Medico in un pronto soccorso moderno che esamina i dati su un tablet, sullo sfondo un monitor con un tracciato cardiaco e una flebo. Atmosfera di urgenza controllata. Zoom lens, 50mm, depth of field, illuminazione clinica ma non fredda.

Iperglicemia in Pronto Soccorso: Un Mese ad Alto Rischio Dopo la Visita

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che tocca da vicino tantissime persone: il diabete e, in particolare, cosa succede quando un picco di iperglicemia ti porta dritto al pronto soccorso. Sappiamo che gestire il diabete non è una passeggiata e, a volte, nonostante tutti gli sforzi, la glicemia può schizzare alle stelle. Ma cosa accade *dopo* quella visita urgente? È solo un episodio isolato o c’è dell’altro?

Ecco, è proprio quello che ci siamo chiesti anche noi ricercatori. Studi precedenti, spesso basati su dati raccolti a posteriori (retrospettivi), ci avevano già suggerito che chi ha un diabete non perfettamente controllato finisce per “usare” di più il sistema sanitario, soprattutto il pronto soccorso (PS), rispetto a chi ha un buon controllo glicemico. Ma volevamo vederci più chiaro, con dati freschi e raccolti sul momento (prospettici).

Perché uno studio nuovo? Cosa mancava?

Vi chiederete: ma non si sapeva già abbastanza? In parte sì, ma c’erano dei buchi importanti. Gli studi passati, analizzando vecchie cartelle cliniche, avevano dei limiti. Non potevano dirci molto su aspetti che, per chi vive col diabete, sono fondamentali:

  • Quanto tempo si perde dal lavoro o dallo studio dopo una visita in PS per iperglicemia?
  • Ci sono state modifiche alla terapia?
  • Si è riusciti a vedere il proprio medico o specialista dopo l’episodio?

E poi c’era un’altra questione cruciale, soprattutto nel contesto canadese (dove è stato fatto lo studio, ma è rilevante ovunque): l’impatto di fattori come l’etnia e lo stato socioeconomico. Questi dati non vengono quasi mai raccolti di routine e sono poco presenti nella ricerca, ma sappiamo che influenzano tantissimo la salute e l’accesso alle cure. Insomma, serviva uno studio che guardasse avanti, non indietro, e che ascoltasse anche la voce dei pazienti su cosa è davvero importante per loro.

Come abbiamo fatto? La nostra indagine sul campo

Abbiamo messo in piedi uno studio chiamato “prospettico multicentrico”. Che paroloni! In pratica, abbiamo seguito per 30 giorni un gruppo di adulti che si sono presentati in quattro grandi pronto soccorso universitari dell’Ontario, in Canada, per iperglicemia, chetoacidosi diabetica o stato iperosmolare iperglicemico. Non importava se avessero diabete di tipo 1 o 2, se fossero stati ricoverati o dimessi, o se avessero altri problemi di salute oltre all’iperglicemia.

Abbiamo raccolto dati dalle loro cartelle cliniche durante la visita iniziale (che abbiamo chiamato “visita indice”) e poi li abbiamo ricontattati telefonicamente dopo 14 e 30 giorni. Questo ci ha permesso di sapere non solo se erano tornati in PS o stati ricoverati di nuovo per iperglicemia (il nostro obiettivo primario), ma anche di raccogliere quelle informazioni “nascoste” di cui parlavo prima: visite mediche fuori dall’ospedale, giorni di lavoro persi, e anche dati su etnia, reddito e livello di istruzione, chiedendoli direttamente a loro (ovviamente, solo a chi ci ha dato il consenso!).

Interno di un pronto soccorso affollato ma ordinato, luce fluorescente fredda, un medico in camice bianco parla con un paziente seduto su una barella, espressione preoccupata ma professionale. Prime lens, 35mm, depth of field, luce leggermente contrastata.

Cosa abbiamo scoperto? I numeri parlano chiaro

Abbiamo seguito 657 visite al pronto soccorso, che corrispondevano a 594 persone diverse (qualcuno, purtroppo, è tornato più di una volta anche durante il periodo di arruolamento). L’età media era di circa 52 anni, poco più della metà erano uomini. Circa il 58% aveva diabete di tipo 2 noto, il 25% tipo 1 noto.

E ora, tenetevi forte, ecco i risultati a 30 giorni dalla visita iniziale:

  • Quasi il 15% (14,7%, per la precisione 96 visite) è dovuto tornare al pronto soccorso per un nuovo episodio di iperglicemia. Non è poco!
  • Il 7,5% (49 visite) è stato ricoverato in ospedale per iperglicemia.
  • Purtroppo, 4 persone (lo 0,6%) sono decedute entro 30 giorni (per qualsiasi causa).

Grazie alle telefonate, siamo riusciti a parlare con circa il 58% dei partecipanti dopo 14 giorni e con quasi il 42% dopo 30 giorni. Chi non siamo riusciti a contattare aveva più probabilità di non avere un indirizzo fisso o di non essere seguito regolarmente da un medico per il diabete, il che suggerisce che forse i risultati “reali” potrebbero essere anche un po’ più preoccupanti.

Tra quelli che abbiamo sentito:

  • Circa il 68% si è identificato come Caucasico/Bianco e il 6,3% come Indigeno.
  • Parlando di soldi, tra chi ha risposto, quasi il 60% ha dichiarato un reddito familiare annuo inferiore a 50.000 dollari canadesi (circa 34.000 euro), e un terzo addirittura sotto i 25.000 dollari. Questo conferma un legame, già visto altrove, tra difficoltà economiche e problemi di salute legati al diabete.
  • Quasi il 30% di chi lavorava ha dovuto prendersi giorni di malattia dopo la visita in PS, in media più di una settimana (7,3 giorni). Un impatto non da poco sulla vita quotidiana!

Cosa significa tutto questo? Il messaggio per medici e pazienti

Questo studio, il primo di questo tipo in Canada fatto seguendo i pazienti nel tempo, conferma quello che sospettavamo: una visita in pronto soccorso per iperglicemia non è quasi mai un evento isolato. C’è un rischio concreto di doverci tornare o, peggio, di finire ricoverati nel giro di un mese. I numeri sono simili a quelli visti in studi precedenti basati su dati amministrativi, forse leggermente inferiori nel nostro caso (14,3% di ritorni in PS contro il 18,7% di uno studio retrospettivo negli stessi centri, e 6,2% di ricoveri contro 8,8%), ma comunque significativi.

È fondamentale che i medici del pronto soccorso siano consapevoli di questo rischio. Quando vedono un paziente con iperglicemia, non dovrebbero pensare solo a risolvere l’emergenza del momento, ma anche a cosa succederà dopo. Bisogna intervenire, dove possibile, per ridurre il rischio di ricadute. Come? Magari assicurandosi che il paziente abbia un appuntamento a breve con il proprio medico o diabetologo, rivedendo la terapia, o indirizzandolo verso risorse di supporto.

Primo piano di una mano che tiene un telefono cellulare moderno, sullo schermo un promemoria per una chiamata di follow-up medico. Sullo sfondo sfocato, una scrivania con documenti medici. Macro lens, 85mm, high detail, precise focusing, luce naturale morbida da una finestra.

Il dato sul basso reddito di molti partecipanti è un campanello d’allarme. Anche se il nostro studio non poteva dimostrare un legame diretto causa-effetto per via dei numeri, rafforza l’idea che le disuguaglianze socioeconomiche pesano tantissimo sulla gestione del diabete e sull’utilizzo dei servizi di emergenza.

Limiti e prospettive future

Ogni studio ha i suoi limiti, e il nostro non fa eccezione. Abbiamo avuto meno partecipanti e meno risposte al follow-up di quanto sperassimo, un po’ per colpa della pandemia di COVID-19 che ha rallentato tutto e forse reso le persone meno disponibili. Inoltre, il fatto di aver potuto contattare solo persone che parlavano inglese e che hanno dato il consenso potrebbe aver escluso alcune fasce di popolazione, magari proprio quelle più a rischio. Quindi, i nostri numeri potrebbero sottostimare un po’ il problema reale.

Cosa fare ora? Bisogna continuare a studiare! Servono ricerche per capire come identificare meglio i pazienti a maggior rischio di ritorno in PS o ricovero, e soprattutto per testare interventi specifici che possano aiutarli a gestire meglio il diabete dopo un’emergenza. Sarebbe importante anche confrontare gli esiti tra diversi gruppi (per sesso, età, etnia, stato socioeconomico) e vedere se ci sono differenze tra diverse regioni.

In conclusione

L’iperglicemia è un motivo comune di accesso al pronto soccorso, e lo sarà sempre di più con l’aumento del diabete nella popolazione. Il nostro studio conferma che questi pazienti sono a rischio di dover tornare in PS o di essere ricoverati entro 30 giorni. Abbiamo anche gettato un po’ di luce su aspetti importanti come l’impatto sul lavoro e la situazione socioeconomica di queste persone. Il messaggio chiave è per i medici del PS: siate consapevoli del rischio e cercate di intervenire per prevenire esiti negativi. E per tutti noi, è un promemoria di quanto sia complessa la gestione del diabete e di quanto sia importante un supporto continuo e accessibile.

Fonte: Springer

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