Lupino Invasore: Svelati i Segreti Genetici della sua Conquista nella Pianura Est-Europea!
Avete presente quei bellissimi fiori viola, blu, a volte rosa o bianchi, che colorano i bordi delle strade o i prati in estate? Ecco, spesso si tratta del Lupinus polyphyllus, il lupino polifillo. Bello, sì, ma anche un ‘invasore’ piuttosto agguerrito, originario del Nord America e ormai diffusissimo qui in Europa, specialmente nella vastissima Pianura Est-Europea.
Da scienziato curioso, mi sono sempre chiesto: ma come fa questa pianta, introdotta dall’uomo per giardini, foraggio o per migliorare il suolo, a diventare così brava a diffondersi e a ‘conquistare’ nuovi territori, a volte a scapito delle nostre specie autoctone? La risposta, come spesso accade in biologia, potrebbe nascondersi nei suoi geni.
Un’indagine genetica nel cuore dell’invasione
Proprio per cercare di capirne di più, abbiamo intrapreso uno studio affascinante, andando a ‘spiare’ il DNA di diverse popolazioni di Lupinus polyphyllus sparse per la Pianura Est-Europea. Volevamo capire quanta variabilità genetica ci fosse sia all’interno di una singola popolazione (cioè tra piante che crescono vicine) sia tra popolazioni geograficamente distanti. Perché è importante? Perché una maggiore diversità genetica spesso significa maggiore capacità di adattamento a condizioni diverse e, quindi, un potenziale invasivo più alto.
Abbiamo raccolto campioni da nord a sud, dal centro di questa immensa pianura, includendo anche qualche campione dalla sua terra d’origine (Canada) e da altre zone come la Siberia, per avere un quadro più completo. Abbiamo usato diverse tecniche di analisi molecolare, come dei veri e propri ‘detective del DNA’.
Cosa ci dicono i geni? Marcatori a confronto
Abbiamo esaminato diverse ‘regioni’ del DNA del lupino:
- Le sequenze ITS1-2 del DNA ribosomiale nucleare: queste, a dire il vero, si sono rivelate poco informative per studiare le differenze all’interno della specie L. polyphyllus. Sono più utili per distinguere specie diverse all’interno del genere Lupinus.
- Lo spaziatore intergenico rpl32-trnL del DNA dei cloroplasti (le ‘centrali energetiche’ della cellula vegetale): qui le cose si sono fatte interessanti! Abbiamo trovato differenze significative.
- I marcatori ISSR (Inter-Simple Sequence Repeat): anche questi marcatori, basati su sequenze ripetute nel genoma, hanno mostrato una notevole variabilità.
Analizzando le sequenze del DNA dei cloroplasti (rpl32-trnL), abbiamo costruito un ‘albero genealogico’ (filogenetico) delle piante studiate. Sono emersi due gruppi principali (cladi), ma la cosa sorprendente è che non c’era uno schema geografico chiaro. Piante provenienti da regioni molto lontane tra loro finivano nello stesso gruppo, e viceversa. Addirittura, campioni dalla Russia, dalla Bielorussia e dal Canada potevano trovarsi ‘imparentati’ più strettamente di quanto ci si potesse aspettare basandosi solo sulla geografia.
Varietà sorprendente: un puzzle geografico
Questo miscuglio genetico suggerisce fortemente che il lupino non sia arrivato in Europa con un’unica introduzione, ma probabilmente attraverso molteplici eventi di introduzione, magari da diverse popolazioni originarie del Nord America e in momenti diversi, grazie all’attività umana (giardinaggio, agricoltura, ecc.).
Ma la scoperta forse più intrigante è stata l’elevata variabilità genetica trovata all’interno delle singole popolazioni. In diverse località, piante che crescevano a poche centinaia di metri o pochi chilometri di distanza mostravano già differenze genetiche notevoli, a volte paragonabili a quelle tra popolazioni molto più distanti! Questo è stato confermato anche dall’analisi con i marcatori ISSR, che hanno evidenziato una grande dispersione genetica sia tra individui della stessa popolazione sia tra popolazioni diverse (anche quelle vicine tra loro).
Abbiamo anche creato una ‘rete di aplotipi’ basata sulle sequenze rpl32-trnL. Gli aplotipi sono varianti specifiche di una sequenza di DNA. Anche qui, niente schemi geografici definiti nella Pianura Est-Europea, rafforzando l’idea delle introduzioni multiple. Purtroppo, la scarsità di dati genetici disponibili dalla sua area nativa (Nord America) e da altre parti del suo areale secondario (come l’Asia) limita un po’ la nostra capacità di ricostruire nel dettaglio la storia dell’invasione. Servirebbero più dati!
Il Lupino e il suo impatto: dove prospera?
Oltre alla genetica, abbiamo osservato dove cresce il nostro lupino. Non sorprende che lo si trovi soprattutto in habitat disturbati dall’uomo: bordi stradali, aree vicino a insediamenti presenti o passati, prati, radure forestali. Sembra proprio approfittare delle ‘porte aperte’ lasciate dalle nostre attività.
Abbiamo notato una differenza nell’abbondanza: nelle regioni centrali della Pianura Est-Europea, il lupino sembra trovarsi più a suo agio, formando coperture vegetali più estese (fino al 45-50% della copertura del suolo in alcune aree studiate), rispetto alle regioni più a nord o più a sud (dove la copertura era inferiore al 30%). Questo potrebbe dipendere dalle condizioni climatiche: forse le regioni centrali offrono un clima più mite e favorevole, mentre il freddo a nord e la potenziale siccità a sud potrebbero limitarne un po’ l’espansione.
Anche se non abbiamo trovato vere e proprie ‘monoculture’ di lupino nelle aree studiate, la sua presenza è spesso dominante o comunque molto significativa nelle comunità vegetali che invade, crescendo accanto a graminacee, composite e altre specie tipiche di prati e radure.
Un futuro incerto: adattabilità e cambiamenti climatici
Cosa significa tutto questo? L’elevata variabilità genetica che abbiamo scoperto, sia tra popolazioni diverse sia, soprattutto, all’interno delle singole popolazioni locali, è un campanello d’allarme. Questa diversità è la ‘materia prima’ su cui agisce l’evoluzione e può conferire al Lupinus polyphyllus una notevole capacità di adattamento.
In un mondo che cambia, con i cambiamenti climatici in atto (aumento delle temperature, modifiche nelle precipitazioni), questa plasticità genetica potrebbe rendere il lupino ancora più competitivo e potenzialmente più invasivo in futuro, anche in aree dove oggi è meno abbondante. Potrebbe adattarsi a nuove condizioni e continuare la sua espansione.
Certo, la nostra ricerca è solo un pezzo del puzzle. Serviranno studi futuri per colmare le lacune di dati, monitorare come cambia la variabilità genetica nel tempo e capire ancora meglio le dinamiche di questa affascinante ma problematica specie invasora. Ma una cosa è chiara: il Lupinus polyphyllus ha dimostrato di avere le carte genetiche in regola per essere un ‘conquistatore’ di successo, e tenerlo d’occhio è fondamentale per proteggere la nostra biodiversità.
Fonte: Springer