Mister Inappetenza e l’Invecchiamento: C’è un Legame Nascosto nel Nostro DNA?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che, ammettiamolo, tocca molti di noi o qualcuno che conosciamo bene: la perdita di appetito quando si va avanti con gli anni. Sembra quasi una cosa “normale”, un piccolo fastidio dell’invecchiare. Ma se vi dicessi che dietro questa semplice mancanza di fame potrebbe nascondersi qualcosa di più profondo, legato proprio a come il nostro corpo invecchia a livello biologico? Intrigante, vero? Beh, mettetevi comodi perché sto per raccontarvi di uno studio super interessante che ha provato a vederci chiaro.
La Scintilla della Curiosità: Lo Studio INSPIRE-T
Avete presente quando gli scienziati si mettono in testa di svelare i misteri del corpo umano? Ecco, un gruppo di ricercatori si è chiesto: “Ma questa perdita di appetito, che chiamano anche anoressia dell’invecchiamento, è solo una questione di età anagrafica o c’entrano i nostri orologi biologici interni?” Per rispondere, hanno messo in piedi uno studio chiamato INSPIRE-T, a Tolosa, in Francia. Hanno coinvolto persone dai 21 ai ben 102 anni! L’idea era di confrontare chi soffriva di perdita di appetito (i “casi”) con chi invece mangiava con gusto (i “controlli”), cercando di capire se ci fossero differenze nei loro marcatori biologici dell’invecchiamento.
Per farla semplice, hanno preso 49 persone con perdita di appetito e, per ognuna di loro, hanno trovato due persone simili per sesso ed età che però non avevano questo problema. In totale, un bel gruppetto di 147 partecipanti, con un’età media di 79 anni. La domanda chiave per capire se c’era perdita di appetito era diretta: “Hai sperimentato una perdita di appetito?”. Una semplice domanda sì/no presa da uno strumento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
I Sospettati: I Marcatori Biologici dell’Invecchiamento
Ma quali sono questi famosi marcatori biologici? Immaginateli come degli indicatori che ci dicono quanto velocemente stiamo “invecchiando dentro”, al di là delle candeline sulla torta. Nello studio ne hanno usati diversi, presi da campioni di sangue:
- Orologi epigenetici basati sulla metilazione del DNA: Qui la faccenda si fa un po’ tecnica, ma pensatela così. Il nostro DNA può subire piccole modifiche chimiche (metilazioni) che non cambiano il codice genetico in sé, ma influenzano come i geni vengono “letti”. Questi schemi di metilazione cambiano con l’età, e gli scienziati hanno creato degli “orologi” (come Horvath, Hannum, PhenoAge e GrimAge) per stimare l’età biologica. I primi due sono di “prima generazione”, gli altri due di “seconda generazione”, considerati più precisi nel predire problemi di salute.
- L’orologio infiammatorio iAge: L’infiammazione cronica è una brutta bestia che accelera l’invecchiamento. Questo orologio misura proprio il ritmo dell’invecchiamento legato all’infiammazione. E sappiamo che l’infiammazione può mettere lo zampino nella regolazione dell’appetito.
- Il fattore inibitorio dell’Adenosina trifosfatasi 1 (IF1): Questo è un potenziale marcatore della salute dei nostri mitocondri, le centraline energetiche delle cellule. Se i mitocondri non funzionano bene, l’invecchiamento può accelerare.
L’ipotesi dei ricercatori era che un invecchiamento biologico più accelerato fosse collegato alla perdita di appetito. E avevano ragione, almeno in parte!
Il Colpevole è Uno Solo (o Quasi): GrimAge e la Perdita di Appetito
Dopo tutte le analisi, incrociando i dati e aggiustando per fattori come l’indice di massa corporea, il numero di farmaci assunti, sintomi depressivi, perdita di peso recente e deterioramento cognitivo, è emerso un nome su tutti: GrimAge. Sì, proprio lui, uno degli orologi epigenetici di seconda generazione! Le persone con perdita di appetito mostravano un’accelerazione dell’invecchiamento secondo GrimAge (Odds Ratio = 1.21, che significa un aumento del 21% del rischio per ogni “unità” di accelerazione). Questo legame è rimasto forte anche dopo aver considerato tutti gli altri fattori.
Ma perché proprio GrimAge? Beh, c’è una spiegazione piuttosto affascinante. Questo orologio non è stato creato a caso. È stato “allenato” usando proteine che sono direttamente collegate alla regolazione dell’appetito, come la leptina (l’ormone della sazietà) e il GDF15 (una proteina che sopprime l’appetito e spesso aumenta con l’invecchiamento e in condizioni di deperimento). Quindi, è come se GrimAge fosse particolarmente “sintonizzato” per captare i segnali legati ai cambiamenti dell’appetito dovuti all’età. Inoltre, la perdita di appetito è spesso un sintomo di un declino generale, di maggiore infiammazione e di più malattie, tutti aspetti che GrimAge sembra riflettere bene.
Non Siamo Tutti Uguali: Differenze di Età e Sesso
Scavando ancora più a fondo, i ricercatori hanno notato altre cose interessanti. L’associazione tra l’accelerazione di GrimAge e la perdita di appetito era significativa soprattutto:
- Nelle persone con più di 65 anni (Odds Ratio = 1.32). Forse perché negli anziani c’è più variabilità nell’accelerazione dell’invecchiamento, rendendo queste associazioni più facili da vedere. O magari, semplicemente, il gruppo dei più giovani era troppo piccolo per far emergere risultati statisticamente validi.
- Negli uomini (Odds Ratio = 2.09, un rischio più che raddoppiato!). Qui le ragioni sono meno chiare. Forse c’entra il fatto che GrimAge considera la leptina, i cui livelli sono influenzati dagli ormoni sessuali. O magari i fattori che scatenano la perdita di appetito sono diversi tra uomini e donne, e gli orologi biologici li colgono in modo differente. Ad esempio, gli uomini tendono ad accumulare più grasso viscerale, un fattore di rischio per malattie cardiovascolari che a loro volta possono influenzare l’appetito.
Nelle donne, invece, non sono emerse associazioni significative con nessun marcatore, anche se per PhenoAge (un altro orologio epigenetico) il risultato era quasi al limite della significatività.
E Gli Altri Marcatori? Un Silenzio Che Fa Riflettere
Sorprendentemente, l’orologio infiammatorio iAge non ha mostrato un legame significativo con la perdita di appetito. Questo è un po’ un rompicapo, perché, come dicevo, l’infiammazione è spesso chiamata in causa. Forse l’iAge non cattura proprio quelle specifiche vie infiammatorie che influenzano direttamente l’appetito. L’impatto dell’infiammazione sull’appetito è complesso: alcune citochine pro-infiammatorie lo riducono, ma altri meccanismi potrebbero avere effetti opposti. Insomma, c’è ancora da studiare!
Per quanto riguarda IF1, il marcatore mitocondriale, l’assenza di un legame potrebbe essere dovuta al fatto che l’analisi è stata fatta su un sottogruppo più piccolo di partecipanti, quindi con meno “potere” statistico. E poi, i livelli di IF1 nel sangue potrebbero non riflettere fedelmente quello che succede dentro i mitocondri.
Luci e Ombre dello Studio: Cosa Abbiamo Imparato e Cosa Manca
Ogni studio ha i suoi punti di forza e i suoi limiti. Un punto forte di questo lavoro è il disegno “caso-controllo” con abbinamento per età e sesso, che aiuta a ridurre potenziali fattori di confusione. È come confrontare mele con mele, invece che mele con pere.
Però, ci sono anche dei “ma”. La perdita di appetito è stata valutata con una singola domanda, che non coglie la gravità del problema o le sfumature individuali. Inoltre, alcuni dati, come i farmaci assunti, erano auto-riferiti, e questo può portare a qualche imprecisione. Il numero di persone con perdita di appetito era relativamente piccolo (49), il che potrebbe aver limitato la capacità di trovare altre associazioni. E infine, per non perdere troppi “casi” per dati mancanti, per valutare la depressione e la funzione cognitiva si sono usate domande di screening invece di test completi, il che potrebbe essere una semplificazione.
Il Futuro della Ricerca: Nuove Piste da Esplorare
Cosa ci portiamo a casa da tutto questo? Che c’è un legame, e sembra anche bello forte, tra un particolare tipo di invecchiamento biologico accelerato (quello misurato da GrimAge) e la perdita di appetito, soprattutto negli uomini e negli over 65. È come se il nostro corpo, invecchiando più in fretta a livello cellulare, mandasse segnali che si traducono anche in una minor voglia di mangiare.
Questo studio è il primo, a quanto ne so, a esplorare questo specifico legame e apre la strada a un sacco di domande nuove. Serviranno studi più grandi, magari che seguano le persone nel tempo (longitudinali), e che usino misure più dettagliate della perdita di appetito per capire meglio queste dinamiche. Chissà, magari un giorno queste scoperte potrebbero portare a nuove strategie per affrontare l’anoressia dell’invecchiamento, un problema che, vi assicuro, ha un impatto notevole sulla qualità della vita di tante persone.
Insomma, la scienza non si ferma mai, e ogni piccola scoperta ci aiuta a capire un po’ meglio la complessità meravigliosa (e a volte un po’ acciaccata) del nostro corpo che invecchia!
Fonte: Springer