Superbatteri in Ospedale: Gli Scarichi Ci Dicono Davvero Tutta la Verità sulla Klebsiella?
Amici, parliamoci chiaro: la questione dei batteri resistenti agli antibiotici, i cosiddetti “superbatteri”, è una di quelle gatte da pelare che ci fa sudare freddo. Tra questi tipacci, uno che spesso fa parlare di sé è la Klebsiella pneumoniae. È un batterio Gram-negativo che, in realtà, se ne starebbe buono buono sulla nostra pelle, in bocca o nell’intestino, ma che in ospedale può trasformarsi in un vero incubo, causando infezioni urinarie, respiratorie e del sangue, soprattutto in pazienti già debilitati. Fa parte di quel club esclusivo (e poco raccomandabile) chiamato ESKAPEE, un gruppo di patogeni noti per la loro spiccata capacità di sviluppare resistenze multiple ai farmaci.
Ora, la domanda che ci si pone da un po’ è: c’è un legame tra i ceppi di Klebsiella pneumoniae resistenti che troviamo nei pazienti e quelli che finiscono negli scarichi ospedalieri? L’idea di usare le acque reflue come una sorta di “spia” per monitorare la diffusione dell’antibiotico-resistenza (AMR) è affascinante e anche piuttosto economica. Si chiama epidemiologia basata sulle acque reflue (WBE) e sta prendendo sempre più piede. Ma funziona davvero per tutto e per tutti? È quello che si sono chiesti i ricercatori in uno studio recente, e vi anticipo: i risultati potrebbero sorprendervi.
L’Indagine: Pazienti vs. Scarichi Ospedalieri
Immaginatevi la scena: da una parte abbiamo i campioni clinici, prelevati direttamente dai pazienti di un ospedale regionale. Dall’altra, campioni di acqua raccolti dal punto di scarico finale dell’ospedale stesso, dove confluisce un po’ di tutto, dalle corsie ai laboratori. L’obiettivo? Confrontare i profili di resistenza agli antibiotici, i geni di resistenza (ARG), gli elementi genetici mobili (MGE – quelle “valigette” che i batteri usano per scambiarsi i geni di resistenza) e le relazioni filogenetiche (cioè, quanto sono “parenti” tra loro) dei ceppi di Klebsiella pneumoniae isolati da queste due fonti.
Per farlo, i nostri “detective scientifici” hanno messo in campo l’artiglieria pesante:
- Test di suscettibilità agli antibiotici (AST): per vedere a quali farmaci i batteri erano ancora sensibili e a quali avevano sviluppato resistenza.
- Sequenziamento dell’intero genoma (WGS): per leggere l’intero libretto di istruzioni genetiche di ogni batterio.
- Analisi bioinformatica: per scovare i geni di resistenza, gli elementi genetici mobili e ricostruire l’albero genealogico dei batteri.
Hanno preso 10 campioni sospetti dagli scarichi e 10 campioni clinici. Dopo il WGS, si sono concentrati su 10 isolati dagli scarichi e 6 isolati clinici confermati come Klebsiella pneumoniae. E qui inizia il bello.
I Risultati che Non Ti Aspetti: Un Divario Sorprendente
Se vi aspettavate che gli scarichi fossero uno specchio fedele di ciò che accade nei pazienti, preparatevi a una doccia fredda. I campioni clinici hanno mostrato una resistenza totale a un bel po’ di antibiotici comuni: cefuroxima, cefotaxima, piperacillina/tazobactam, gentamicina, tobramicina e trimetoprim/sulfametossazolo. Insomma, questi batteri erano dei veri carri armati! Portavano con sé un arsenale di geni di resistenza, tra cui quelli contro gli aminoglicosidi (come aph(6)-Id, aph(3’’)-Ib), i beta-lattamici (blaSHV, blaOXA, blaTEM) e i fluorochinoloni (oqxA, oqxB).
E quelli degli scarichi? Beh, qui la storia cambia. La maggior parte di questi batteri era sorprendentemente sensibile a quasi tutti gli antibiotici testati. Le uniche resistenze significative (100%) erano verso amoxicillina/acido clavulanico e piperacillina/tazobactam, e una piccola percentuale (10%) alla tigeciclina. Anche il loro “resistoma” (l’insieme dei geni di resistenza) era molto meno variegato rispetto ai cugini clinici. Per esempio, non avevano geni di resistenza agli aminoglicosidi, il che combaciava con la loro sensibilità a questi farmaci.
Interessante notare che, mentre solo il 33,33% dei campioni clinici era resistente ai carbapenemi (antibiotici di ultima linea), questi stessi isolati erano resistenti anche all’amikacina. Negli scarichi, invece, nessun ceppo ha mostrato resistenza ai carbapenemi. Questo è un dato importante, perché la diffusione di batteri resistenti ai carbapenemi è una delle maggiori preoccupazioni sanitarie a livello globale.
Dentro il DNA dei Batteri: Cosa Ci Raccontano i Geni?
L’analisi genetica ha confermato questo divario. I ceppi clinici erano pieni zeppi di geni di resistenza. Tutti e sei portavano geni per la resistenza ai beta-lattamici, con blaCTX-M-15 e blaTEM-1B presenti in ogni singolo campione. Negli isolati dagli scarichi, solo la metà aveva il gene blaSHV-1 (che conferisce una resistenza intrinseca all’ampicillina in K. pneumoniae). Il temibile gene blaNDM-1, che conferisce resistenza ai carbapenemi, è stato trovato solo in due dei campioni clinici.
E gli elementi genetici mobili? Anche qui, differenze notevoli. I geni di resistenza nei campioni clinici erano spesso associati a sequenze di inserzione e trasposoni (elementi che “saltano” nel DNA, portando con sé i geni). Il gene blaCTX-M-15, ad esempio, era spesso trasportato dal trasposone Tn3. Quattro dei sei isolati clinici avevano anche integroni di classe 1, strutture genetiche note per catturare e diffondere cassette geniche di resistenza. Negli isolati dagli scarichi, invece, la maggior parte dei geni di resistenza non era associata a questi elementi mobili e non sono stati trovati integroni di classe 1. Questo suggerisce una minore capacità, o almeno una minore attività recente, di acquisire e scambiare geni di resistenza per i batteri presenti nelle acque reflue analizzate in questo studio.
L’analisi filogenetica, che è un po’ come fare il test del DNA per vedere chi è parente di chi nel mondo batterico, ha dato il colpo di grazia all’ipotesi di una correlazione diretta: i ceppi di Klebsiella pneumoniae dagli scarichi e quelli clinici di questo studio non erano strettamente imparentati. Anzi, gli isolati dagli scarichi formavano un gruppo a sé, più simile ad altri ceppi ambientali sudafricani, mentre quelli clinici si raggruppavano con altri ceppi clinici o ambientali, ma distinti da quelli degli scarichi dello stesso ospedale. Tutti gli isolati dagli scarichi condividevano lo stesso tipo di sequenza (ST29), mentre quelli clinici mostravano più varietà (ST17, ST348, ST152).
Nessuna Correlazione Diretta, Ma la Guardia Resta Alta
Quindi, cosa ci dice tutto questo? Beh, in questo specifico studio, non è emersa una correlazione chiara tra i profili di resistenza della Klebsiella pneumoniae trovata nei pazienti e quella isolata dagli scarichi ospedalieri. I batteri “cattivi” che infettano i pazienti sembravano essere un gruppo diverso da quelli che nuotavano nelle fogne dell’ospedale.
Questo non significa che l’epidemiologia basata sulle acque reflue sia inutile, anzi! Può fornire dati preziosi a livello di popolazione e aiutare a capire le tendenze generali dell’AMR. Tuttavia, come sottolineano gli stessi ricercatori, potrebbe non essere uno specchio perfetto di ciò che accade a livello individuale o per ogni singola specie batterica e per ogni tipo di antibiotico. La relazione tra l’AMR negli scarichi ospedalieri e la resistenza clinica è probabilmente complessa e dipende da molti fattori, inclusi gli agenti antimicrobici specifici e le specie batteriche studiate.
Una cosa è certa: anche se in questo caso gli scarichi non riflettevano direttamente la situazione clinica per la Klebsiella pneumoniae, la presenza di batteri resistenti (anche se con profili diversi) nelle acque reflue ospedaliere non va sottovalutata. Gli ospedali rimangono potenziali “hotspot” per lo sviluppo e la diffusione della resistenza, e le loro acque reflue possono contribuire a disperdere questi batteri e i loro geni nell’ambiente.
Lo studio, sebbene limitato da un breve periodo di osservazione e da un numero ridotto di campioni provenienti da una singola regione, ci ricorda che la battaglia contro l’antibiotico-resistenza è complessa e richiede un monitoraggio continuo e strategie diversificate. Non possiamo abbassare la guardia, né in corsia né tantomeno… negli scarichi!
Fonte: Springer