Ritratto di un maiale domestico che guarda attentamente un essere umano fuori campo, l'espressione è curiosa e intelligente. Luce naturale morbida che illumina il muso del maiale, ambientazione in una fattoria pulita o in un centro di ricerca. Obiettivo da ritratto 50mm, profondità di campo ridotta per far risaltare il maiale dallo sfondo leggermente sfocato, stile fotografia naturalistica, colori caldi.

Maiali e Umani: L’Attenzione C’è, Ma la Performance Manca Quando “Parliamo” con Loro

Eccoci qua a parlare di un argomento che mi sta particolarmente a cuore: la comunicazione tra noi umani e gli animali. Nello specifico, oggi ci tufferemo nel mondo dei maiali domestici. Sì, proprio loro, creature incredibilmente intelligenti e, a quanto pare, anche piuttosto attente a quello che facciamo. Ma c’è un “ma”, e bello grosso, come vedremo.

Parliamoci chiaro: i maiali ci capiscono davvero?

Noi umani, quando vogliamo comunicare qualcosa di importante, usiamo quella che gli scienziati chiamano “ostensione”. Non è una parolaccia, giuro! Significa semplicemente che rendiamo palesi le nostre intenzioni comunicative. Pensateci: chiamiamo qualcuno per nome, lo guardiamo dritto negli occhi, facciamo gesti enfatici. Lo facciamo tra di noi, ma spessissimo anche con i nostri amici animali. E qui sorge la domanda: questa “ostensione” ha lo stesso effetto su tutte le specie? O magari solo su quelle che abbiamo selezionato per farci compagnia, come cani e cavalli?

Per capirci qualcosa di più, un gruppo di ricercatori ha deciso di mettere alla prova i nostri amici suini. L’idea era semplice: vedere se i maiali sono sensibili a questi nostri segnali “ostensivi” e se l’esperienza pregressa con gli umani cambia qualcosa. Immaginatevi la scena: 54 maiali, con storie e livelli di socializzazione con l’uomo molto diversi tra loro, impegnati in una serie di test.

Cosa abbiamo combinato (scientificamente parlando, ovvio!)

I maiali sono stati sottoposti a tre tipi di compiti, ognuno presentato in due versioni: una “ostensiva” (con l’umano che cercava attivamente di comunicare) e una “non ostensiva” (con l’umano che faceva le stesse cose, ma come se stesse parlando da solo o fosse distratto).
I test erano:

  • Un compito di scelta dell’oggetto: l’umano indicava una ciotola con dentro il cibo, con o senza segnali ostensivi.
  • Un compito A-non-B: un classico per studiare la perseveranza e come i segnali ostensivi possono influenzarla. In pratica, si nasconde il cibo prima in A, poi in B, e si vede se l’animale continua a cercare in A.
  • Un compito di detour (deviazione): l’umano mostrava come aggirare un ostacolo per raggiungere il cibo, sempre in modalità ostensiva o meno.

L’aspettativa era che i maiali rispondessero all’ostensione umana con una maggiore attenzione e, magari, con una performance diversa nei compiti. E, se l’esperienza conta, ci si aspettava che i maiali più socializzati fossero più reattivi.

Un maiale domestico di taglia media, forse un Kune Kune, in un recinto di ricerca pulito e ben illuminato. Il maiale guarda con curiosità un oggetto colorato, come una ciotola usata nei test. Fotografia naturalistica, obiettivo macro 80mm per dettaglio sul muso e sull'oggetto, illuminazione controllata da studio, messa a fuoco precisa sull'occhio del maiale.

L’effetto “Ehi, sto parlando con te!”: l’attenzione aumenta

Ebbene, i risultati sono stati… beh, diciamo interessanti! Sembra che i maiali, un po’ come noi quando qualcuno ci chiama per nome in mezzo alla folla, abbiano effettivamente prestato più attenzione quando l’umano dava dimostrazioni “ostensive” nel compito di detour. Insomma, se l’umano si sforzava di farsi capire, loro lo notavano di più. Questo è un punto a favore della loro sensibilità ai nostri segnali. Per gli altri due compiti, invece, questa differenza di attenzione non è emersa in modo così chiaro, anche se c’era una leggera tendenza nel compito di scelta dell’oggetto.

Ma più attenti significa più bravi? Non proprio…

Qui casca l’asino, o meglio, il maiale! Nonostante questa maggiore attenzione in alcuni contesti, la performance dei maiali nei compiti non è cambiata di una virgola. Che l’umano si sbracciasse per farsi capire o meno, i maiali non hanno risolto i test in modo diverso o migliore. Hanno faticato a seguire le indicazioni direzionali indipendentemente dall’ostensione, hanno commesso l’errore A-non-B in entrambe le condizioni e, almeno i maiali “da laboratorio” (più abituati ai test), hanno imparato dalle dimostrazioni di detour sia che fossero ostensive sia che non lo fossero.

Questo ci dice una cosa importante: i maiali potrebbero essere meno inclini rispetto a specie selezionate per la compagnia (come i cani) a processare le informazioni fornite dall’uomo in modo diverso a seconda del “tono” comunicativo. L’attenzione, però, sembra essere potenziata dall’ostensione anche in animali selezionati principalmente per scopi produttivi.

Perché i maiali non sono cani (e meno male, direbbe qualcuno!)

A differenza di cani, cavalli e persino dei bambini umani, l’ostensione non ha impattato la performance dei maiali nei tre compiti. Una possibile spiegazione è che, semplicemente, i maiali non interpretano le dimostrazioni umane ostensive in modo diverso da quelle non ostensive, al contrario di cani e bebè. Se così fosse, potremmo concludere che né la domesticazione (con un minimo di addomesticamento) né una vasta esperienza con la comunicazione umana sono sufficienti per rendere l’apprendimento degli animali suscettibile all’ostensione umana. Forse, la selezione specifica per la compagnia e la cooperazione con gli umani è una componente cruciale che ha contribuito alla sensibilità di cani e cavalli. I maiali, d’altro canto, sono stati selezionati per caratteristiche produttive, non per la comunicazione con gli allevatori. Per loro, imparare selettivamente da dimostrazioni umane ostensive potrebbe essere stato di minore importanza durante la loro storia di domesticazione. Adattarsi al comportamento umano in generale, indipendentemente dal fatto che fossero interpellati o meno, potrebbe averli aiutati di più a ottenere cibo e a gestire la vicinanza umana.

Tre maiali di diverse razze e contesti: un maialino nano da compagnia in un ambiente domestico, un maiale Kune Kune in un pascolo di ricerca, e una scrofa da allevamento commerciale in un recinto. Macro lens, 100mm, per evidenziare le differenze sottili nelle loro espressioni e condizioni, illuminazione varia per ogni contesto.

L’esperienza e l’ambiente contano, eccome!

Un altro dato super interessante emerso dallo studio è che le condizioni di vita e l’esperienza, come l’addestramento precedente, hanno influenzato l’attenzione e la performance dei maiali, indipendentemente dall’ostensione.
I tre gruppi di maiali testati erano:

  • Maiali da compagnia: piccoli maiali tenuti come animali domestici.
  • Maiali da laboratorio: suini allevati in un contesto di ricerca comportamentale, con molto contatto umano e un ambiente arricchito.
  • Maiali da allevamento commerciale: scrofe da riproduzione in un allevamento standard.

I maiali “da laboratorio” erano generalmente i più attenti alle dimostrazioni umane e i più bravi nel compito di detour, oltre ad essere quelli che più facilmente cadevano nell’errore A-non-B (forse per una maggiore tendenza a generalizzare o per una maggiore “fiducia” nell’umano, anche quando sbagliava a nascondere). I maiali da allevamento commerciale, invece, erano i meno attenti. I maiali da compagnia si piazzavano un po’ a metà.

Queste differenze potrebbero dipendere da tanti fattori: l’età (i maiali da laboratorio erano più anziani), l’esperienza pregressa con test e addestramento (i maiali commerciali non ne avevano), e l’arricchimento ambientale. I maiali da laboratorio vivono in un ambiente sociale e fisico ricco di stimoli, con ampi spazi. Quelli commerciali hanno contatti sociali più limitati in gruppi omogenei e spazi meno arricchiti. I maiali da compagnia vivono in case umane arricchite, ma spesso senza contatti con conspecifici. Queste differenze nell’arricchimento sociale e fisico portano probabilmente a differenze nel comportamento e nelle performance cognitive. L’arricchimento ambientale potrebbe essere stato particolarmente essenziale per il successo dei maiali da laboratorio nel compito di detour.

Tirando le somme: cosa ci portiamo a casa?

Questo studio è il primo a sondare la sensibilità all’ostensione umana in tre diverse popolazioni di maiali domestici. E i risultati sono una miniera d’oro!
Indipendentemente dalla loro esperienza con gli umani, l’ostensione può aumentare l’attenzione dei maiali verso le dimostrazioni umane, almeno in certi contesti come il detour. Inoltre, i gruppi di maiali differivano nella loro attenzione generale, suggerendo che individui più anziani, più addestrati e con più esperienza sono più attenti.

Tuttavia, a differenza della loro attenzione, l’uso che i maiali fanno delle dimostrazioni umane non è stato influenzato dall’ostensione in nessuno dei compiti. Questo potrebbe indicare che la selezione per la compagnia o la cooperazione con gli umani è indispensabile perché una specie animale si adatti alla comunicazione ostensiva umana, al punto da processare le informazioni fornite in modo ostensivo diversamente da quelle ricevute senza essere stati “interpellati” prima. La domesticazione per altri scopi e l’esperienza individuale con la comunicazione umana sembrano insufficienti per evocare tale sensibilità.

Certo, è anche possibile che i paradigmi sperimentali usati, mutuati da ricerche su neonati, cani, gatti e cavalli, siano meno adatti per rilevare tali effetti nei maiali. Saranno necessarie ulteriori ricerche con una gamma più ampia di specie e paradigmi sperimentali per definire i prerequisiti evolutivi e i contesti specifici che rendono gli animali sensibili al nostro “essere interpellati”.

Le differenze di performance tra i gruppi, indipendenti dall’ostensione, sottolineano il ruolo dell’arricchimento e dell’esperienza individuale (addestramento) sulle capacità cognitive degli animali. Questi risultati evidenziano l’importanza dell’ambiente e dell’età sulle performance nei test cognitivi. Certo, bisogna riconoscere che i tre gruppi differivano per molteplici fattori (età, esperienza, ambiente, taglia, sesso, ecc.), il che rende difficile individuare la causa esatta delle differenze osservate. Tuttavia, l’eterogeneità del campione aumenta anche la validità esterna dei risultati: l’effetto dell’ostensione sull’attenzione nel compito di detour, ad esempio, era indipendente dal gruppo, suggerendo che potrebbe essere robusto e universale nei maiali.

In conclusione, in alcuni contesti, la comunicazione ostensiva umana aumenta l’attenzione dei maiali, indipendentemente dalla loro esperienza individuale. Allo stesso tempo, a differenza delle specie domestiche selezionate per una stretta cooperazione con gli umani, l’ostensione non migliora la loro performance nei compiti utilizzati. Il dibattito è aperto e, come sempre nella scienza, ogni risposta apre mille altre domande affascinanti!

Fonte: Springer

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