Scena notturna cinematografica nelle strade trafficate e illuminate al neon di Hong Kong, asfalto bagnato che riflette le luci, una piccola troupe cinematografica indipendente al lavoro con attrezzature visibili, stile film noir, obiettivo grandangolare 20mm, lunga esposizione per catturare il movimento delle luci, messa a fuoco nitida sulla troupe.

Cinema a Debito: La Trappola Invisibile dei Creativi di Hong Kong

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi affascina e inquieta allo stesso tempo: il mondo del lavoro creativo, in particolare quello dell’industria cinematografica. Spesso pensiamo a registi, sceneggiatori, tecnici delle luci come a figure quasi mitologiche, immerse in un mondo di glamour e arte. Ma cosa succede quando grattiamo via la patina dorata? Basandomi su uno studio illuminante sull’industria cinematografica di Hong Kong, voglio esplorare un concetto che suona quasi paradossale: il “lavoro indebitato“.

No, non sto parlando del classico lavoro forzato per ripagare un debito preesistente (quello si chiama *bonded labour*), né del lavoro interinale tramite agenzia (*agency labour*). Qui la faccenda è più sottile, quasi beffarda. Immaginate di essere un professionista del cinema, un freelance pieno di talento e passione. Lavorate sodo, mettete anima e corpo nei progetti… e poi? Poi aspettate. Aspettate mesi, a volte anni, per essere pagati. Non avete debiti pregressi, ma vi ritrovate in una situazione di perenne “indebitamento” *verso voi stessi*, perché avete anticipato il valore del vostro lavoro, la vostra energia, il vostro tempo, senza vedere un soldo. Sembra assurdo, vero? Eppure, è una realtà diffusa.

Ma come si arriva a questo punto? Il fantasma della “Sussunzione Formale”

Per capirci qualcosa, dobbiamo scomodare un po’ di teoria, ma prometto di non essere noioso! Avete presente Karl Marx e la sua analisi del capitalismo? Bene, lui parlava di “sussunzione del lavoro sotto il capitale“. In parole povere, è il processo attraverso cui il lavoro viene messo al servizio del profitto capitalistico. Marx distingueva due forme:

  • Sussunzione formale: Il capitale prende il controllo di processi lavorativi già esistenti, senza rivoluzionarli tecnologicamente. Il profitto si fa allungando la giornata lavorativa o intensificandola (plusvalore assoluto). I lavoratori mantengono un certo controllo sui metodi e magari possiedono alcuni strumenti, ma dipendono dal capitalista per l’accesso al mercato e al capitale iniziale.
  • Sussunzione reale: Il capitale trasforma profondamente il modo di lavorare, introducendo nuove tecnologie e organizzazioni (plusvalore relativo). Il controllo del capitalista sul processo produttivo è totale.

La teoria classica vedeva la sussunzione formale come una fase transitoria, destinata a essere superata da quella reale nelle società capitalistiche avanzate. E qui casca l’asino, o meglio, il proiettore! Lo studio su Hong Kong ci dice che, incredibilmente, in un’industria iper-tecnologica, capital-intensive e specializzata come quella cinematografica, la sussunzione formale non solo persiste, ma prospera. Anzi, è proprio questa persistenza a creare le condizioni per il “lavoro indebitato”.

Fotografia di ritratto in bianco e nero, stile film noir, di un giovane filmmaker freelance a Hong Kong, espressione stanca ma determinata seduto in un caffè poco illuminato, profondità di campo ridotta, obiettivo 35mm.

Hong Kong: Un Caso Studio Eclatante

Hong Kong, un tempo definita la “Hollywood d’Oriente”, ha visto la sua industria cinematografica affrontare alti e bassi. Dopo il boom degli anni ’70-’80, la concorrenza globale (soprattutto di Hollywood) e altri fattori hanno ridimensionato il settore. In risposta, si è puntato su sussidi governativi e sulla formazione di nuovi talenti, sfornando un gran numero di laureati in discipline creative. Risultato? Un’enorme offerta di manodopera qualificata in un mercato del lavoro sempre più ristretto e casualizzato.

Qui entra in gioco il meccanismo perverso dell’esternalizzazione a cascata (outsourcing). Immaginate una piramide: in cima ci sono gli investitori, poi le grandi case di produzione, poi agenzie di marketing, poi piccole case di produzione indipendenti (spesso poco più che collettivi di freelance), e alla base, i singoli lavoratori freelance: sceneggiatori, tecnici, truccatori, montatori… A ogni passaggio verso il basso, il rischio finanziario viene scaricato. Chi ci rimette alla fine? Esatto, proprio i freelance alla base della piramide.

La Trappola Finanziaria: Lavorare “Portando i Soldi da Casa”

Il ritardo nei pagamenti o, peggio, il mancato pagamento, è la norma. Molti filmmaker intervistati raccontano di dover vivere con i soldi guadagnati tre mesi prima, rendendo le loro finanze incredibilmente precarie. Spesso non esiste un contratto scritto, solo accordi verbali o messaggi su social media. Recuperare i crediti diventa un’impresa titanica, costosa e che rischia di compromettere future opportunità lavorative.

Sentite cosa racconta Christy, costumista freelance: “Il lavoro nei film richiede di anticipare i soldi per gli acquisti… Ti danno un piccolo acconto, ma lo spendi in una settimana. Non puoi aspettare che ti rimborsino le ricevute… Quindi continui a usare i tuoi soldi per comprare roba per la produzione. Ecco perché diciamo che ‘portiamo i soldi al lavoro’. […] Per un lavoro [pubblicitario], in tre del reparto abbiamo anticipato centomila [dollari di Hong Kong], e ci abbiamo messo nove mesi per recuperarli. Pensavo che la compagnia fosse fallita.” Capite l’assurdità? Si lavora anticipando spese per l’azienda, indebitandosi di fatto per poter lavorare.

Fotografia macro, obiettivo 100mm, di attrezzatura cinematografica (cavi aggrovigliati, obiettivi, una vecchia cinepresa) appoggiata su un tavolo di legno in uno studio poco illuminato, alta definizione dei dettagli, luce controllata e drammatica.

Possedere i Propri Mezzi (e le Proprie Catene)

Un altro aspetto chiave della sussunzione formale è che i lavoratori spesso possiedono parte dei mezzi di produzione. Nel cinema di Hong Kong, è comune che tecnici delle luci, fonici e altri specialisti possiedano la propria costosa attrezzatura. Sembrerebbe un segno di autonomia, no? Sbagliato. In realtà, è un modo per scaricare sui lavoratori i costi di acquisto, manutenzione e aggiornamento tecnologico.

Bobby, un fonico, spiega: “La maggior parte inizia come microfonista e mette da parte soldi per comprare l’attrezzatura, perché è carissima… A livello professionale, i microfoni costano quarantamila-cinquantamila [dollari HK] l’uno, e te ne servono 12-13… Poi hai il mixer… in totale sette-ottocentomila dollari di attrezzatura. […] Ma l’attrezzatura si aggiorna rapidamente. Non puoi starle dietro.” Possedere gli strumenti non dà potere contrattuale, anzi, lega ancora di più il lavoratore a un sistema che lo costringe ad anticipare costi enormi, rendendolo vulnerabile all’obsolescenza tecnologica e ai capricci del mercato. È un altro modo per essere “indebitati” ancor prima di iniziare a lavorare.

Il Collante Sociale e Ideologico: Gratitudine Tossica e Reti Informali

Come fa a reggere un sistema così? Grazie a un mix di fattori sociali e ideologici.

  • Reti informali: L’accesso al lavoro dipende moltissimo dalle conoscenze, dal “giro giusto”. Questo crea una dipendenza dai contatti e rende difficile protestare o rivendicare i propri diritti per paura di essere esclusi.
  • Ideologia della gratitudine: In un mercato saturo, si diffonde l’idea che bisogna essere grati per qualsiasi opportunità, anche se sottopagata o non pagata. Frasi come “Se non lo fai tu, ci sono altri dieci pronti a farlo” sono all’ordine del giorno. Si accetta lo sfruttamento in nome dell'”esperienza” o della “passione”.
  • Paura di parlare: Denunciare apertamente le ingiustizie è rischioso. Si teme di essere etichettati come “problematici” e di non trovare più lavoro. Come dice Sammy, sceneggiatrice freelance: “Il problema più grande in questa industria è che se parli, non lavori più.”
  • Sindacati deboli: Le associazioni di categoria esistono, ma spesso sono più simili a club esclusivi che a veri sindacati combattivi, con scarsa rappresentanza dei giovani freelance e a volte con al loro interno figure dirigenziali più vicine alle case di produzione che ai lavoratori.

Questo mix crea una sorta di “obbligo morale passivo”, un’ideologia dell’indebitamento: sei indebitato verso chi ti dà lavoro, verso la rete che ti sostiene, verso l’industria stessa. E così, il cerchio vizioso si chiude.

Fotografia grandangolare, obiettivo 24mm, di una troupe cinematografica indipendente al lavoro di notte in una strada secondaria di Hong Kong, illuminata da luci al neon colorate, lunga esposizione per catturare scie luminose e movimento, messa a fuoco nitida sulla scena principale.

Perché Tutto Questo Ci Riguarda? Oltre Hong Kong

Potreste pensare: “Ok, interessante, ma è Hong Kong, un caso specifico”. E invece no. Il concetto di “lavoro indebitato” e la persistenza della sussunzione formale in settori apparentemente avanzati gettano una luce inquietante su tendenze globali. Pensate alla gig economy, al lavoro su piattaforma (dai rider ai traduttori online, ai grafici freelance). Non notate delle somiglianze?

Anche lì troviamo:

  • Lavoratori formalmente “liberi” ma economicamente precari.
  • Esternalizzazione dei rischi e dei costi (l’auto, la bici, il computer sono a carico del lavoratore).
  • Mancanza di tutele contrattuali e previdenziali tipiche del lavoro dipendente.
  • Dipendenza da algoritmi e piattaforme che fungono da intermediari opachi.
  • Una retorica dell'”imprenditorialità di sé” che maschera spesso condizioni di sfruttamento.

Il “lavoro indebitato”, quindi, non è solo un problema dei filmmaker di Hong Kong. È una lente potente per analizzare le nuove forme di precarietà e sfruttamento che emergono nell’economia digitale e creativa globale, dove la promessa neoliberista di libertà e flessibilità si scontra con la realtà di un’insicurezza costante e di un indebitamento strisciante.

Fotografia di ritratto, obiettivo 50mm, di un giovane lavoratore della gig economy (es. grafico freelance) che lavora al computer portatile in un caffè affollato, sfondo urbano sfocato, luce naturale dalla finestra, duotone seppia e blu per un'atmosfera malinconica.

In conclusione, la prossima volta che vedrete un film o ammirerete un prodotto creativo, pensateci un attimo. Dietro la magia, potrebbe nascondersi un esercito di “lavoratori indebitati”, intrappolati in un sistema che li costringe ad anticipare il valore del proprio lavoro, a possedere i propri mezzi di produzione come un fardello, e a sentirsi grati per le briciole. È una critica forte, lo so, ma credo sia fondamentale aprire gli occhi su queste dinamiche per capire davvero il presente e il futuro del lavoro.

Fonte: Springer

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