Immagine concettuale fotorealistica, macro lens 100mm, che mostra un liposoma sferico luminoso che rilascia delicatamente molecole di ivermectina (rappresentate come piccole sfere brillanti) verso una membrana cellulare stilizzata, high detail, precise focusing, controlled lighting, sfondo scuro per enfatizzare il soggetto.

Ivermectina e Liposomi: La Coppia Vincente per Sconfiggere le Malattie?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di veramente affascinante che sta succedendo nel mondo della ricerca farmacologica. Avete mai sentito parlare dell’Ivermectina? È un farmaco pazzesco, approvato dalla FDA americana, che usiamo da anni per combattere un sacco di malattie tropicali dimenticate, come l’oncocercosi, le elmintiasi e persino la scabbia. Pensate, è in giro dagli anni ’80! Recentemente, ha mostrato anche un potenziale incredibile come inibitore di alcuni virus a RNA, tipo il SARS-CoV-2. Mica male, eh?

Il Grosso Problema dell’Ivermectina: L’Acqua Non le Piace!

C’è un “ma”, un grosso “ma”. L’Ivermectina è terribilmente idrofobica. Che significa? In parole povere, odia l’acqua, è praticamente insolubile. E questo è un bel problema per un farmaco. Se non si scioglie bene nei fluidi corporei, la sua biodisponibilità (cioè quanto farmaco raggiunge effettivamente il bersaglio nel nostro corpo) è bassa e la sua efficacia terapeutica ne risente parecchio. Immaginate di dover annaffiare una pianta con olio invece che con acqua: non funziona granché bene, giusto?

Il suo coefficiente di partizione (logP), che misura quanto una sostanza preferisce un ambiente grasso rispetto all’acqua, è altissimo: 5.83! Questo ci dice che l’Ivermectina si trova molto più a suo agio nei grassi che nell’acqua. Questa sua natura “lipofila” è dovuta alla sua struttura chimica complessa, un anello macrociclico lattonico con un sacco di gruppi idrofobici.

Questa scarsa solubilità non solo limita l’efficacia, ma può anche portare a problemi di tossicità. Per farla funzionare, potremmo essere tentati di usarne dosi alte, ma l’Ivermectina può attraversare la barriera emato-encefalica (quella che protegge il nostro cervello) e causare effetti collaterali, specialmente neurotossicità, come atassia o tremori, soprattutto negli animali. Negli umani, a dosi terapeutiche è generalmente sicura, ma possono comunque capitare vertigini, nausea o problemi gastrointestinali. Riuscire a trovare la dose giusta, efficace ma non tossica, è una vera sfida.

La Soluzione Geniale: I Liposomi Come “Cavalli di Troia”

Allora, come facciamo a “convincere” l’Ivermectina a lavorare meglio nel nostro corpo, superando la sua avversione per l’acqua e i rischi di tossicità? Qui entrano in gioco i liposomi! Cosa sono? Immaginate delle microscopiche bollicine, delle sferette fatte dello stesso materiale delle nostre membrane cellulari (lipidi, cioè grassi), con un cuore acquoso. Sono dei veri e propri “corrieri” nanotecnologici.

I vantaggi di usare i liposomi per trasportare farmaci come l’Ivermectina sono tantissimi:

  • Migliorano la solubilità dei farmaci idrofobici (come la nostra Ivermectina).
  • Possono mirare passivamente alle cellule del sistema immunitario (che spesso sono coinvolte nelle infezioni).
  • Permettono un rilascio controllato e sostenuto del farmaco.
  • Migliorano la penetrazione nei tessuti.
  • Sono biocompatibili e hanno bassa tossicità intrinseca.

In pratica, incapsuliamo l’Ivermectina dentro queste “navicelle” lipidiche. Sfruttiamo proprio la sua natura lipofila: si trova benissimo nello strato grasso del liposoma! Così la rendiamo più “appetibile” per il nostro corpo.

Illustrazione scientifica, macro lens 100mm, che mostra liposomi sferici in sospensione acquosa, alcuni sezionati per rivelare l'incapsulamento di molecole di ivermectina all'interno del doppio strato lipidico, high detail, precise focusing, controlled lighting.

Come Abbiamo Creato i Nostri Liposomi “Carichi”

Nel nostro studio (e in uno precedente a cui facciamo riferimento), abbiamo preparato questi liposomi speciali caricati con Ivermectina. Abbiamo usato un metodo chiamato iniezione di etanolo: è semplice, sicuro e riproducibile, e permette di ottenere liposomi piccoli e uniformi senza troppi passaggi complicati.

Abbiamo mescolato diversi lipidi: fosfatidilcolina di soia (SPC), dioleilfosfatidilcolina (DOPC), colesterolo (Ch) e dicetilfosfato (DCP), in due diverse proporzioni molari (1.85:1:0.15 e 7:2:1 tra SPC/DOPC:Ch:DCP). La scelta dei lipidi e delle loro proporzioni è fondamentale, perché influenza le caratteristiche finali dei liposomi: dimensione, carica superficiale (potenziale zeta), stabilità e, come vedremo, la loro capacità di entrare nelle cellule.

Abbiamo caratterizzato a fondo questi liposomi: misurato la dimensione delle particelle (che variava da circa 100 a 500 nm, più grandi rispetto ai liposomi vuoti), l’indice di polidispersità (PDI, che ci dice quanto sono uniformi le dimensioni) e il potenziale zeta (che era negativo, intorno a -50 mV, indicando una buona stabilità grazie alla repulsione elettrostatica). Abbiamo anche misurato quanta Ivermectina riuscivamo a incapsulare (efficienza di incapsulamento, EE%) e come veniva rilasciata nel tempo (profilo di rilascio). Le immagini al microscopio elettronico a trasmissione (TEM) hanno confermato la forma sferica dei nostri liposomi.

I Risultati Sorprendenti: Meno Tossicità, Più Assorbimento!

E ora, la parte più succosa: cosa abbiamo scoperto testando questi liposomi sulle cellule? Abbiamo usato una linea cellulare specifica, le cellule Vero E6 (cellule renali di scimmia verde africana), che sono un modello standard e molto usato negli studi virologici e per testare farmaci.

Primo risultato chiave: la citotossicità. Abbiamo misurato la concentrazione di farmaco che uccide il 50% delle cellule (CC50). Per l’Ivermectina libera, la CC50 era di circa 10 µM. Abbastanza tossica a concentrazioni relativamente basse. Ma per le nostre formulazioni liposomiali? La CC50 era superiore a 110 µM! Questo significa che l’Ivermectina incapsulata nei liposomi è molto, molto meno tossica per le cellule rispetto al farmaco libero. Un risultato fantastico! Pensiamo che questo accada perché il liposoma rilascia il farmaco gradualmente, evitando quel picco di concentrazione immediato che può “stressare” e danneggiare le cellule attivando percorsi come quello dell’autofagia (un meccanismo di “autodistruzione” cellulare).

Grafico scientifico comparativo, stile infografica, che mostra barre di citotossicità (CC50) molto più alte per l'ivermectina liposomiale rispetto all'ivermectina libera su cellule Vero E6, high detail, colori chiari e contrastanti.

Secondo risultato chiave: l’assorbimento cellulare. Qui arriva la sorpresa. Nonostante fosse meno tossica, l’Ivermectina nei liposomi entrava nelle cellule Vero E6 molto di più rispetto all’Ivermectina libera! Abbiamo misurato che solo il 2% dell’Ivermectina libera veniva internalizzato dalle cellule dopo 6 ore. E con i liposomi? L’assorbimento variava dal 13% fino a un incredibile 66%!

Come è possibile? I liposomi hanno meccanismi speciali per interagire con le membrane cellulari. Possono fondersi con esse, rilasciando il contenuto all’interno, oppure essere “inghiottiti” interamente dalla cellula (tramite processi come l’endocitosi). La composizione lipidica gioca un ruolo cruciale: abbiamo visto che la formulazione chiamata #DOPC1.85-Ch1-IVM3 (quella con DOPC e un rapporto più basso di lipidi rispetto al colesterolo) mostrava l’assorbimento cellulare più alto. Questo suggerisce che la fluidità della membrana del liposoma (influenzata dal tipo di fosfolipide, DOPC è più fluido di SPC a temperatura corporea) è importante per l’efficienza della consegna.

Cosa Significa Tutto Questo?

Mettiamo insieme i pezzi: i liposomi rendono l’Ivermectina molto meno tossica e ne aumentano drasticamente l’ingresso nelle cellule bersaglio. Sembra una contraddizione, ma non lo è! La chiave è il rilascio controllato. Anche se più farmaco entra nella cellula nel tempo, non arriva tutto insieme in modo “violento”. Il liposoma agisce come un dosatore, rilasciando l’Ivermectina più lentamente. Questo permette alla cellula di gestire meglio il farmaco, ottenendo l’effetto terapeutico desiderato senza subire danni tossici immediati.

Diagramma schematico, visualizzazione 3D, che illustra il meccanismo d'azione: un liposoma si avvicina a una membrana cellulare, si fonde o viene endocitato, rilasciando gradualmente le molecole di ivermectina all'interno della cellula, high detail, colori vivaci.

Questo studio dimostra chiaramente che l’incapsulamento liposomiale è una strategia estremamente promettente per migliorare l’efficacia dell’Ivermectina (e potenzialmente di altri farmaci idrofobici). Riducendo la tossicità e aumentando l’assorbimento cellulare, potremmo riuscire a usare questo farmaco in modo più sicuro ed efficace, magari anche per nuove applicazioni come quelle antivirali.

Uno Sguardo al Futuro

Certo, la ricerca non si ferma qui. I prossimi passi potrebbero includere la modifica della superficie dei liposomi, ad esempio con il PEG (PEGilazione) per farli circolare più a lungo nel sangue, o aggiungendo “ligandi” specifici per farli andare a colpire solo certi tipi di cellule o tessuti (liposomi “intelligenti” o immuno-liposomi). Capire ancora meglio i meccanismi precisi con cui le cellule assorbono questi diversi tipi di liposomi ci aiuterà a progettarli in modo sempre più razionale ed efficiente.

Insomma, la strada è aperta e le potenzialità sono enormi. L’accoppiata Ivermectina-liposomi potrebbe davvero rappresentare una nuova arma potente nel nostro arsenale terapeutico! Staremo a vedere cosa ci riserverà il futuro.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *