Lavorare più a lungo? Il segreto è nel benessere psicosociale sul posto di lavoro
Ciao a tutti! Avete notato anche voi? L’età avanza, non solo per noi singoli individui, ma per l’intera società. Nei paesi sviluppati, come il nostro Canada ma anche l’Italia e molti altri, più di un terzo della popolazione ha superato i 50 anni, e questa fetta diventa ogni anno più grande. Bello, no? Significa che viviamo più a lungo, grazie ai progressi della medicina e a stili di vita migliori. Ma c’è un rovescio della medaglia, soprattutto per il mondo del lavoro.
L’onda lunga dell’invecchiamento e la sete di lavoratori
Questo invecchiamento generale porta con sé una sfida non da poco: la carenza di manodopera. Pensateci: sempre più persone vanno in pensione (i famosi baby boomer stanno salutando la scrivania in massa!) e meno giovani entrano nel mercato per sostituirli. In Canada, per esempio, il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati si è drasticamente ridotto negli ultimi decenni. E questo mette sotto stress l’economia, le aziende (soprattutto quelle piccole e medie che faticano a trovare personale) e anche i sistemi di welfare.
La pandemia di COVID-19 ha poi peggiorato le cose. Sembra che abbia cambiato anche le carte in tavola nelle preferenze dei lavoratori: molti non sono più disposti ad accettare condizioni di lavoro pesanti o poco gratificanti. Risultato? Una carenza di lavoratori ancora più accentuata.
La risposta? Forse è trattenere i “senior” (ma come?)
Di fronte a questa situazione, molti paesi stanno cercando di incoraggiare le persone a rimanere attive nel mondo del lavoro anche oltre l’età pensionabile “classica”, ovviamente per chi può e per chi lo desidera. Non tutti vogliono o possono continuare, magari per motivi di salute o perché i datori di lavoro non offrono la flessibilità necessaria. Ma per quelli che sarebbero disposti, cosa fa davvero la differenza?
Qui entro in gioco io, o meglio, il tipo di ricerca che mi appassiona e di cui vi voglio parlare. Ci siamo chiesti: e se uno dei fattori chiave fosse l’ambiente di lavoro dal punto di vista psicosociale? Parliamo di come ci sentiamo trattati, del carico di lavoro, del controllo che abbiamo sulle nostre mansioni, del supporto che riceviamo da capi e colleghi, del giusto riconoscimento per gli sforzi fatti (il famoso equilibrio tra impegno e ricompensa), e del senso di giustizia all’interno dell’organizzazione.
Capire cosa ci fa restare (o andare via)
Finora, la ricerca si è concentrata molto sugli effetti negativi di un cattivo ambiente psicosociale sulla salute o sulla decisione di andare in pensione anticipatamente. Ma c’è molto di più da esplorare! Come questi fattori influenzano la decisione di restare, di rientrare dopo un periodo di stop, o magari di cercare un “lavoro ponte” dopo la pensione principale?
Il problema è che anche solo definire la “partecipazione al mercato del lavoro” per gli over 50 non è semplice. C’è chi parla di “job retention” (mantenere il posto), chi di “estensione della vita lavorativa”, chi di “rientro al lavoro”, chi di “unretirement” (il contrario del pensionamento), chi analizza l’età o il momento del pensionamento (anticipato o posticipato). Sono tutte sfaccettature diverse dello stesso fenomeno.
E attenzione: evitare i fattori che portano alla pensione anticipata non significa automaticamente promuovere la permanenza al lavoro. Sono due facce della medaglia, ma non necessariamente l’una l’opposto dell’altra.
Il nostro progetto: fare luce sui fattori psicosociali
Ecco perché abbiamo avviato un progetto ambizioso: una scoping review. Non spaventatevi per il termine tecnico! In pratica, è come fare una grande mappa di tutto quello che sappiamo finora, basandoci sugli studi più solidi. Vogliamo setacciare la letteratura scientifica mondiale (in inglese e francese, le lingue che padroneggiamo) per trovare tutte le ricerche quantitative longitudinali – cioè quelle che seguono le persone nel tempo, permettendoci di capire meglio i rapporti causa-effetto – che hanno indagato il legame tra i fattori psicosociali sul lavoro e la partecipazione lavorativa delle persone dai 50 anni in su.
Ci concentreremo in particolare su tre modelli teorici molto usati per studiare lo stress lavoro-correlato e il benessere in ufficio:
- Il modello Domanda-Controllo-Supporto (quanto lavoro hai, quanto controllo hai su di esso, quanto supporto ricevi).
- Il modello Sforzo-Ricompensa (l’equilibrio tra l’impegno che metti e quello che ricevi in cambio, non solo soldi ma anche stima, sicurezza, opportunità).
- Il modello della Giustizia Organizzativa (quanto senti che le decisioni e i trattamenti sul lavoro siano equi).
Ma terremo gli occhi aperti anche su altri fattori di rischio psicosociale, come le lunghe ore di lavoro, il mobbing o le molestie.
Cosa speriamo di scoprire (e perché è importante per tutti)
Il nostro obiettivo è duplice. Primo: capire come viene misurata nei vari studi la “partecipazione al mercato del lavoro” degli over 50 e se i risultati cambiano a seconda della definizione usata. Secondo, e più importante: mappare quali specifici fattori psicosociali sembrano favorire (o ostacolare) le diverse forme di partecipazione lavorativa in questa fascia d’età, tenendo conto anche delle possibili differenze tra uomini e donne.
Perché ci interessa tanto? Perché agire su questi fattori potrebbe essere una strategia potentissima per:
- Migliorare la salute e il benessere dei lavoratori senior.
- Promuovere un invecchiamento attivo e sano.
- Aiutare le aziende a trattenere personale esperto e qualificato.
- Contribuire ad alleviare la carenza di manodopera.
I risultati di questa ricerca potrebbero offrire indicazioni preziose a datori di lavoro, responsabili delle politiche del lavoro, sindacati e agli stessi lavoratori su come creare ambienti di lavoro più sani, inclusivi e capaci di valorizzare l’esperienza, magari attraverso pratiche di gestione dell’età, flessibilità, formazione continua e supporto nella transizione verso la pensione (o oltre!).
Insomma, stiamo cercando di mettere insieme i pezzi di un puzzle complesso ma fondamentale. Capire come il lavoro impatta sulla nostra vita dopo i 50 anni, e come possiamo renderlo un’esperienza positiva e sostenibile più a lungo, è una sfida che riguarda tutti noi. Vi terrò aggiornati su quello che scopriremo!
Fonte: Springer