Pipì d’Oro: Il Lievito Mago che Trasforma l’Urina in Materiali Preziosi!
Amici scienziati e curiosi di natura, preparatevi perché oggi vi racconto una storia che ha dell’incredibile! Parliamo di qualcosa che tutti produciamo quotidianamente, ma che di solito consideriamo uno scarto: l’urina. E se vi dicessi che, grazie a un pizzico di ingegneria genetica e a dei lieviti “intelligenti”, potremmo trasformarla in un materiale super prezioso? Sembra fantascienza, vero? Eppure, è proprio quello che un team di ricercatori (e idealmente, mi ci metto un po’ in mezzo anch’io con l’entusiasmo!) è riuscito a fare.
Il Problema della Pipì: Non Solo Scarto, Ma Risorsa Incompresa
Partiamo da un fatto: l’urina, anche se costituisce solo l’1% delle acque reflue totali, è una miniera di nutrienti. Contiene circa il 70-90% dell’azoto (N) e il 50-65% del fosforo (P) che finiscono nei nostri scarichi. Questi elementi, se dispersi nell’ambiente, possono causare problemi seri come l’eutrofizzazione, ovvero quella crescita smodata di alghe che soffoca fiumi e laghi.
Da tempo si cerca di recuperare questi nutrienti, soprattutto per trasformarli in fertilizzanti per l’agricoltura. Pensate che, se usassimo tutta l’urina prodotta, potremmo soddisfare una bella fetta del fabbisogno globale di fertilizzanti azotati, fosfatici e potassici! Inoltre, separare l’urina alla fonte e trattarla localmente (un approccio chiamato “urine diversion” o UD) potrebbe ridurre emissioni di gas serra, consumo energetico e di acqua dolce. Insomma, un bel colpo per l’ambiente!
Il “MA” della situazione? I fertilizzanti chimici prodotti dall’urina hanno un valore di mercato relativamente basso, parliamo di 300-400 dollari a tonnellata. Questo, capite bene, non invoglia molto gli investimenti su larga scala. Per rendere davvero appetibile il riciclo dell’urina, bisognava trovare un modo per produrre qualcosa di più “luccicante”.
L’Idea Geniale: Dall’Urina all’Idrossiapatite, il Materiale delle Ossa
Ed è qui che entra in gioco la nostra protagonista: l’idrossiapatite (HAp). Detta così suona complicata, ma in realtà è il minerale principale di cui sono fatti ossa e denti nei vertebrati. È un materiale biocompatibile, quindi super utilizzato in campo ortopedico, odontoiatrico, e persino nella chirurgia plastica e nel restauro di reperti archeologici. Non solo: l’HAp è bravissima ad assorbire fluoruri e metalli pesanti, quindi è utile anche per la purificazione dell’acqua.
Il mercato dell’idrossiapatite è in crescita esponenziale, si prevede supererà i 3,5 miliardi di dollari entro il 2030, con un prezzo di vendita che può superare gli 80 dollari al chilogrammo. Capite la differenza rispetto ai fertilizzanti? Produrre HAp dall’urina renderebbe tutto il processo di riciclo molto più vantaggioso economicamente. E i compositi a base di HAp, leggeri, resistenti e durevoli, potrebbero diventare alternative rinnovabili e biodegradabili a plastiche e materiali da costruzione. Un sogno!
Nasce l’Osteolievito: Un Lievito Ispirato alle Cellule Ossee
Ma come si fa a produrre idrossiapatite dall’urina? L’ispirazione è arrivata direttamente dal nostro corpo, dalle cellule che formano le ossa, gli osteoblasti. Abbiamo pensato: se loro possono farlo, perché non un microrganismo ingegnerizzato? E così è nato l’osteolievito, una piattaforma sintetica basata sul lievito Saccharomyces boulardii (scelto per la sua maggiore tolleranza alle variazioni di pH rispetto al più comune S. cerevisiae).
Ecco come funziona, in parole povere, il nostro osteolievito:
- Abbiamo “istruito” il lievito a produrre enzimi (come l’ureasi amidoliasi) che scompongono l’urea presente in abbondanza nell’urina. Questa reazione fa aumentare il pH dell’ambiente circostante.
- Questo aumento di pH attiva un meccanismo interno al lievito (un trasportatore chiamato Vcx1) che inizia a pompare ioni calcio (Ca2+) all’interno dei suoi vacuoli, organelli acidi simili ai lisosomi.
- Dentro i vacuoli, il calcio si combina con il fosfato (anch’esso presente nell’urina e accumulato dal lievito) formando fosfato di calcio amorfo (ACP), una sorta di precursore dell’idrossiapatite. I vacuoli contengono anche polifosfati, che aiutano a stabilizzare questa forma amorfa.
- A questo punto, il lievito fa una cosa straordinaria: “impacchetta” questo ACP in piccole vescicole extracellulari (EVs) e le secerne all’esterno.
- Una volta fuori dalla cellula, in condizioni ambientali opportune (come un pH che si alza ulteriormente grazie alla continua degradazione dell’urea), l’ACP contenuto nelle vescicole si trasforma e cristallizza nella nostra preziosa idrossiapatite (HAp). Il polifosfato nelle vescicole si degrada a monofosfato (perché manca ATP per rigenerarlo), e questo è cruciale, perché il polifosfato inibirebbe la cristallizzazione.
È un po’ come se il lievito mimasse il comportamento degli osteoblasti, che accumulano ACP nei lisosomi e poi lo rilasciano all’esterno come vescicole matriciali per formare osso. Geniale, no?

Abbiamo condotto esperimenti dettagliati, usando microscopia ottica ed elettronica correlativa per seguire passo passo il processo. Abbiamo visto i vacuoli riempirsi di calcio (usando un tracciante fluorescente chiamato calceina-AM), abbiamo osservato la comparsa di sostanze cristalline nelle colture e, analizzandole con tecniche come la diffrazione elettronica e la spettroscopia EDX, abbiamo confermato che si trattava proprio di idrossiapatite, con una struttura molto simile a quella dell’osso!
I Risultati: Più di 1 grammo per Litro dalla Pipì!
E la cosa più entusiasmante è che siamo riusciti a far produrre all’osteolievito più di 1 grammo di idrossiapatite per litro direttamente da urina umana (opportunamente trattata per ottimizzare la crescita del lievito e inibire altri microbi). Abbiamo aggiunto diverse concentrazioni di cloruro di calcio (CaCl2) all’urina, dato che il contenuto di calcio può variare, e abbiamo monitorato il consumo di calcio da parte del lievito. Con un inoculo adeguato, l’osteolievito ha consumato calcio a una velocità di circa 12 mM al giorno, raggiungendo una produzione stimata di HAp di circa 1,1 g/L dopo 10 giorni. Un risultato davvero promettente!
Conviene Davvero? L’Analisi Tecno-Economica Dice Sì!
Ma produrre HAp in laboratorio è una cosa, renderlo un processo sostenibile ed economicamente vantaggioso su larga scala è un’altra. Per questo, abbiamo fatto un’analisi tecno-economica (TEA). Abbiamo simulato un sistema di produzione di HAp su scala cittadina, immaginando reattori distribuiti in una città come San Francisco, che servissero tra le 10.000 e le 80.000 persone. I precipitati di HAp verrebbero raccolti e processati in un impianto centralizzato, dove verrebbe coltivato anche l’osteolievito da distribuire ai reattori.
I risultati sono stati molto incoraggianti! Il prezzo minimo di vendita (MPSP) per pareggiare i conti è risultato essere mediamente di 18,8 dollari al kg di HAp, un valore assolutamente competitivo, se non inferiore, ai prezzi di mercato attuali dell’HAp di varie gradazioni.
Pensate che, vendendo l’HAp recuperato a un prezzo moderato di 50 dollari/kg (per HAp di grado industriale), si potrebbe ottenere un profitto annuale mediano di 1,4 milioni di dollari. Questo profitto potrebbe rendere finalmente attraente dal punto di vista finanziario l’intero processo di recupero dei nutrienti dall’urina. Mentre il recupero di azoto come fertilizzante liquido costa circa 12-33 dollari per metro cubo di urina, il profitto dalla produzione di HAp potrebbe variare tra 19,1 e 138 dollari per metro cubo di urina!

Inoltre, il processo con l’osteolievito richiede meno input chimici esogeni rispetto ai metodi tradizionali di sintesi dell’HAp, perché sfrutta il fosforo e l’urea già presenti nell’urina. E le condizioni di reazione sono più blande, il che lo rende adatto ad applicazioni distribuite su varia scala.
Il Futuro è Osteo-Fantastico: Prospettive e Sviluppi
Certo, c’è ancora strada da fare. L’analisi tecno-economica ha mostrato che la concentrazione di fosforo totale nell’urina e la resa di HAp sono fattori chiave per i costi. La concentrazione di fosforo potrebbe aumentare con cambiamenti nella dieta (più proteine vegetali) o aggiungendo fosfato a basso costo. Per aumentare la resa di HAp, invece, dovremo probabilmente “potenziare” ulteriormente il nostro osteolievito.
Si potrebbero esplorare diverse modifiche genetiche:
- Ottimizzare i flussi di calcio e fosforo verso i vacuoli.
- Migliorare la sintesi di polifosfato nei vacuoli e la sua successiva degradazione a monofosfato nelle vescicole extracellulari.
- Accelerare la secrezione delle vescicole contenenti ACP, magari modulando le vie di secrezione del lievito o ingegnerizzando enzimi che aiutino le vescicole a superare la parete cellulare.
L’urina contiene abbastanza urea da poter sintetizzare, in teoria, 60-90 mM di HAp, mentre la nostra produzione attuale è di circa 4 mM. C’è margine di miglioramento!
Questa scoperta, un po’ casuale ma incredibilmente affascinante, ci ha mostrato che una semplice modifica (l’espressione di enzimi ureolitici) ha attivato nel lievito meccanismi molecolari sorprendentemente simili a quelli usati dagli osteoblasti. Questo suggerisce che le “macchine” molecolari per la sintesi di HAp potrebbero essersi evolute da meccanismi ancestrali comuni, magari legati alla resistenza allo stress da pH o alla detossificazione da ioni metallici.
L’osteolievito non è solo una piattaforma per produrre HAp in modo sostenibile. Apre anche nuove porte per la ricerca sui biomateriali, offrendo un sistema modello più semplice per studiare la sintesi di bionanocompositi a base di HAp. Potremmo imparare tantissimo su come la natura costruisce materiali leggeri, resistenti e durevoli come ossa, denti e gusci di crostacei.
In conclusione, l’osteolievito è una promessa incredibile: trasformare un rifiuto come l’urina in una risorsa preziosa, con benefici economici e ambientali significativi. È un esempio lampante di come la biotecnologia e l’ingegneria metabolica possano portarci verso un futuro più sostenibile e un’economia più circolare. E chissà quali altre meraviglie ci riserveranno questi piccoli, instancabili operai che sono i microrganismi!
Fonte: Springer
