Denti Perforati: Lunghezza del Perno e Materiali Giusti Fanno la Differenza? Scopriamolo Insieme!
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo dell’odontoiatria, un po’ come esploratori che cercano di capire i segreti nascosti dentro un dente. Parliamo di denti trattati endodonticamente, quelli che comunemente chiamiamo “devitalizzati”. Sappiamo che questi denti, a causa della perdita di tessuto e delle procedure subite, diventano più fragili e suscettibili alle fratture [1].
Per dare loro una mano, spesso ricorriamo all’inserimento di perni endocanalari: delle piccole strutture che aiutano a rinforzare la radice indebolita e a migliorare la ritenzione della corona che verrà poi applicata [2,3]. Ma qui sorge una domanda cruciale: come si distribuisce lo stress all’interno di questi denti restaurati? È un punto fondamentale, perché dove lo stress si accumula troppo, aumenta il rischio di fallimento dell’adesione o, peggio, di frattura [5,6].
Il Dilemma dei Materiali e della Lunghezza
La scelta del materiale del perno non è indifferente. I vecchi perni metallici, essendo molto più rigidi della dentina, tendono a trasmettere lo stress in modo concentrato, aumentando il rischio di crepe [6,8]. Ecco perché oggi preferiamo i perni in fibra: la loro elasticità, più simile a quella del dente naturale, permette una distribuzione più omogenea delle forze masticatorie, riducendo lo stress sulla radice e il pericolo di fratture [8,9,10].
Ma non è solo questione di materiale. Anche la lunghezza del perno gioca un ruolo chiave [10]. Quanto deve essere lungo? Le linee guida suggeriscono almeno due terzi della lunghezza della radice o della corona clinica, o come minimo metà della radice [11]. Eppure, gli studi non sono tutti concordi: alcuni dicono che perni più lunghi riducono lo stress e migliorano la resistenza [12,13,14,15], altri non trovano differenze significative [5,16-20]. C’è anche da considerare che un perno più lungo, se da un lato offre più ritenzione, dall’altro richiede di rimuovere più dentina, indebolendo potenzialmente la struttura [8,14,21]. Insomma, la lunghezza ottimale resta un po’ un mistero.
La Complicazione: La Perforazione Radicolare
Come se non bastasse, durante la preparazione dello spazio per il perno, può capitare un incidente: la perforazione della radice [22]. Succede se si sceglie una fresa di dimensioni sbagliate, se si sbaglia direzione o se la visibilità è scarsa. Una perforazione è una brutta gatta da pelare, perché indebolisce ulteriormente la radice e compromette la resistenza del dente [23,24].
Qui entrano in gioco i materiali da riparazione. L’MTA (Mineral Trioxide Aggregate) è stato a lungo il favorito per le sue ottime capacità sigillanti, biocompatibilità e proprietà antibatteriche [25]. Ma ha anche i suoi limiti, e questo ha spinto la ricerca verso alternative come la Biodentine, che promette di superare alcuni svantaggi dell’MTA [26].
Capite bene che riparare una perforazione è fondamentale, ma dobbiamo anche capire come questa riparazione, insieme alla lunghezza del perno scelto, influenzi la risposta biomeccanica del dente. Lo stress residuo può comunque causare problemi [27].
La Nostra Indagine Virtuale: L’Analisi agli Elementi Finiti (FEA)
Studiare queste dinamiche in bocca o in laboratorio è complicato [23]. Ecco perché ci siamo affidati all’Analisi agli Elementi Finiti (FEA). È una tecnica potentissima che ci permette di creare modelli 3D super dettagliati di un dente e delle strutture circostanti (osso, legamento parodontale) e di simulare al computer cosa succede quando applichiamo delle forze, proprio come durante la masticazione [28]. Possiamo letteralmente “vedere” dove si concentra lo stress.
Nel nostro studio, abbiamo voluto indagare proprio l’effetto combinato della lunghezza del perno (ne abbiamo testati di 4 mm, 6 mm e 8 mm, corrispondenti a 1/3, 1/2 e 2/3 della lunghezza radicolare) e dei materiali da riparazione (MTA e Biodentine) sulla distribuzione dello stress in modelli di molari inferiori con una perforazione simulata nel terzo medio della radice distale. Abbiamo creato diversi gruppi:
- Modelli di controllo senza perforazione (CG4, CG6, CG8)
- Modelli con perforazione non riparata (P4/UR, P6/UR, P8/UR)
- Modelli con perforazione riparata con MTA (P4/MTA, P6/MTA, P8/MTA)
- Modelli con perforazione riparata con Biodentine (P4/Biodentine, P6/Biodentine, P8/Biodentine)
Tutti i modelli sono stati poi restaurati con una corona in ceramica e abbiamo applicato una forza di 100 N, simulando la masticazione contro un dente antagonista per rendere tutto più realistico [3,35].
Cosa Abbiamo Scoperto? I Risultati nel Dettaglio
I risultati sono stati davvero illuminanti! Prima di tutto, come ci aspettavamo, i modelli senza perforazione (i gruppi di controllo CG) hanno mostrato i valori di stress più bassi nella dentina [Tabella 3]. La presenza di una perforazione, anche se riparata, aumenta inevitabilmente lo stress generale nel dente, confermando che la perforazione compromette l’integrità strutturale [36,37]. Riparare la perforazione con MTA o Biodentine ha leggermente ridotto lo stress rispetto ai modelli non riparati, ma i valori rimanevano comunque più alti rispetto ai controlli sani.
Effetto della Lunghezza del Perno:
Qui le cose si fanno interessanti. In generale, aumentare la lunghezza del perno da 4 mm a 8 mm ha ridotto lo stress sia nella dentina complessiva che nel perno stesso [Tabella 3, Figura 3]. I perni da 8 mm distribuivano le forze in modo più uniforme tra la parte superiore e quella inferiore della radice, mentre quelli più corti tendevano a concentrare lo stress più in alto [4,12,39,47,48]. Questo conferma l’idea che perni più lunghi, in linea di massima, offrono una migliore distribuzione biomeccanica [11,12,14].
MA… C’è un Ma: Lo Stress nella Zona della Perforazione!
Analizzando specificamente l’area della perforazione, abbiamo notato una tendenza inversa. Mentre i perni da 4 mm e 6 mm trasferivano il carico principalmente sopra la perforazione, passando al perno da 8 mm, lo stress aumentava proprio nell’area perforata e riparata [Tabella 3, Figura 3]! Perché? Probabilmente perché un perno più lungo, estendendosi oltre la perforazione, interagisce maggiormente con questa zona già indebolita, trasferendovi più carico [49,50]. Inoltre, un perno più lungo crea un momento flettente maggiore, che può concentrare lo stress proprio lì [51]. Il modello con la perforazione non riparata e il perno da 8 mm (P8/UR) ha mostrato il picco di stress più alto in assoluto in quest’area (63.22 MPa).
Il Ruolo dei Materiali da Riparazione:
Se la lunghezza del perno ha avuto l’impatto maggiore sulla distribuzione generale dello stress, la scelta del materiale da riparazione ha fatto la differenza proprio nell’area critica della perforazione. Confrontando MTA e Biodentine, abbiamo visto che la Biodentine ha portato a valori di stress significativamente più bassi in quella zona [Tabella 3]. Il modello P6/Biodentine ha registrato lo stress più basso (15.92 MPa), seguito da P8/Biodentine (36.20 MPa), mentre P8/MTA era molto più alto (62.80 MPa). Questo successo della Biodentine è probabilmente dovuto alla sua elasticità, più simile a quella della dentina [Tabella 2]. Un materiale che “assomiglia” di più al dente riesce ad assorbire meglio lo stress, trasmettendone meno alla struttura circostante [23].
E i Tessuti Circostanti?
Nessuna differenza significativa è stata notata a livello dell’osso corticale al variare di perno o materiale. Curiosamente, nel legamento parodontale (PDL), i modelli perforati hanno mostrato valori di stress leggermente inferiori rispetto ai controlli [Tabella 3]. Forse perché lo stress si concentrava maggiormente altrove (come nell’area della perforazione). Il valore più basso in assoluto nel PDL è stato registrato nel modello P8/Biodentine (0.036 MPa), suggerendo che la combinazione di un perno lungo e un materiale riparativo elastico come la Biodentine protegge meglio anche i tessuti di supporto.
Tiriamo le Somme: Cosa Portiamo a Casa?
Questa nostra “immersione virtuale” ci ha insegnato molto. Abbiamo visto che:
- I perni più lunghi (8 mm) sono generalmente migliori per ridurre lo stress complessivo nel dente e nel perno stesso, distribuendo meglio le forze.
- Tuttavia, in presenza di una perforazione, questi stessi perni lunghi possono aumentare pericolosamente lo stress proprio nell’area indebolita e riparata. È un compromesso da considerare!
- Riparare la perforazione è fondamentale per ridurre lo stress rispetto a non fare nulla.
- Tra i materiali da riparazione, la Biodentine sembra offrire vantaggi significativi rispetto all’MTA nel ridurre le concentrazioni di stress nell’area critica della perforazione, grazie alla sua maggiore elasticità.
- L’impatto sull’osso corticale è minimo, mentre il PDL sembra beneficiare leggermente della concentrazione di stress altrove nei modelli perforati, specialmente con Biodentine.
Certo, l’analisi FEA è una simulazione e ha i suoi limiti (abbiamo assunto che i tessuti fossero omogenei, cosa non del tutto vera, e ogni dente è diverso) [28]. Serviranno sempre studi clinici per confermare questi risultati. Ma quello che emerge è la necessità di un approccio bilanciato: dobbiamo considerare sia la stabilità meccanica generale data da un perno adeguatamente lungo, sia gli effetti locali dello stress, specialmente in situazioni complesse come una perforazione radicolare. E la scelta del materiale da riparazione, come la Biodentine, può davvero fare la differenza nel gestire queste situazioni delicate.
Spero che questo viaggio nel cuore dello stress dentale vi sia piaciuto! Alla prossima!
Fonte: Springer