Prime lens, 35mm, depth of field, un sofisticato allestimento di laboratorio che mostra un dispositivo laser rosso a bassa potenza puntato su un modello che rappresenta il tessuto cutaneo, con attrezzature scientifiche sullo sfondo, trasmettendo precisione e ricerca nella fotobiomodulazione per la guarigione delle ferite.

Laser e Pelle: Ho Trovato la Luce Giusta per Cicatrici da Sogno?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una cosa che mi affascina tantissimo: la possibilità di far guarire le ferite più in fretta e meglio, usando… la luce! Sì, avete capito bene. Nello specifico, mi sono tuffato in uno studio super interessante che ha esplorato il potenziale della luce laser rossa a bassa potenza (661 nm) per la guarigione delle ferite. E non su un modello qualsiasi, ma su topolini pigmentati e senza pelo, che per certi versi assomigliano di più alla nostra pelle rispetto ai classici topolini albini.

Ma cos’è questa Fotobiomodulazione?

Prima di addentrarci nei dettagli, spendiamo due parole sulla protagonista: la fotobiomodulazione (PBM). Immaginatela come una specie di “terapia della luce”. Si usano bassi livelli di luce rossa o nel vicino infrarosso per stimolare le cellule, un po’ come dare una spintarella energetica ai meccanismi di riparazione del nostro corpo. L’idea è quella di accelerare la guarigione, ridurre l’infiammazione e persino alleviare il dolore, il tutto senza scaldare i tessuti (niente effetto “arrosto”, per intenderci!). La luce, in questo “intervallo magico” tra i 600 e i 1350 nm, riesce a penetrare abbastanza in profondità nella pelle, attivando processi cellulari senza essere bloccata troppo da melanina, emoglobina o acqua. Sembra fantascienza, vero? Eppure, la scienza ci sta lavorando sodo. Il problema è che, nonostante tanti studi, non c’è ancora un protocollo standard: quanta luce? Per quanto tempo? Con che potenza? Un bel rompicapo!

L’esperimento: Topolini sotto i riflettori (rossi!)

Ed è qui che entra in gioco il nostro studio. L’obiettivo era proprio cercare di capire quali fossero i parametri di irradiazione ottimali. Abbiamo preso questi topolini speciali, chiamati SKH-hr2 (che hanno la pelle pigmentata, un dettaglio non da poco!), e abbiamo creato delle piccole ferite controllate sul loro dorso. Poi, li abbiamo divisi in gruppi: alcuni non ricevevano nessun trattamento laser (il gruppo di controllo, fondamentale per i confronti), mentre gli altri venivano irradiati quotidianamente con il nostro laser a 661 nm.
Abbiamo giocato con due dosi di energia principali: 2 J/cm² o 4 J/cm². Ma la cosa furba è che, per raggiungere queste dosi, abbiamo variato la densità di potenza (cioè l’intensità della luce) e, di conseguenza, il tempo di esposizione. Le densità di potenza testate erano 20, 50 o 100 mW/cm². Insomma, un bel mix di combinazioni!
Per valutare l’efficacia, abbiamo usato un arsenale di metodi:

  • Osservazione clinica e foto per misurare la riduzione dell’area della ferita.
  • Analisi istopatologica (cioè al microscopio) dei tessuti guariti per vedere la qualità della cicatrice, l’infiammazione, ecc.
  • Misurazione di parametri biofisici della pelle come idratazione, perdita d’acqua transepidermica (TEWL) e pH.
  • Una tecnica super figa chiamata spettroscopia Infrarossa a Trasformata di Fourier (FT-IR), che ci dà informazioni a livello molecolare sulla struttura delle proteine, come il collagene.

L’esperimento è andato avanti fino a che almeno il 70% dei topolini in un gruppo non avesse la ferita completamente chiusa.

Macro lens, 60mm, high detail, controlled lighting, close-up di un fascio laser rosso a bassa potenza (661 nm) applicato con precisione su una piccola ferita indotta sulla pelle di un topo senza pelo pigmentato in un ambiente di laboratorio sterile. Focus sull'interazione della luce con il tessuto cutaneo, evidenziando la strumentazione scientifica sullo sfondo.

I Risultati: La “Ricetta” Perfetta e Qualche Sorpresa

E qui arriva il bello! Abbiamo scoperto che la combinazione che ha dato i risultati migliori, sia in termini di velocità di guarigione che di riduzione dell’infiammazione, è stata quella con una densità di potenza di 50 mW/cm² e una dose di energia di 2 J/cm² (che corrispondeva a 40 secondi di irradiazione al giorno). Già dopo 10 giorni, le ferite di questi topolini apparivano decisamente meglio, e alla fine dell’esperimento (giorno 17), l’85,71% di loro aveva la ferita completamente chiusa, contro solo il 57,14% del gruppo di controllo. Non male, eh? Anche il gruppo con 50 mW/cm² ma con una dose di 4 J/cm² (80 secondi) ha mostrato buoni progressi.

Ma attenzione, non è tutto oro quello che luccica. C’è stato un gruppo che ci ha dato qualche grattacapo: quello irradiato con una bassa densità di potenza (20 mW/cm²) ma per un tempo più lungo per raggiungere i 4 J/cm² (cioè 200 secondi di luce). In alcuni di questi topolini (tre su sette, per la precisione) abbiamo osservato un sanguinamento sottocutaneo. Un effetto collaterale inaspettato! L’ipotesi è che l’irradiazione prolungata, anche se a bassa potenza, possa aver causato un’eccessiva vasodilatazione, portando alla rottura di qualche capillare vicino alla ferita. Questo è un dato importantissimo, perché è la prima volta, a quanto ne so, che si riporta un effetto avverso di questo tipo con la PBM.

Le analisi istopatologiche hanno confermato le osservazioni cliniche: il gruppo “50 mW/cm² per 40 secondi” aveva l’infiammazione più bassa e la cicatrice di migliore qualità. In generale, tutti i gruppi trattati con il laser mostravano meno infiammazione rispetto al gruppo di controllo, il che è un classico effetto benefico della PBM.
Per quanto riguarda i parametri biofisici come TEWL, idratazione e pH, non abbiamo visto differenze enormi tra i gruppi alla fine dell’esperimento, indicando che la barriera cutanea era ancora un po’ compromessa in tutti, come ci si aspetta dopo una ferita.

Dentro le Molecole: Cosa ci dice la Spettroscopia FT-IR

La spettroscopia FT-IR ci ha regalato delle chicche a livello molecolare. Confrontando gli spettri della pelle guarita, abbiamo visto che nel gruppo di controllo (non irradiato), il collagene sembrava aver cambiato un po’ la sua struttura “nativa” (la famosa alfa-elica) verso una configurazione diversa, forse a causa dello stress ossidativo e dell’infiammazione. Invece, nel gruppo trattato con la combinazione ottimale (50 mW/cm² e 2 J/cm²), il collagene sembrava aver mantenuto una struttura più simile a quella “sana”. Questo suggerisce una migliore qualità della guarigione.
Inoltre, la FT-IR ha evidenziato che usare densità di potenza elevate (come 100 mW/cm²) potrebbe alterare la struttura secondaria del collagene, portando alla formazione di proteine “simil-amiloidi”, il che non è proprio l’ideale. Questo ci dice che non è solo la quantità totale di energia a contare, ma come questa energia viene somministrata.

Macro lens, 100mm, high detail, precise focusing, rappresentazione astratta di fibre di collagene nel tessuto cutaneo, alcune appaiono sane e ben organizzate (struttura ad alfa-elica), altre leggermente disorganizzate, con sottili sfumature di luce rossa sullo sfondo a suggerire il trattamento di fotobiomodulazione. Illuminazione controllata per enfatizzare le texture.

Perché i Topolini Pigmentati? E la Melanina?

Una delle cose fighe di questo studio è l’uso di topolini pigmentati. La maggior parte delle ricerche simili è fatta su topi albini. Ma la nostra pelle contiene melanina, il pigmento che ci dà colore e ci protegge (un po’) dal sole. La melanina assorbe la luce, anche quella rossa, e questo può influenzare quanto in profondità arriva il trattamento e come interagisce con i tessuti. Quindi, studiare la PBM su un modello pigmentato è un passo avanti per capire come potrebbe funzionare sugli esseri umani, che hanno fototipi di pelle diversi.
La melanina potrebbe sia ridurre l’efficacia se assorbe troppa luce destinata agli strati più profondi, sia, come ipotizziamo per il caso del sanguinamento, contribuire a trasformare l’energia luminosa in calore o altri effetti se l’esposizione è troppo prolungata, specialmente nei tessuti pigmentati circostanti la ferita.

Cosa ci Portiamo a Casa?

Questo studio, secondo me, è un tassello importante. Ci dice che, almeno in questo modello animale, la luce laser rossa a 661 nm, usata con i parametri giusti (50 mW/cm² per 40 secondi, per una dose di 2 J/cm²), può davvero dare una mano a far guarire le ferite più in fretta e a ridurre l’infiammazione. Ma ci lancia anche un avvertimento: esagerare con i tempi di irradiazione, anche a basse potenze, potrebbe non essere una buona idea, specialmente su pelli pigmentate.
La spettroscopia FT-IR si è rivelata uno strumento potentissimo per “vedere” la qualità della guarigione a livello molecolare, confermando che la densità di potenza è cruciale.

Prime lens, 35mm, depth of field, immagine concettuale che mostra un fascio di luce rossa interagire delicatamente con una sezione trasversale di pelle umana, evidenziando lo strato di melanina e gli strati dermici più profondi, illustrando la penetrazione della luce per la fotobiomodulazione. Tonalità calde e illuminazione soffusa.

La morale della favola? La fotobiomodulazione è una promessa enorme, ma la strada per definire protocolli sicuri ed efficaci per tutti i tipi di pelle e per tutte le situazioni è ancora lunga. Bisogna fare molta attenzione, soprattutto con i dispositivi per uso domestico che si trovano sempre più facilmente online. Non sono giocattoli! Ogni pelle è diversa, e la presenza di melanina è un fattore da non sottovalutare.
Quindi, avanti tutta con la ricerca, perché capire a fondo questi meccanismi potrebbe davvero rivoluzionare il modo in cui trattiamo le ferite! E chissà, magari un giorno avremo davvero quella “luce magica” per cicatrici da sogno.

Fonte: Springer

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