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Calcio in Gravidanza: Un Tesoro Nascosto (e Mancante) per le Mamme Tanzaniane

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta molto a cuore e che, ammettiamolo, spesso sottovalutiamo: l’importanza del calcio, soprattutto durante un periodo delicato e meraviglioso come la gravidanza. Mi sono imbattuto in uno studio recente, pubblicato su Springer, che getta una luce affascinante (e un po’ preoccupante) sulla situazione delle future mamme in Tanzania. Il titolo originale è “Predictors of maternal hypocalcemia among pregnant women attending at a tertiary referral hospital in Tanzania: a cross-sectional study”, ma cerchiamo di capire insieme, con parole semplici, cosa significa e perché dovrebbe interessarci.

Cos’è l’Ipocalcemia e Perché Preoccupa in Gravidanza?

Partiamo dalle basi. L’ipocalcemia non è altro che un termine medico per indicare bassi livelli di calcio nel sangue. Ora, perché è un problema, specialmente per una donna incinta? Beh, durante la gravidanza, il corpo della mamma lavora a pieno ritmo per costruire un nuovo essere umano, e indovinate un po’? Il calcio è uno dei mattoncini fondamentali, soprattutto per lo sviluppo delle ossa del feto. La richiesta di calcio aumenta tantissimo, parliamo di 300-350 mg in più al giorno!

Il corpo materno è una macchina incredibile e di solito si adatta aumentando l’assorbimento del calcio dalla dieta e, se necessario, prelevandolo dalle proprie riserve (le ossa). Ma cosa succede se la dieta è già povera di calcio, come purtroppo accade spesso in molti paesi africani a causa di fattori socio-economici? O se ci sono altri fattori che interferiscono? Ecco che si rischia l’ipocalcemia materna.

E non è solo una questione di ossa. Bassi livelli di calcio sono stati collegati a un aumentato rischio di problemi seri come la preeclampsia-eclampsia (PE-E), una condizione pericolosa caratterizzata da alta pressione sanguigna e altri sintomi che possono mettere a rischio mamma e bambino. Il calcio, infatti, sembra giocare un ruolo nella regolazione della pressione sanguigna e ha anche proprietà antiossidanti. Non a caso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda un’integrazione di calcio (1.5-2.0 g al giorno) proprio per ridurre il rischio di PE-E nelle popolazioni con basso apporto dietetico.

Lo Studio Tanzaniano: Numeri e Fatti

Veniamo allo studio condotto presso il Bugando Medical Centre (BMC) a Mwanza, in Tanzania, uno dei principali ospedali del paese. I ricercatori hanno coinvolto 651 donne incinte (con età gestazionale di almeno 20 settimane) tra giugno 2022 e gennaio 2023. Hanno raccolto dati socio-demografici, clinici e, ovviamente, hanno misurato i livelli di calcio nel sangue.

Il risultato principale? La prevalenza dell’ipocalcemia materna è risultata del 23.2%. Avete capito bene: quasi una donna incinta su quattro tra quelle esaminate aveva livelli di calcio più bassi del normale. Un dato che fa riflettere, non trovate?

Ritratto fotografico di una donna incinta tanzaniana in una clinica, luce naturale soffusa che entra da una finestra, obiettivo 35mm, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo della stanza medica, espressione pensierosa ma serena, bianco e nero.

Chi è Più a Rischio? I Fattori Predittivi

Ma lo studio non si è fermato qui. Ha cercato di capire quali fattori fossero associati a un rischio maggiore di ipocalcemia. E qui le cose si fanno ancora più interessanti. Sono emersi alcuni “predittori” indipendenti, ovvero fattori che, anche tenendo conto degli altri, sembrano aumentare significativamente le probabilità di avere bassi livelli di calcio. Eccoli:

  • Gravidanza multipla (gemellare, trigemellare, ecc.): Il rischio schizza alle stelle! Pensate, le donne con gravidanze multiple avevano una probabilità quasi 12 volte maggiore di essere ipocalcemiche. Logico, no? Se già un feto richiede tanto calcio, immaginate due o più!
  • Storia pregressa di preeclampsia-eclampsia (PE-E): Le donne che avevano già avuto PE-E in passato avevano un rischio circa doppio. Questo suggerisce che potrebbe esserci una disfunzione persistente nella regolazione del calcio o altri fattori infiammatori cronici legati alla precedente condizione.
  • Mancanza di integrazione di calcio durante le visite prenatali: Questo è un punto cruciale. Le donne che non avevano ricevuto integratori di calcio avevano una probabilità quasi 12 volte maggiore di avere ipocalcemia. Dimostra quanto sia fondamentale l’integrazione, dato che la sola dieta spesso non basta.
  • Meno di 4 visite prenatali: Frequentare regolarmente le visite prenatali è importante. Le donne che ne avevano fatte meno di 4 avevano un rischio quasi doppio. Questo potrebbe essere legato sia alla minor probabilità di ricevere integratori, sia alla mancanza di educazione nutrizionale e monitoraggio.
  • Residenza in aree rurali: Le donne provenienti da zone rurali avevano un rischio quasi 3 volte maggiore rispetto a quelle delle aree urbane. Qui entrano in gioco diversi fattori: minor accesso ai servizi sanitari, status socio-economico più basso, possibile dieta meno varia e ricca di calcio, minor livello di istruzione e consapevolezza sull’importanza delle cure prenatali.
  • Uso di Solfato di Magnesio (MgSO4) e/o Calcio-Antagonisti (CCB): Qui il rischio era altissimo (quasi 19 volte maggiore). Attenzione però: questi farmaci sono spesso usati proprio per trattare complicazioni come la preeclampsia grave. Quindi, più che una causa diretta dell’ipocalcemia “comune”, questo dato probabilmente riflette il fatto che le donne che necessitano di queste terapie sono già in una situazione clinica complessa, spesso associata a squilibri del calcio.

Confronto Globale e Possibili Spiegazioni

È interessante notare come il 23.2% di prevalenza trovato in questo studio tanzaniano sia più basso rispetto a studi condotti in India (66.4%), Cina (39.0%), Algeria (70.6%) e Camerun (59%), ma simile o leggermente inferiore a studi nigeriani (25-29%). Perché queste differenze? I ricercatori ipotizzano diverse ragioni:

  • Dieta: La disponibilità e il consumo di cibi ricchi di calcio (come latticini, verdure a foglia verde, pesce) varia enormemente da regione a regione e dipende da fattori culturali ed economici.
  • Genetica: Esistono predisposizioni genetiche che influenzano l’assorbimento del calcio o la tolleranza al lattosio.
  • Accesso all’assistenza sanitaria e all’integrazione: La diffusione e l’aderenza ai programmi di supplementazione di calcio fanno una grande differenza.

Fotografia macro di compresse di integratori di calcio sparse su un tavolo di legno rustico, obiettivo macro 100mm, alta definizione dei dettagli delle compresse, illuminazione controllata laterale che crea ombre morbide.

Un dato che ha sorpreso anche me è che, contrariamente ad altri studi, in questo caso l’età gestazionale avanzata (terzo trimestre) non è emersa come un fattore di rischio significativo. Di solito, nel terzo trimestre la richiesta fetale è massima e i livelli materni tendono a scendere. Gli autori suggeriscono che in contesti dove la malnutrizione e la carenza di calcio sono già diffuse, questo andamento “fisiologico” potrebbe essere mascherato da una condizione di base precaria, oppure l’aderenza all’integrazione (quando presente) potrebbe non essere costante.

Cosa Possiamo Imparare? Le Raccomandazioni

Questo studio, pur con i suoi limiti (è stato condotto in un solo ospedale terziario, non ha potuto valutare nel dettaglio l’apporto dietetico di calcio), ci lascia messaggi importanti. L’ipocalcemia materna è un problema reale e diffuso in Tanzania, e probabilmente in molte altre aree simili. Ma la buona notizia è che molti dei fattori di rischio sono modificabili.

Le raccomandazioni degli autori sono chiare e condivisibili:

  1. Screening di routine: Bisognerebbe controllare i livelli di calcio nelle donne incinte durante le visite prenatali, specialmente in quelle considerate a rischio.
  2. Integrazione di calcio: L’aderenza alle linee guida che raccomandano la supplementazione di calcio dovrebbe essere rigorosa. Visto che la gravidanza di per sé abbassa i livelli di calcio, l’integrazione dovrebbe essere considerata per tutte le donne incinte, non solo per quelle a rischio evidente.
  3. Educazione nutrizionale: È fondamentale parlare con le future mamme dell’importanza di una dieta ricca di calcio, suggerendo alimenti accessibili localmente. Le visite prenatali sono il momento ideale per farlo.

Insomma, questo studio dalla Tanzania ci ricorda che prendersi cura della salute materna passa anche attraverso l’attenzione a nutrienti essenziali come il calcio. Identificare chi è più a rischio e intervenire con screening, integrazione ed educazione può davvero fare la differenza per la salute delle mamme e dei loro bambini. Un piccolo minerale, un grande impatto!

Fonte: Springer

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