Ritratto fotografico realistico di una madre indigena di mezza età che guarda con forza e speranza verso l'orizzonte, con elementi culturali discreti sullo sfondo (es. pattern tradizionali su una sciarpa). Obiettivo 50mm, luce morbida del tardo pomeriggio, profondità di campo media che sfoca leggermente lo sfondo naturale. Duotono seppia e blu scuro per un effetto emotivo e resiliente.

Madri Indigene in Prima Linea: Cura, Resilienza e Sopravvivenza nella Pandemia

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di incredibilmente potente e spesso invisibile: il ruolo delle madri indigene, in particolare durante quel periodo pazzesco che è stata la pandemia di COVID-19. Sembra un argomento specifico, vero? Eppure, vi assicuro che le loro storie aprono una finestra su temi universali come la cura, la resistenza e la sopravvivenza delle comunità di fronte alle avversità, soprattutto quando queste si sommano a ingiustizie storiche.

Partiamo da un presupposto: la pandemia ha colpito tutti, ma non tutti allo stesso modo. Le comunità indigene, già alle prese con le conseguenze del colonialismo e disuguaglianze strutturali profonde, si sono trovate in una posizione di vulnerabilità estrema. Tassi di infezione, ricoveri, mortalità? Spesso molto più alti della media. E in questo scenario, chi si è trovata in prima linea, a tenere insieme famiglie e comunità? Esatto, le madri.

Il Concetto Chiave: Il “Motherwork” Indigeno

Prima di addentrarci nelle loro esperienze, devo introdurvi un concetto fondamentale: il “motherwork“. Non è semplicemente “lavoro materno”. È un termine, reso celebre dalla sociologa Patricia Hill Collins parlando delle donne afroamericane, che descrive il lavoro di cura non solo come atto privato, ma come una pratica profondamente intrecciata con la sopravvivenza, il potere e l’identità in contesti di oppressione razziale ed economica. Per le madri indigene, questo concetto risuona in modo particolare. Il loro “motherwork” va oltre la cura dei propri figli biologici; si estende alla famiglia allargata, alla comunità, alle generazioni future e persino alla terra e al mondo spirituale. È un lavoro che sfida i confini tra pubblico e privato, individuale e collettivo, basato su valori come l’interdipendenza, la reciprocità e il rispetto per i bambini come spiriti indipendenti. È una forma di attivismo basata sulle “responsabilità” tradizionali, più che sui “diritti” individuali tipici del femminismo occidentale. Pensateci: per secoli, queste donne sono state escluse dalle risorse che sostenevano le madri bianche della classe media, dovendo spesso lavorare fuori casa in condizioni precarie, magari prendendosi cura dei figli di altri mentre continuavano a nutrire emotivamente le proprie famiglie e comunità. Questo “motherwork” comunitario è diventato una forma potente di resistenza politica.

La Pandemia: Un Carico Amplificato

E poi è arrivato il COVID-19. Immaginate cosa ha significato per queste donne. Scuole chiuse, accesso limitato all’assistenza all’infanzia, precarietà economica alle stelle, il peso del lavoro domestico e di cura che esplode. Non solo dovevano proteggere fisicamente le loro famiglie da un virus sconosciuto e letale, ma dovevano anche gestire l’istruzione a distanza (spesso con problemi tecnologici), affrontare l’insicurezza lavorativa (molte lavorano in settori essenziali o meno sicuri), e sostenere il carico emotivo e mentale di tutti, in un contesto di paura e lutto diffusi. Molte delle donne intervistate in uno studio specifico su una tribù del sud-est degli Stati Uniti hanno raccontato proprio questo: un senso di sovraccarico costante, la sensazione di dover mettere da parte tutto il resto per concentrarsi sulla pura sopravvivenza. Una madre ha detto, con un misto di tristezza e pragmatismo: “Più abilità di sopravvivenza… Metti un sacco di cose nell’angolo in fondo. Sai, e quella è stata una parte che odiavo insegnare a mia figlia… Non preoccuparti di te adesso. Dobbiamo fare questo adesso.” Parole che pesano come macigni, non trovate?

Fotografia realistica di una madre indigena, sui 40 anni, seduta a un tavolo da cucina con un bambino piccolo che cerca di seguire una lezione online su un laptop. Luce naturale dalla finestra, espressione stanca ma determinata sul volto della madre. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo della cucina modesta. Toni caldi.

Navigare tra Barriere Sistemiche e Resilienza Culturale

Il “motherwork” durante la pandemia non è stato solo fatica, ma anche un terreno di scontro con forze oppressive ben radicate. Pensate alle scuole che consideravano assenti i bambini per problemi tecnici con la didattica a distanza, portando le madri addirittura in tribunale per assenteismo ingiustificato! Una madre ha raccontato con amaro umorismo di aver detto ai figli: “Non è colpa vostra, non è colpa mia. Ma, allo stesso tempo, se continuate a mancare dal [lavoro scolastico], potrebbero mettermi in prigione. Non ho tempo per stare in prigione. [ride]“. Questo aneddoto, pur nella sua leggerezza apparente, rivela la pressione costante di sistemi che sembrano penalizzare proprio chi è già più vulnerabile. E che dire della perdita delle pratiche culturali? Le restrizioni dovute al distanziamento sociale hanno impedito lo svolgimento di rituali fondamentali, come le veglie funebri tradizionali. Una donna che ha perso il marito a causa del COVID ha descritto il dolore aggiunto di non poter seguire le usanze della sua gente, sentendosi privata di un supporto essenziale in un momento di lutto profondo: “Non poterlo portare a casa, non siamo stati in grado di fare ciò che era il nostro modo tradizionale… ci siamo sentiti affrettati… non sapevamo come accettarlo.” Eppure, proprio in questo contesto difficile, il “motherwork” è emerso anche come sito di resistenza. Le madri hanno rafforzato i legami familiari (“Ci ha anche unito… come famiglia abbiamo fatto più cose“), hanno fatto leva sul supporto comunitario (“Red Water è solo una comunità… qualcuno in questa comunità ti vedrà e la notizia tornerà da me“), hanno attinto alla saggezza intergenerazionale e hanno mantenuto vive le pratiche culturali possibili, affermando la propria identità e sovranità attraverso la cura relazionale. Hanno dimostrato una leadership silenziosa ma tenace, basata sulla collaborazione e sul sostegno reciproco. Il supporto di altre donne, dei datori di lavoro comprensivi, della comunità è stato fondamentale.

Prendersi Cura: Tra Dovere, Identità e Leadership

Un altro aspetto emerso con forza è il legame profondo tra il “motherwork”, l’identità personale e il senso di dovere. Molte madri hanno espresso un senso di colpa quando i figli più grandi dovevano aiutarle, sentendo che certe responsabilità fossero esclusivamente loro: “[I miei figli] non dovrebbero farlo, perché questo dipende da me“. Questa auto-sufficienza, radicata culturalmente e forse rafforzata dalle circostanze, è un tratto distintivo, ma può diventare un fardello insostenibile, specialmente per le madri single che rappresentano una percentuale significativa in molte comunità indigene e che spesso vivono in condizioni di povertà o quasi povertà. Una madre ha raccontato di addormentarsi per la stanchezza mentre cucinava, e la figlia adolescente finiva la cena e metteva a letto i fratellini più piccoli. Pur riconoscendo la propria stanchezza, questa madre sentiva il bisogno di riaffermare la propria responsabilità: “Quando mi addormento così, svegliami… Accetta il fatto che hai la scuola anche tu… Capisco, sono stanca. Ma comunque.” Questo senso di responsabilità si intreccia con le esperienze passate e i legami generazionali. Alcune madri riflettevano su come il loro modo di essere genitore fosse una reazione a come erano state cresciute, cercando di “rompere quel ciclo“. Altre vedevano nei propri figli un riflesso di sé stesse da giovani, provando empatia per le proprie madri: “È come guardare me stessa… farmi passare quello che ho fatto passare a mia madre“. Questi legami intergenerazionali sono una fonte di forza e un modello per affrontare le sfide.

Immagine fotorealistica in bianco e nero stile film noir. Primo piano sulle mani intrecciate di due donne indigene anziane, simbolo di supporto comunitario. Dettaglio elevato sulle rughe e sulla texture della pelle. Obiettivo macro 80mm, illuminazione controllata laterale per creare contrasto.

Interessante notare come, nonostante il carico immenso, alcune madri abbiano riconosciuto l’importanza di prendersi piccoli momenti per sé, non come un lusso, ma come una necessità per poter continuare a prendersi cura degli altri. “A volte serve una piccola pausa per poter riempire un po’ quel serbatoio e recuperare l’energia“, ha detto una di loro, spiegando alla figlia che “prendersi tempo per sé” poteva significare anche solo poche ore di solitudine ristoratrice. Un atto di auto-cura che diventa esso stesso un insegnamento prezioso.

Cosa Ci Insegnano Queste Storie?

Le esperienze di queste madri indigene durante la pandemia non sono solo storie di difficoltà, ma potenti testimonianze di resilienza, adattabilità e forza collettiva. Il loro “motherwork” è stato, ed è tuttora, un lavoro essenziale che sostiene intere comunità, preserva culture e resiste attivamente a secoli di oppressione. Ci mostrano che la cura non è mai solo un fatto privato, ma un atto profondamente politico e sociale. Allora, cosa possiamo fare noi? Innanzitutto, riconoscere questo lavoro. Ascoltare queste voci. Capire che supportare le madri indigene significa rafforzare le loro comunità. C’è un bisogno urgente di politiche e interventi culturalmente sensibili, che non impongano modelli esterni ma che valorizzino e sostengano le pratiche di cura indigene. Servono risorse mirate, accesso equo alla sanità, all’istruzione, al supporto economico. Serve smantellare quelle strutture oppressive che continuano a rendere il loro “motherwork” una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Investire nel benessere delle madri indigene non è solo una questione di giustizia sociale, è un investimento nel futuro di intere nazioni indigene. Il loro lavoro di cura è la linfa vitale che permette alle loro culture di continuare a fiorire, nonostante tutto. È ora che iniziamo a vederlo per quello che è: un atto fondamentale di amore, resistenza e leadership.

Foto panoramica con obiettivo grandangolare 15mm di una piccola comunità indigena al tramonto. Case sparse, un centro comunitario visibile in lontananza, bambini che giocano all'aperto. Cielo dai colori caldi. Messa a fuoco nitida su tutta la scena, evocando resilienza e continuità.

Fonte: Springer

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