Neonati Prematuri Estremi e Lattato: Un Legame Pericoloso con Sorprese a Lungo Termine
Eccoci qui, a parlare di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che, credetemi, tocca le vite dei più piccoli e vulnerabili tra noi: i neonati estremamente pretermine, quelli che gli addetti ai lavori chiamano ELBW (Extremely Low Birth Weight), ovvero con un peso alla nascita inferiore ai 1000 grammi. Immaginatevi questi guerrieri in miniatura, che iniziano la loro vita affrontando sfide enormi. La medicina neonatale ha fatto passi da gigante, è vero, ma per questi piccolini il percorso è spesso in salita, lastricato di rischi sia a breve che a lungo termine. Parliamo di una mortalità più che ventuplicata rispetto ai nati a termine e di un’alta incidenza di complicazioni serie, per non parlare dei deficit di sviluppo che possono colpire un terzo dei sopravvissuti.
Capire i Segnali: L’Importanza dei Predittori Precoci
In questo scenario, capite bene quanto sia cruciale avere dei “predittori” affidabili, dei segnali che ci aiutino a capire chi è più a rischio, per poter prendere decisioni cliniche mirate e offrire un counselling genitoriale informato. Abbiamo studiato tanti fattori prenatali – età gestazionale, peso, sesso, uso di steroidi antenatali, tipo di parto – ma solo di recente abbiamo iniziato a concentrarci seriamente sui fattori che intervengono subito prima, durante o immediatamente dopo la nascita. E sta diventando sempre più chiaro che gli eventi in questa finestra temporale hanno un impatto pazzesco sugli esiti.
Uno dei “cattivi” più noti in neonatologia è l’asfissia, quella brutta bestia che si manifesta con una carenza critica di ossigeno. Ma definirla e identificarla nei neonati ELBW è un bel rompicapo. Le definizioni classiche, spesso pensate per i nati a termine, mal si adattano a questi scriccioli. Ecco perché si cercano marcatori clinici più “universali”, meno influenzati da età gestazionale e peso, e disponibili subito: come il pH e il lattato nel sangue del cordone ombelicale (il cosiddetto uABG, emogasanalisi arteriosa ombelicale).
Lattato e pH: Cosa ci Dicono Davvero?
Il pH ci dà un’idea dell’equilibrio acido-base generale, ma non distingue bene tra problemi respiratori e metabolici. Il lattato, invece, è un marcatore diretto del metabolismo anaerobico, quello che si attiva quando le cellule non hanno abbastanza ossigeno. È, insomma, una spia più specifica dell’ipossia cellulare.
Qui, però, bisogna fare una distinzione importante:
- Iperlattatemia isolata: lattato alto, ma pH ancora nei limiti. Potrebbe indicare episodi di ipossia transitori o compensati.
- Acidosi lattica: lattato alto E pH basso. Segno di un’ipossia più severa o prolungata, con il corpo che non riesce più a compensare.
La domanda che ci siamo posti, e che ha guidato lo studio di cui vi parlo oggi, condotto al Klinikum Kassel in Germania, è: che impatto hanno queste due condizioni, prese singolarmente o insieme, sulla mortalità, sulle malattie e sullo sviluppo neurologico a lungo termine dei neonati ELBW?
Lo Studio: Un’Analisi Approfondita su Piccoli Pazienti
Abbiamo analizzato retrospettivamente i dati di neonati ELBW nati tra il 2015 e il 2023, sottoposti ad emogasanalisi dal cordone ombelicale subito dopo la nascita. Abbiamo definito l’iperlattatemia isolata come un lattato > 7.00 mmol/L con pH ≥ 7.10, e l’acidosi lattica come lattato > 7.00 mmol/L con pH < 7.10. I controlli, invece, avevano valori di lattato ≤ 7 mmol/L e pH ≥ 7.10. Per analizzare gli esiti, abbiamo usato un approccio "caso-controllo" abbinato 1:2, cioè per ogni caso con iperlattatemia o acidosi lattica, abbiamo selezionato due controlli con caratteristiche simili (età gestazionale, peso, sesso, ecc.) ma senza queste alterazioni emogasanalitiche.
Su 241 pazienti eleggibili, ne abbiamo identificati 150 come controlli, 47 con iperlattatemia isolata e 26 con acidosi lattica. E i risultati, ve lo dico subito, sono stati piuttosto eloquenti, soprattutto per quanto riguarda gli esiti a breve termine.
I Risultati a Breve Termine: Un Quadro Preoccupante
Partiamo dalla mortalità a 28 giorni. Ebbene, è risultata significativamente aumentata sia nei piccoli con iperlattatemia isolata (un rischio quasi 30 volte maggiore!) sia, in modo ancora più marcato, in quelli con acidosi lattica (rischio aumentato di 27 volte). Dati che fanno riflettere, non c’è che dire.
Ma non è finita qui. L’iperlattatemia isolata si è associata anche a un rischio maggiore di sviluppare diverse patologie tipiche della prematurità:
- Enterocolite necrotizzante (NEC) di stadio ≥ 2 (rischio 10 volte maggiore)
- Displasia broncopolmonare (BPD) di grado ≥ moderato (rischio quasi 3 volte maggiore)
- Retinopatia del prematuro (ROP) di grado ≥ 2 (rischio quasi 14 volte maggiore)
- Emorragia intraventricolare (IVH) di grado ≥ 2 (rischio quasi 3 volte maggiore)
- Sepsi (rischio quasi 17 volte maggiore, un dato impressionante)
- Dotto arterioso pervio (PDA) emodinamicamente significativo
- Iperbilirubinemia richiedente fototerapia
I neonati con acidosi lattica hanno mostrato un profilo di rischio per queste complicanze a breve termine ancora più pronunciato per alcune di esse, come la ROP (rischio aumentato di oltre 29 volte) e l’IVH (rischio più che sestuplicato). Per la sepsi, l’aumento dell’incidenza c’era, ma non ha raggiunto la significatività statistica in questo gruppo specifico, a differenza del gruppo con iperlattatemia isolata dove il legame era fortissimo.
Questi dati ci dicono che un elevato livello di lattato nel cordone ombelicale, specialmente se associato a un pH basso, è un campanello d’allarme molto serio per la salute immediata di questi neonati fragilissimi. Fisiopatologicamente, alti livelli di lattato possono disturbare le vie di segnalazione cellulare, indurre infiammazione ed esercitare effetti immunosoppressivi, esacerbando i rischi, specialmente in sistemi d’organo ancora immaturi. I nostri valori soglia più alti per lattato e pH (> 7.0 mmol/L e 5.00 mmol/L). Con questa soglia, l’iperlattatemia isolata ha mostrato un’associazione significativa solo con la sepsi, mentre gli aumenti per mortalità e altre morbilità non erano statisticamente significativi. Questo sottolinea l’importanza di identificare la soglia “giusta” o la combinazione di marcatori (come lattato + pH) per predire al meglio il rischio.
E a Lungo Termine? La Sorpresa dello Sviluppo Neurologico
E qui arriva la parte che potrebbe sorprendere. Quando siamo andati a vedere gli esiti neuroevolutivi a 24 mesi di età corretta, valutati con le scale Bayley (BSID-III), non abbiamo trovato differenze statisticamente significative tra i gruppi. Né il gruppo con iperlattatemia isolata né quello con acidosi lattica hanno mostrato un’incidenza maggiore di ritardi severi dello sviluppo rispetto ai loro controlli.
Attenzione, però! Questo risultato va preso con le pinze. Perché? Per via del cosiddetto “survivorship bias” e dell’alto tasso di perdita al follow-up. Nel gruppo con iperlattatemia, abbiamo potuto riesaminare solo il 44.7% dei pazienti, e nel gruppo con acidosi lattica addirittura solo l’11.1%! Con così tanti bambini “persi” al controllo a lungo termine (molti perché, purtroppo, non ce l’hanno fatta, altri per motivi logistici o trasferimenti), è difficile trarre conclusioni definitive. È possibile che i bambini sopravvissuti e che siamo riusciti a rivalutare fossero intrinsecamente più resilienti, mascherando un potenziale impatto negativo a lungo termine.
Cosa ci Portiamo a Casa?
Questo studio, il primo a esaminare specificamente i livelli di lattato nel sangue arterioso ombelicale (uABG) nei neonati pretermine e la loro relazione con gli esiti clinici, ci ha dato conferme importanti e qualche spunto nuovo.
L’iperlattatemia e l’acidosi lattica nel sangue del cordone sono associate a un rischio drammaticamente aumentato di mortalità a 28 giorni e a tassi significativamente più elevati di complicanze gravi nei neonati ELBW. Questi risultati sono in linea con studi precedenti ma ampliano il campo concentrandosi sull’uABG, che ci dà informazioni dirette sull’ipossia o ischemia avvenuta in utero.
Il fatto che non siano emerse differenze significative negli esiti neuroevolutivi a 24 mesi è, come detto, probabilmente influenzato dalla massiccia perdita al follow-up. È un classico problema degli studi retrospettivi e su popolazioni così fragili.
Nonostante i limiti (studio monocentrico, numerosità campionaria ridotta per l’analisi a lungo termine, potenziale di confondimento dato dal disegno retrospettivo), i nostri risultati sottolineano l’importanza per ostetrici e neonatologi di essere consapevoli delle conseguenze deleterie dell’iperlattatemia e dell’acidosi lattica da sangue cordonale nei neonati ELBW.
Queste scoperte dovrebbero spingerci a riflettere sulle decisioni prenatali relative ai tempi del parto e sulle strategie postnatali per la stratificazione del rischio, la sorveglianza e gli interventi profilattici mirati per i neonati ad alto rischio.
La ricerca futura? Dovrebbe orientarsi verso studi prospettici, multicentrici, che includano analisi multiple dell’emogasanalisi nei primi giorni di vita. L’obiettivo è definire soglie precise di lattato con sensibilità e specificità ottimali per predire gli esiti avversi. Questo ci aiuterebbe a capire ancora meglio il significato prognostico dell’iperlattatemia ombelicale e le sue implicazioni per la pratica clinica. Un piccolo passo alla volta, per dare a questi minuscoli lottatori le migliori possibilità possibili.
Fonte: Springer