Oltre gli Stereotipi: Lezioni Inaspettate dal Brasile per le Aule Postdigitali del Futuro
Ciao a tutti! Avete mai pensato a come immaginiamo il futuro? L’immaginazione è quella scintilla pazzesca che ci spinge a cercare nuove strade, a proiettare idee che poi, in qualche modo, plasmano il mondo in cui viviamo. Pensateci: ogni invenzione, ogni cambiamento sociale, è nato da un’immaginazione, individuale o collettiva. Anche le nazioni, come diceva Anderson, sono “comunità immaginate”, tenute insieme da storie e idee condivise più che da incontri reali tra tutti i cittadini. E l’educazione? Beh, anche insegnare richiede una bella dose di immaginazione. Dobbiamo proiettarci nel futuro, immaginare cosa faranno i nostri studenti, come interagiranno con gli strumenti – digitali e non – e tra di loro.
L’Aula Postdigitale: Un Mix Complesso
Oggi parliamo spesso di “postdigitale”. Cosa significa? In pratica, viviamo in un mondo dove il digitale e il fisico sono così intrecciati che distinguerli diventa quasi impossibile e spesso inutile. Pensate alle nostre vite: smartphone in tasca, social media, apprendimento online… la tecnologia è ovunque, parte integrante del nostro quotidiano. L’aula postdigitale, quindi, non è solo un luogo con computer e tablet. È un ambiente ibrido, complesso, dove si mescolano strumenti materiali e digitali, relazioni sociali, ma anche influenze economiche, politiche e culturali più ampie. Progettare per un’aula del genere significa pensare a come tutti questi elementi – compiti, persone, tecnologie, spazi fisici – interagiscono e influenzano l’apprendimento.
Un Viaggio nel Sud Globale: Destinazione Brasile
Recentemente, ho avuto la fortuna di esplorare queste idee in un contesto affascinante: il Brasile. Un gruppo di dieci futuri insegnanti neozelandesi ha partecipato a un programma di scambio culturale di tre settimane a San Paolo. L’obiettivo? Farli entrare in contatto con realtà educative diverse da quelle a cui erano abituati, spesso dominate dalle narrative del “Nord Globale”. Volevamo sfidare le loro prospettive e invitarli a re-immaginare le possibilità per le loro future aule. E credetemi, le sorprese non sono mancate!
Il progetto ci ha permesso di osservare le aule postdigitali da due angolazioni:
- Come noi educatori abbiamo progettato le esperienze di apprendimento per questi studenti, mettendo insieme vari elementi (visite, seminari, strumenti digitali per la riflessione come blog e Padlet).
- Come gli studenti neozelandesi hanno vissuto e riflettuto su queste esperienze, aprendosi a nuovi modi di pensare l’educazione.
Ibridità e Transmodernità: Le Lenti Latinoamericane
Per capire davvero cosa stava succedendo, ci siamo appoggiati a due concetti chiave provenienti proprio dall’America Latina: l’ibridità latinoamericana (di Canclini) e la transmodernità (di Dussel e altri). L’ibridità descrive la coesistenza, spesso stridente, di contraddizioni: ricchezza sfrenata accanto a povertà estrema (pensate alle favelas a ridosso dei quartieri di lusso), modernità avveniristica e tradizioni radicate, passato coloniale e aspirazioni future. Il Brasile ne è un esempio perfetto: il “paese del futuro” con città pianificate come Brasília, ma anche un luogo segnato da profonde disuguaglianze e dall’eredità della schiavitù. Questa ibridità non è solo un dato di fatto, ma un modo di vivere il postdigitale, complesso e imprevedibile.
La transmodernità, invece, ci sfida a superare l’idea eurocentrica di un progresso lineare e universale. Propone di abbracciare temporalità multiple e modi diversi di “essere nel tempo”. L’America Latina, vista così, non è un continente “in ritardo”, ma un focolaio di creatività e resistenza che reinterpreta concetti come democrazia, diritti umani ed educazione dal proprio punto di vista unico. È qui che entra in gioco Paulo Freire, il grande pedagogista brasiliano, con la sua idea di educazione come strumento di liberazione.

Questi concetti ci hanno aiutato a leggere le riflessioni degli studenti neozelandesi. Partiti con l’idea un po’ stereotipata di venire dal “Primo Mondo” evoluto al “Terzo Mondo” arretrato, si sono trovati spiazzati. Hanno visto scuole innovative e ben attrezzate, ma anche istituti con risorse minime. Hanno scoperto che il Sud Globale, spesso associato al passato, poteva offrire spunti incredibilmente moderni e alternativi per il futuro dell’educazione.
Evento 1: Il Seminario Universitario e i “Circoli di Conversazione”
Immaginatevi la scena: siamo in un’università pubblica brasiliana, sono le 8 di sera passate (orario comune per permettere agli studenti lavoratori di frequentare). L’edificio è semplice, cemento armato, aule funzionali ma senza fronzoli tecnologici particolari. Eppure, il campus brulica di vita. Entriamo in un’aula affollata, quasi 100 persone tra studenti brasiliani, docenti, il preside e i nostri dieci neozelandesi. Nonostante lo spazio ristretto, l’atmosfera è accogliente: cibo e bevande portati spontaneamente da tutti, e soprattutto, la disposizione. Tutti seduti in un grande cerchio, alla maniera freiriana, senza gerarchie visibili.
La discussione si accende subito sui modelli di formazione degli insegnanti (ITE). I brasiliani sono curiosi del sistema neozelandese, percepito come eccellente. I neozelandesi, a loro volta, iniziano a riflettere criticamente su ciò che hanno visto nelle scuole brasiliane e sul loro stesso percorso formativo. Emergono differenze notevoli. Per esempio, in Brasile i tirocini sono spesso focalizzati su aree disciplinari specifiche (matematica, scienze, arte) e richiedono agli studenti di identificare un problema reale nella scuola ospitante, ricercarlo e proporre una soluzione concreta. Un approccio molto più orientato all’azione e alla critica rispetto a quello neozelandese, percepito come più basato sull’osservazione passiva.
“All’UNIFESP, […] nel tirocinio prima osservano la scuola, poi […] propongono un progetto per migliorare l’educazione nella scuola. Questo ha creato un chiaro contrasto con le nostre esperienze come futuri insegnanti, dove ci si aspettava che osservassimo, ma non criticassimo, l’insegnamento nelle nostre scuole di tirocinio.” (Partecipante 4)
Un altro aspetto che colpisce i neozelandesi è la pervasività della consapevolezza politica. L’educazione in Brasile è vista come intrinsecamente politica, uno strumento per il cambiamento sociale.
“Uno del nostro gruppo [guida studentesca a scuola] ha menzionato come avessimo osservato in una scuola quanto gli studenti fossero coinvolti in politica, cosa che non vediamo spesso in Nuova Zelanda. Gli studenti dell’UNIFESP hanno sottolineato come l’educazione sia politica, e gli è stato detto di ricordarlo durante tutta la loro formazione. Hanno dovuto lottare per la loro educazione.” (Partecipante 5)
“Educazione e politica sono considerate inseparabili in Brasile, con gli studenti che si pongono domande come: ‘Come possiamo cambiare la nostra educazione? Come possiamo andare in classe e renderla migliore?’. In Nuova Zelanda tendiamo a separare la politica dalla scuola…” (Partecipante 6)
Questa immersione li porta a notare anche le connessioni profonde tra educazione e fattori socio-economici, come l’importanza della mensa scolastica gratuita per garantire la frequenza in contesti difficili. E, cosa fondamentale, iniziano a fare collegamenti con la loro realtà:
“…abbiamo discusso del contesto e del contenuto del curriculum. Siamo arrivati a capire che è importante decifrare da quale mondo stiamo basando i nostri insegnamenti […]. Dobbiamo essere chiari sui nostri principi e sulla nostra filosofia come insegnanti…” (Partecipante 5)
“Gli studenti brasiliani sono chiaramente potenziati dall’idea che l’educazione è politica; […] Potrebbe questo potenziare i nostri ākonga [studenti] in Aotearoa Nuova Zelanda?” (Partecipante 6)
Stavano iniziando a vedere il loro futuro ruolo di insegnanti sotto una nuova luce, immaginando aule postdigitali più critiche, consapevoli e forse anche più “politiche”.

Evento 2: Il Museo Ipiranga e le Storie Stratificate
Il secondo evento ci porta in un contesto non formale: il Museu do Ipiranga, uno dei musei storici più iconici del Brasile, dedicato all’indipendenza dal Portogallo. L’edificio è imponente, neoclassico, circondato da giardini ispirati a Versailles – un contrasto netto con la città circostante. La collezione originale raccontava la storia dal punto di vista delle élite di San Paolo. Oggi, essendo patrimonio protetto, non si possono modificare gli allestimenti originali. E qui arriva il colpo di genio postdigitale: i curatori hanno usato la tecnologia per sovrapporre nuove narrazioni agli oggetti esistenti. Tramite display digitali, iscrizioni luminose e altri interventi discreti, offrono interpretazioni alternative, contestualizzano le opere, danno voce a prospettive storicamente marginalizzate (donne, indigeni, afro-discendenti).
È un esempio lampante di ibridità e transmodernità in azione: il passato coloniale e la sua rappresentazione elitaria convivono materialmente con una rilettura critica contemporanea, resa possibile dal digitale. Gli studenti neozelandesi colgono subito questo aspetto:
“L’edificio e i manufatti sono protetti dalla legge, quindi non possono apportare modifiche se non quelle volte alla conservazione. […] La loro soluzione è stata installare display informativi che forniscono contro-punti, in modo che i visitatori possano vedere entrambe le prospettive e interrogarsi sulla loro storia, sulle pratiche attuali e sulla direzione futura del Brasile.” (Partecipante 2)
Notano anche i paralleli con la storia coloniale della Nuova Zelanda e il trattamento delle popolazioni Māori:
“Ciò che è stato più significativo per me è stata la volontà di continuare a esporre questi dipinti, ma con commenti che accompagnano l’opera contestando le rappresentazioni come false e/o al servizio di un certo scopo per la società dell’epoca. Mi fa considerare l’importanza di dire la verità sul nostro passato in Aotearoa attraverso l’educazione e non rifuggire dalla nostra vergogna come nazione su come abbiamo trattato (e continuiamo a trattare) le nostre popolazioni indigene.” (Partecipante 6)
Inoltre, apprezzano l’attenzione all’accessibilità, con supporti tattili, audio e Braille, vedendola come un esempio di Universal Design for Learning (UDL). Il museo diventa così uno spazio dove materiale e digitale si fondono per creare un’esperienza di apprendimento stratificata, critica e inclusiva.

Dagli Stereotipi all’Ispirazione: Immaginari in Evoluzione
Ricordate gli stereotipi iniziali? Prima di partire, su un Padlet, gli studenti avevano descritto il Brasile come la terra del “samba e del calcio”, del cibo esotico e della foresta amazzonica. Visioni comuni, certo, ma che spesso confinano il Sud Globale a un ruolo di meta turistica e folcloristica, raramente associata a innovazione educativa o pensiero critico avanzato.
Tre settimane dopo, le loro riflessioni (raccolte in forma anonima tramite un sondaggio) raccontano una storia diversa. Alla domanda su quale fosse stata l’esperienza più significativa, le risposte sono state illuminanti:
“Il cerchio di conversazione. È stato fantastico vederlo e mi ha aperto gli occhi su modi diversi per dare potere ai giovani affinché esprimano la loro opinione e condividano i loro apprendimenti, opinioni e idee.”
“Ho adorato come la voce degli studenti fosse incoraggiata dal corpo docente. È stato incredibile vedere come la politica sia coinvolta nell’educazione e le pedagogie critiche siano in prima linea nel loro insegnamento.”
“È stato un programma così guidato dagli studenti che incoraggiava l’impegno civico ogni giorno. Gli studenti venivano regolarmente incoraggiati a pensare con la propria testa.”
“Questa scuola [visitata] mi ha fatto riflettere sulla mia pratica didattica e su come posso migliorarla per le future classi in cui sarò. Ho amato le discussioni che gli studenti avevano e quanto fossero a loro agio nel condividere i loro pensieri e opinioni.”
Attenzione, questo non significa che la visione “samba e calcio” sia falsa. Fa parte della complessa realtà brasiliana, di cui i brasiliani sono orgogliosi. Ma l’esperienza ha permesso agli studenti neozelandesi di vedere oltre, di scoprire un Brasile anche luogo di innovazione pedagogica, di approcci comunitari, di riflessione critica. I loro “immaginari sociotecnici” sull’educazione si sono arricchiti, evoluti. Hanno capito che il Sud Globale non è solo un serbatoio di materie prime o cultura “esotica”, ma una fonte viva di idee e pratiche per ripensare l’educazione ovunque.

Lezioni per il Futuro: Cosa Portiamo a Casa?
Cosa ci insegna questa esperienza? Le lezioni sono tante, ma possiamo riassumerle in quattro punti:
- Lezioni Pedagogiche: La scoperta dei “circoli di conversazione” e di approcci più dialogici e centrati sullo studente ha offerto alternative concrete da portare nelle future classi.
- Lezioni Istituzionali: Vedere modelli di formazione insegnanti diversi, più orientati all’azione e all’impegno sociale nonostante le sfide strutturali, ha mostrato che esistono alternative valide ai sistemi a cui erano abituati.
- Lezioni Interculturali: Immergersi in una cultura diversa li ha portati a riflettere sulla propria identità, lingua e approcci educativi, sviluppando maggiore empatia e comprensione della diversità – fondamentale per insegnare in contesti multiculturali come la Nuova Zelanda.
- Lezioni di Transmodernità: L’incontro con temporalità diverse (la storia rivisitata al museo, i futuri alternativi immaginati nelle università) ha scardinato l’idea di un unico percorso di sviluppo, aprendoli a una visione più pluralistica e meno eurocentrica del mondo e dell’educazione.
Questo viaggio in Brasile ha dimostrato che guardare al Sud Globale può offrire spunti preziosi per immaginare e costruire le aule postdigitali del futuro, ovunque nel mondo. Non si tratta di copiare modelli, ma di lasciarsi ispirare, di mettere in discussione le nostre certezze e di aprirci a una pluralità di voci e di futuri possibili. È un invito a continuare a immaginare, a sperimentare e a imparare gli uni dagli altri, superando vecchi confini e stereotipi. E questo, credo, è il cuore pulsante di un’educazione veramente trasformativa.
Fonte: Springer
