamente il processo.
  • Le scorie migliorano tantissimo la lavorabilità delle malte, rendendole più fluide.
  • L’effetto delle scorie sulla resistenza dipende dalla temperatura di stagionatura:
    • A 80 °C, più scorie = più resistenza (fino al 30% testato).
    • A temperatura ambiente, le scorie aumentano la resistenza iniziale (7 giorni) ma quella a lungo termine (28 giorni) è migliore con il tufo puro.
  • L’assorbimento d’acqua e le analisi microstrutturali (FTIR) confermano queste tendenze e spiegano i meccanismi alla base.
  • È assolutamente possibile creare malte geopolimeriche performanti usando tufo vulcanico e scorie d’altoforno locali (nel nostro caso, algerini), specialmente se si usa una stagionatura a caldo.

Questi risultati sono super incoraggianti! Dimostrano che possiamo usare risorse locali abbondanti e sottoprodotti industriali per creare materiali da costruzione sostenibili, performanti (superando anche gli standard locali per blocchi e intonaci) e a basso impatto ambientale. È un passo avanti verso un’economia circolare nell’edilizia, specialmente in regioni ricche di tufo vulcanico come la nostra.

Certo, la ricerca non finisce qui. Bisognerà studiare meglio l’effetto di diverse temperature e tempi di stagionatura, ottimizzare la percentuale di scorie, testare la durabilità a lungo termine e magari provare altri attivatori. Ma la strada è tracciata, ed è decisamente “verde”!

Fonte: Springer

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