Quando la TV Sdoganò Le Pen: Anatomia di un Terremoto Mediatico del 1984
Ragazzi, preparatevi perché oggi vi porto indietro nel tempo, precisamente al 13 febbraio 1984. Una data che a molti non dirà nulla, ma che per la Francia ha segnato un prima e un dopo, specialmente per quanto riguarda il panorama politico e mediatico. Parliamo di Jean-Marie Le Pen e della sua ospitata a L’Heure de vérité, il programma televisivo politico di punta del decennio. Immaginatevi la scena: circa 9 milioni di francesi incollati allo schermo. Un’enormità!
Fino a quel momento, il Front National (FN), il partito di Le Pen fondato nel 1972, era una realtà piuttosto marginale, quasi un fantasma sulla scena politica. Ma quella sera, qualcosa cambiò. Quattro mesi dopo, boom! Il FN conquistò 10 seggi al Parlamento Europeo, diventando uno dei primi partiti di estrema destra del dopoguerra a piantare una bandierina elettorale significativa in Europa. Un vero e proprio terremoto.
Il Contesto: Pressioni Presidenziali e Tentativi di Scredito
Ma come ci arrivò Le Pen su quel palco così ambito? Diciamocelo, la sua influenza all’epoca non giustificava affatto un invito a L’Heure de vérité. Pare ci sia stato lo zampino, o meglio, una certa pressione, nientemeno che del Presidente François Mitterrand. Già nei primi anni ’80, Le Pen aveva iniziato a farsi notare un po’ di più sui media, e questa ospitata fu la ciliegina sulla torta, o forse la miccia che accese il fuoco.
Dall’altra parte, però, i giornalisti in studio non è che gli stesero il tappeto rosso. Anzi, il loro obiettivo sembrava quello di metterlo all’angolo, di screditarlo. Eppure, come spesso accade in questi casi, l’effetto fu tutt’altro che quello sperato. Molti spettatori, infatti, non percepirono affatto Le Pen come il “cattivo” della situazione.
Questo episodio ci dice tantissimo su come i discorsi radicali possano, a volte, farsi strada nel “mainstream”, nel dibattito pubblico considerato normale. E non è solo colpa, o merito, dei media. Anche la politica “tradizionale” gioca un ruolo cruciale.
Le Lettere del Pubblico: Uno Sguardo Inedito
La cosa davvero affascinante, e un po’ insolita per l’epoca, è che questo articolo non si basa solo sull’analisi del contenuto dell’intervista. No, qui si va oltre: si analizzano 50 lettere inviate alla rete televisiva prima e dopo la trasmissione. Un vero spaccato dell’opinione pubblica di allora, un tesoro conservato oggi negli archivi dell’Institut national de l’audiovisuel a Parigi.
Queste lettere sono una miniera d’oro. Ci mostrano come l’intervista del 1984 abbia rotto dei tabù, scatenando un fiume di lamentele razziste, xenofobe e antisemite. Un contributo, ahimè, alla normalizzazione di certi attori e discorsi di estrema destra.
François-Henri de Virieu, il conduttore, aprì la puntata proprio così: “Come sapete, non tutti sono contenti di questo invito. Ci sono manifestazioni davanti a questo edificio. […] Le lettere che riceviamo ne sono testimonianza: Monsieur Le Pen, lei fa paura.” E poi, dritto al punto: “La fonte di questa paura è il modo in cui parla della presenza e dello status degli stranieri che vivono in Francia. Conosciamo i suoi manifesti […] ‘Due milioni di disoccupati, sono due milioni di immigrati di troppo’. È uno slogan di esclusione, che lei completa con un altro, ‘La Francia e i Francesi prima di tutto’. Allora, chi è lei veramente, Monsieur Le Pen, e cosa vuole?”
Vedete, il “mainstreaming” – quel processo per cui partiti, attori, discorsi o atteggiamenti passano da posizioni marginali a più centrali – è una faccenda complessa, che va in tante direzioni e coinvolge un sacco di gente. E i media, con chi decide cosa mandare in onda e come, sono figure chiave nel dettare l’agenda politica.
Il FN, come dicevo, era nato nel ’72, sull’onda dello “shock della decolonizzazione e il trauma della fine dell’Algeria francese”. All’inizio puntava sui valori familiari ultra-conservatori, ma presto virò sulla retorica anti-immigrazione. Con la crisi economica e la disoccupazione degli anni ’70, lo slogan “due milioni di disoccupati, due milioni di immigrati di troppo” divenne il suo marchio di fabbrica. Nonostante qualche denuncia per incitamento alla discriminazione razziale e risorse limitate, Le Pen attraversò quello che lui stesso definì il suo “periodo nel deserto”, con scarso successo elettorale e copertura mediatica minima.
L’Intervento di Mitterrand e l’Ascesa Mediatica
Nei primi anni ’80, la Francia era guidata da Mitterrand e dal Partito Socialista, in coalizione con i Comunisti. Una novità per la Quinta Repubblica, fino ad allora dominata dal centro-destra. Nonostante le riforme sociali, l’economia faticava. Mitterrand, forse fiutando il pericolo di un RPR (il partito gollista) in crescita, in un discorso del 1982 enfatizzò l’importanza del pluralismo politico. Le Pen colse la palla al balzo e scrisse a Mitterrand, lamentando la scarsa copertura mediatica del suo partito e appellandosi al presidente come “protettore naturale del rispetto dei diritti delle minoranze”. Ironico, per un politico anti-immigrazione, vero?
Mitterrand, incredibilmente, rispose in modo comprensivo, promettendo di interessare il Ministro della Comunicazione. E da lì, le interviste per Le Pen aumentarono leggermente. Poi, il primo successo elettorale a Dreux, dove il FN si alleò con l’RPR. Molti hanno ipotizzato che l’aiutino di Mitterrand fosse un calcolo politico per dividere il voto di destra e danneggiare l’RPR. Altri studiosi sono più cauti, ma una cosa è certa: l’apparizione del 1984 a L’Heure de vérité è citata da tutti come un momento cruciale.
Il programma, trasmesso in prima serata su Antenne 2 (uno dei soli tre canali all’epoca!), invitava solitamente politici di altissimo rango. L’invito a Le Pen, che non aveva nessun incarico nazionale o europeo, fu una vera sorpresa e una rottura con la norma. Pare ci furono parecchie discussioni interne alla rete, ma alla fine l’invito partì. E Mitterrand? Si dice che abbia inviato una lettera a Le Pen proprio il giorno dell’intervista.
Dentro l’Intervista: Un Fuoco Incrociato
Il format di HdV prevedeva una serie di interviste all’ospite da parte del conduttore de Virieu e altri tre giornalisti, con domande anche dal pubblico a casa. Fin da subito, fu chiaro che Le Pen era visto come un outsider pericoloso, antidemocratico ed estremista.
- François-Henri de Virieu iniziò chiedendo della pena di morte (Le Pen ne voleva il ripristino) e lo incalzò sulle associazioni con l’ideologia nazista. Le Pen negò, lamentandosi di essere “perseguitato”.
- Alain Duhamel, figura di spicco del giornalismo francese, lo interrogò sul suo impegno per la democrazia, sulle dichiarazioni offensive dei suoi collaboratori (specialmente contro Simone Veil, sopravvissuta all’Olocausto) e sulle sue simpatie per dittatori come Pinochet e Franco. Le Pen si dipinse come vittima della violenza e insinuò che certi commenti offendessero solo le élite “borghesi da salotto”. Accusato di essere un “apprendista stregone” per aver incolpato gli immigrati dei problemi dei lavoratori, Le Pen ribaltò l’accusa, dicendo che la vera responsabilità era di chi non diceva la “verità” sull’immigrazione.
- Jean-Louis Servan-Schreiber, all’epoca CEO di una rivista economica e, dettaglio non da poco, in causa con Le Pen, lesse una serie di citazioni antisemite e razziste attribuite a Le Pen o ai suoi. Le Pen si difese negando o minimizzando, apparendo sempre più esasperato e parlando di “inquisizione”. In un momento tesissimo, Servan-Schreiber tirò fuori un rapporto di polizia del 1957 che accusava Le Pen di tortura durante la Guerra d’Algeria. Le Pen, senza mai negare esplicitamente (aveva ammesso nel 1962), si agitò, accusando i comunisti di aver infangato l’esercito e rimproverando il giornalista di usare un rapporto di polizia invece di una sentenza.
- Albert du Roy, altro giornalista fisso del programma, gli diede un po’ più di spazio, ma cercò comunque di evidenziare le sue contraddizioni. Le Pen parlò di “egemonia sovietica” e del “pericolo mortale” dell’esplosione demografica del Terzo Mondo e del mondo “islamo-arabo”, lamentando che la Francia veniva “colonizzata”. In un momento a sorpresa, si alzò e chiese un minuto di silenzio per le vittime dei regimi comunisti.
Nelle sue battute finali, Le Pen toccò i suoi temi chiave: immigrazione, insicurezza, disoccupazione, “marxizzazione del paese”. E si propose come l’uomo “che non studia il popolo, ma che viene dal popolo”. Ancora una volta, il tribuno del popolo contro le élite.
Le Reazioni del Pubblico: Tra Sdegno e Appoggio
Come dicevo, le lettere inviate alla INA sono illuminanti. Circa un quinto esprimeva disapprovazione per Le Pen o per la decisione di invitarlo. Molte venivano da gruppi di interesse, sindacati, università, sezioni locali di partiti (soprattutto comunisti). Le parole chiave erano “banalizzazione” e “normalizzazione” dell’estrema destra. Alcuni scrivevano: “Avete trasformato l’immagine del torturatore in quella di un uomo rassicurante?” oppure “La televisione nazionale non dovrebbe confondersi con la stampa scandalistica”. Molti sottolineavano che Antenne 2, essendo pubblica, aveva una responsabilità e che razzismo e antisemitismo erano reati.
Poi c’era un gruppo più nutrito, oltre un terzo, che approvava la trasmissione e la possibilità data a Le Pen di esprimersi. E un altro terzo che, principalmente, criticava le domande e il comportamento dei giornalisti, specialmente Servan-Schreiber. Questi due gruppi spesso si sovrapponevano e le lettere provenivano quasi tutte da privati cittadini.
Tra chi approvava, molti ringraziavano la rete per aver “scoperto” Le Pen. Frasi come “Grazie, Monsieur Le Pen, abbiamo applaudito in famiglia e voteremo per lei” non erano rare. Un tema ricorrente era il “Non sono di destra/FN, MA…”. Sembrava un modo per apparire obiettivi. Un telespettatore scrisse: “Non ho mai votato estrema destra in vita mia, ma d’ora in poi ci penserò”. Molti esprimevano disgusto per il comunismo e simpatia per il minuto di silenzio di Le Pen.
Emergeva forte il discorso populista: Le Pen parlava per la “gente comune”, diceva cose che molti pensavano senza osare dirle, era un politico “onesto”. “Finalmente un politico che ama sinceramente il suo paese”, scriveva un ex prigioniero di guerra. Non mancavano, purtroppo, commenti apertamente razzisti e antisemiti, specialmente contro Servan-Schreiber, accusato di essere “più ebreo che francese” o di rischiare di “far diventare antisemiti” gli spettatori con il suo comportamento. Questo fa capire come Le Pen, con la sua “ambiguità calcolata”, riuscisse a sdoganare certi sentimenti latenti.
Molti spettatori si sentivano vittime, non tanto del razzismo, ma di un presunto classismo. Una signora scrisse: “Non ero razzista, ma siamo diventati razzisti e xenofobi”, lamentandosi poi che i media trattassero male categorie come i camionisti. Un altro si lamentava che i suoi vicini “di colore” beneficiassero dello stato sociale mentre le élite vivevano nel lusso.
La critica ai giornalisti era feroce: “aggressivi”, “parziali”, “elitari”. Molti riprendevano il termine “inquisizione” usato da Le Pen. E il risultato? “Non avevo particolari affinità con Le Pen. Il modo disgustoso e stupido con cui i vostri giornalisti hanno condotto il dibattito mi ha profondamente scioccato. Le Pen ha conquistato tutta la mia simpatia”, scriveva una spettatrice. Addirittura, c’era chi affermava: “Se Le Pen verrà eletto al Parlamento Europeo, lo dovrà a lui [Servan-Schreiber]”.
Cosa Ci Insegna Questa Storia?
Primo: quell’intervista fece conoscere Le Pen al grande pubblico francese. I giornalisti tentarono di “incastrarlo”, ma per molti spettatori l’effetto fu opposto: Le Pen ne uscì quasi come una vittima, rafforzando la sua narrazione. La sua performance, per alcuni, fu “autentica”.
Questo ci porta al dilemma dei media: come trattare figure di estrema destra senza aumentarne il prestigio? Come scrisse lo studioso Jacques Le Bohec, i giornalisti, accettando il confronto, non potevano non cercare di “metterlo alle strette”, altrimenti sarebbero stati accusati di complicità. Ma il principio stesso dello show era la “consacrazione” dell’ospite.
Secondo: la trasmissione contribuì indubbiamente alla normalizzazione dei discorsi di estrema destra. Le lettere ne sono la prova, con quel fiume di commenti razzisti e antisemiti. Si normalizzò anche un certo discorso vittimistico, quello del “razzismo anti-francese” o della persecuzione subita da Le Pen stesso.
È affascinante notare come tutti, pro e contro Le Pen, usassero argomenti pro-democratici e istituzionali. Chi era contro invocava la responsabilità della TV pubblica e le leggi antirazzismo, chiedendo pluralismo. Ma lo stesso pluralismo era invocato dai sostenitori di Le Pen, che magari chiedevano una democrazia più vicina alle “masse”.
Insomma, la scalata di Le Pen negli anni ’80 fu facilitata da attori mainstream, sia politici che mediatici. Mitterrand gli diede una mano, e L’Heure de vérité gli offrì un palcoscenico incredibile. Le Pen fu invitato ben nove volte tra il 1984 e la metà degli anni ’90! Questa visibilità mediatica, come dimostrano le lettere, porta alla ribalta e legittima certe idee.
Certo, l’esposizione ebbe anche un effetto paradossale: Le Pen fu messo sotto i riflettori come una potenziale minaccia alla democrazia. Nel 1988, invitato di nuovo dopo aver definito le camere a gas un “dettaglio della storia”, ci fu un’ondata di opposizione molto più vasta. Ma quel primo successo mediatico, reso possibile anche da attori mainstream, ha sicuramente contribuito all’influenza che il suo partito (oggi Rassemblement National, guidato dalla figlia Marine) ha ancora oggi, e al predominio di certi discorsi, ora ampiamente diffusi dalle reti private.
Una storia che, a distanza di decenni, fa ancora riflettere sul potere dei media e sulle sottili dinamiche della politica.
Fonte: Springer