Acqua e Letame: Il Segreto per un Mais Più Produttivo e Meno Inquinante?
Amici appassionati di agricoltura e ambiente, oggi voglio parlarvi di una scoperta che mi ha davvero entusiasmato e che potrebbe cambiare il modo in cui pensiamo alla coltivazione del mais, specialmente quando usiamo il buon vecchio letame come fertilizzante. Sappiamo tutti quanto l’agricoltura sia fondamentale, ma anche quanto possa impattare sul nostro pianeta, soprattutto in termini di emissioni di gas serra. Ebbene, pare ci sia un modo per coltivare il nostro amato mais da insilato ottenendo rese maggiori e, udite udite, riducendo le emissioni di CO2 per ogni chilo di prodotto. Sembra un sogno, vero? E invece è scienza!
Il Dilemma del Letame e le Emissioni di CO2
Partiamo da un presupposto: il letame è una risorsa preziosissima. Migliora il suolo, apporta nutrienti, è l’oro nero degli agricoltori biologici e non solo. Però, c’è un “ma”. Quando il letame viene aggiunto al terreno, la sua rapida mineralizzazione, specialmente dopo le piogge o le irrigazioni, scatena un’intensa attività microbica. Questi microrganismi, lavorando sodo, rilasciano una quantità significativa di CO2 nell’atmosfera. Questo processo, oltre a contribuire all’effetto serra, porta a un impoverimento del carbonio organico nel suolo, che non è esattamente una buona notizia per la sua fertilità a lungo termine.
L’agricoltura, nel suo complesso, è responsabile di circa un quarto delle emissioni globali di gas serra prodotte dalle attività umane. E il CO2 è uno dei principali imputati quando si parla di cambiamenti climatici. Il suolo stesso gioca un ruolo enorme, con circa il 10% del CO2 atmosferico che passa attraverso di esso ogni anno. Pratiche come la gestione del letame, l’uso di fertilizzanti azotati e l’irrigazione sono tutte fonti significative di queste emissioni. Quindi, la domanda che ci siamo posti è: come possiamo ottimizzare le cose per una produzione sostenibile, specialmente quando usiamo il letame?
L’Esperimento: Acqua, Letame e Mais sotto la Lente
Per cercare di rispondere a questa domanda, è stato condotto uno studio molto interessante (i cui dettagli mi hanno davvero catturato!). Immaginatevi dei campi sperimentali di mais da insilato, coltivati in Turchia, in una zona dal clima semi-arido. In questi campi, sono stati messi a confronto due tipi di fertilizzazione: una minerale (chimica, per intenderci) e una organica, con letame bovino maturo. Ma non è finita qui! Per ciascun tipo di fertilizzazione, sono stati testati tre diversi regimi di irrigazione, che ho chiamato IR1, IR2 e IR3.
- IR1: irrigazione frequente, ogni volta che il deficit idrico stimato raggiungeva i 25 mm.
- IR2: irrigazione intermedia, con un deficit di 50 mm.
- IR3: irrigazione meno frequente, con un deficit di 75 mm.
L’idea era di vedere come queste diverse combinazioni influenzassero le emissioni di CO2 dal suolo, misurate con un sofisticato analizzatore a infrarossi, ma anche la resa del mais e il consumo di acqua. L’ipotesi di partenza era che un’irrigazione frequente, in terreni fertilizzati con letame, potesse ridurre le emissioni di CO2 per unità di prodotto, grazie a un aumento della resa del mais. Una scommessa audace!
Le misurazioni delle emissioni di CO2 sono state fatte con grande cura durante tutto il periodo di crescita del mais, dalla semina al raccolto, prestando particolare attenzione ai momenti critici come subito dopo la semina (quando il terreno è più disturbato) e prima e dopo ogni irrigazione. Questo perché i cicli di asciugatura e reidratazione del suolo sono noti per stimolare picchi di attività microbica e, di conseguenza, di emissioni.

I Risultati: Sorprese e Conferme
E qui viene il bello! Come ci si poteva aspettare, l’uso di letame ha aumentato le emissioni di CO2 per unità di superficie, il consumo d’acqua e la resa rispetto alla fertilizzazione minerale. Nello specifico, le emissioni di CO2 per ettaro sono state 2.7 volte maggiori, il consumo d’acqua 2.8 volte e la resa 2.0 volte superiore con il letame. Questo è logico: più materia organica significa più “cibo” per i microbi e quindi più CO2 rilasciata, ma anche piante più felici e produttive.
Analizzando i regimi di irrigazione, si è visto che il trattamento IR1 (irrigazione frequente) ha portato a un aumento delle emissioni di CO2 per unità di superficie (1.08 volte in più rispetto a IR3) e per unità di acqua consumata (1.16 volte in più). Questo perché un terreno costantemente umido favorisce la mineralizzazione della materia organica. “Ma allora qual è la buona notizia?”, vi chiederete. Eccola: lo stesso trattamento IR1 ha causato una diminuzione del 1.41 volte delle emissioni per unità di resa! In pratica, l’aumento di resa è stato così significativo da “compensare” l’aumento delle emissioni assolute, rendendo ogni chilo di mais prodotto più “leggero” in termini di CO2.
Il trattamento che ha dato i risultati migliori in termini di riduzione delle emissioni per unità di resa, pur avendo emissioni assolute più alte, è stato il MIR1 (Letame + Irrigazione Frequente). Rispetto al MIR3 (Letame + Irrigazione Meno Frequente), il MIR1 ha mostrato una diminuzione di 1.57 volte delle emissioni per chilo di prodotto. Certo, le emissioni per unità di resa del MIR1 erano comunque superiori del 75.4% rispetto al FIR1 (Fertilizzazione Minerale + Irrigazione Frequente), ma il punto chiave è che, nell’ambito della fertilizzazione organica, l’irrigazione frequente si è rivelata la strategia vincente per l’efficienza carbonica della produzione.
Perché Succede Questo? Umidità e Temperatura in Gioco
Cerchiamo di capire il meccanismo. Le emissioni costanti di CO2 durante la stagione di crescita sono dovute al continuo consumo di carbonio organico nel suolo. L’aumento dell’umidità del suolo e, in questo specifico studio, una diminuzione della temperatura del suolo (dovuta all’effetto raffreddante dell’acqua di irrigazione più frequente) hanno contribuito all’aumento delle emissioni. Sembra controintuitivo che una temperatura più bassa porti a più emissioni, ma in questo caso l’effetto dominante è stato quello dell’umidità.
Molti studi confermano che le emissioni di CO2 sono fortemente correlate all’umidità e alla temperatura del suolo. L’acqua aggiunta dopo un periodo di siccità può “risvegliare” i microbi, aumentando la loro attività e il consumo di carbonio. In questo esperimento, si è osservata una correlazione positiva e lineare tra le emissioni di CO2 e l’umidità del suolo a diverse profondità. È interessante notare che c’era una correlazione negativa tra l’umidità del suolo e la sua temperatura: più acqua significava suolo leggermente più fresco. E, sorprendentemente, le emissioni di CO2 aumentavano al diminuire della temperatura del suolo, suggerendo che, in queste condizioni mediterranee con estati secche, l’umidità è il fattore scatenante principale, più della temperatura, per le emissioni di CO2.
Il trattamento IR1, con irrigazioni più frequenti, manteneva il suolo costantemente più umido, vicino alla capacità di campo. Questa condizione è ideale per l’attività microbica, che decompone la materia organica e rilascia CO2. Quindi, sì, più emissioni assolute, ma anche una crescita più vigorosa delle piante.

Cosa Significa Tutto Ciò per Noi?
La conclusione è piuttosto chiara e, per me, molto incoraggiante: un’irrigazione frequente in terreni fertilizzati con letame riduce le emissioni di CO2 per unità di resa nel mais da insilato. Questo perché rese più elevate, ottenute con una gestione ottimale dell’irrigazione, possono portare a una maggiore riduzione delle emissioni di CO2 per ogni chilo di prodotto. È un po’ come dire che, anche se la “fabbrica” (il campo) emette un po’ di più in totale, diventa molto più efficiente nel produrre ogni singolo “pezzo” (ogni chilo di mais).
Questo approccio potrebbe essere una strategia preziosa per mitigare l’impatto ambientale dell’agricoltura e supportare la lotta contro il cambiamento climatico globale. Produrre di più sulla stessa superficie, o addirittura su meno terra grazie a rese maggiori, significa anche ridurre la pressione su nuovi terreni da convertire all’agricoltura. Certo, è fondamentale continuare la ricerca, magari esaminando questi aspetti su scala di bacino e considerando diversi sistemi di coltivazione del mais. Ma la strada sembra tracciata: un’agricoltura più produttiva può anche essere un’agricoltura più amica del clima, se gestita con intelligenza e attenzione ai dettagli come l’irrigazione.
Per me, questa è la dimostrazione che la scienza agronomica, quando si sposa con la consapevolezza ambientale, può davvero fare la differenza. E voi, cosa ne pensate? Siete pronti a riconsiderare le vostre strategie di irrigazione?
Fonte: Springer
