Iperglicemia e Diabete Tipo 1: Quando lo Zucchero ‘Riscrive’ il DNA e Minaccia Occhi e Reni
Amici della scienza, oggi vi porto con me in un viaggio affascinante, quasi fantascientifico, ma terribilmente reale, nel cuore delle nostre cellule, per capire come una condizione comune come il diabete di tipo 1 (T1D) possa lasciare un’impronta duratura sul nostro DNA, in particolare quando la glicemia fa le bizze. Parliamo di iperglicemia cronica, quel nemico silente che, a lungo andare, può portare a complicanze serie come la microangiopatia glomerulare (un danno ai reni) o retinica (un danno agli occhi), per non parlare dei problemi cardiovascolari. Ma come fa esattamente lo zucchero in eccesso a orchestrare questi danni a distanza di tempo?
Ecco, qui entra in gioco l’epigenetica, una sorta di “software” che dice ai nostri geni come e quando esprimersi. Immaginate il DNA come un manuale d’istruzioni enorme; l’epigenetica sono le note a margine, gli evidenziatori, i segnalibri che ne modificano la lettura senza alterare il testo originale. Una delle modifiche epigenetiche più studiate è la metilazione del DNA, l’aggiunta di un piccolo gruppo chimico (un gruppo metile, appunto) a specifiche basi del DNA chiamate citosine, specialmente quando seguite da una guanina (i famosi siti CpG). Queste modifiche possono accendere o spegnere i geni, e l’iperglicemia sembra proprio avere un ruolo da protagonista in questo processo.
La nostra indagine: giovani pazienti e tecnologia all’avanguardia
Per capirci qualcosa di più, abbiamo seguito 112 giovani pazienti con diagnosi recente di diabete di tipo 1. Abbiamo prelevato campioni di sangue alla diagnosi e, in media, 3 anni dopo. Cosa cercavamo? Proprio quei cambiamenti nella metilazione del DNA. E non ci siamo accontentati: abbiamo usato una tecnica potentissima chiamata Whole Genome-wide Bisulfite Sequencing (WGBS). Pensate che questa metodica ci permette di analizzare la metilazione di circa 28 milioni di siti CpG in tutto il genoma, con una risoluzione a singola base! Una vera e propria mappa dettagliatissima, molto più completa delle vecchie tecnologie basate su array che si concentravano solo su alcune regioni.
Ovviamente, abbiamo tenuto d’occhio i livelli di iperglicemia cronica misurando l’emoglobina glicata (HbA1c) ogni 3-4 mesi. Questo valore ci dà un’idea della media degli zuccheri nel sangue nel tempo. Poi, armati di modelli statistici complessi, abbiamo cercato le correlazioni tra le variazioni della metilazione del DNA e i livelli medi di HbA1c, tenendo conto di fattori come età, sesso, durata del trattamento e persino le proporzioni dei diversi tipi di cellule nel sangue.
Cosa abbiamo scoperto? Segnali importanti in geni cruciali
E qui viene il bello! Abbiamo identificato ben 815 siti CpG la cui metilazione longitudinale (cioè il cambiamento nel tempo) era associata ai livelli medi di HbA1c. La stragrande maggioranza di questi siti (oltre il 98%!) si trovava al di fuori delle regioni promotrici dei geni (quelle che di solito danno il “via” alla trascrizione), ma erano arricchiti nelle cosiddette “CpG island shores” (le sponde delle isole CpG, regioni spesso importanti per la regolazione genica) e in regioni di cromatina accessibile specifiche di diverse cellule immunitarie. Questo già ci dice che l’iperglicemia non “colpisce” a caso.
Ma la scoperta più intrigante riguarda i 36 loci genomici (regioni del DNA) che mostravano un’associazione particolarmente forte con l’HbA1c. Di questi, ben 16 ospitavano geni o sequenze non codificanti coinvolti, pensate un po’, nella regolazione dell’angiogenesi (la formazione di nuovi vasi sanguigni), nella vascolarizzazione e nello sviluppo glomerulare e retinico, o in malattie coronariche. Avete capito bene: proprio quei processi e tessuti che vanno in tilt nelle complicanze del diabete!

Questo è un punto cruciale. Non stiamo parlando di geni qualsiasi, ma di geni che hanno un ruolo diretto nella salute dei nostri vasi sanguigni, specialmente nei reni e negli occhi. È come se l’iperglicemia lasciasse delle “cicatrici” epigenetiche proprio sui geni che dovrebbero proteggere questi organi.
Geni sotto la lente: registi dell’angiogenesi e guardiani di reni e occhi
Facciamo qualche nome, per rendere l’idea. Tra i geni “colpiti” da queste variazioni di metilazione associate all’iperglicemia, ne abbiamo trovati alcuni davvero interessanti. Per esempio, un segnale molto forte è stato identificato nel gene BMPER. Questa proteina modula la funzione delle cellule precursori endoteliali (quelle che formano i vasi) ed è un importante regolatore dell’angiogenesi. È coinvolta anche nell’angiogenesi retinica e nella retinopatia diabetica. Un altro sito CpG interessante era vicino a BMP4, un “partner” di BMPER, anch’esso cruciale per l’angiogenesi.
Poi c’è EBF1, un fattore di trascrizione espresso nei periciti (cellule che avvolgono i capillari e ne regolano stabilità e crescita) e nei podociti (cellule specializzate dei glomeruli renali). Alterazioni nei periciti e podociti sono tipiche della nefropatia diabetica. E pensate, varianti in EBF1 sono state associate anche a malattie coronariche!
E la lista continua: LYPD1 e LMBR1, entrambi coinvolti nell’angiogenesi, con LMBR1 essenziale anche per lo sviluppo vascolare della retina. ROBO2 e SLIT2, il cui sistema di segnalazione regola l’angiogenesi, specialmente nelle delicate strutture vascolari di glomeruli e retina. Pensate che l’espressione di ROBO2 è ridotta nella nefropatia diabetica. CRB2, espresso prevalentemente nell’epitelio retinico e nei reni, è legato a una forma di glomerulosclerosi. SIX2, fondamentale per lo sviluppo dei nefroni e per lo sviluppo retinico. Ancora, un sito metilato vicino a TXNL1 (Thioredoxin-like protein 1); il sistema della tioredossina è un importante regolatore dell’angiogenesi postnatale. È affascinante vedere come tutti questi attori molecolari siano implicati proprio dove il diabete fa più danni.
Abbiamo trovato anche siti CpG vicino a geni come PRELID2 (espresso nei cardiomiociti), MIATNB (un RNA non codificante associato a malattia coronarica), e persino vicino a RNF157, un gene associato alla cataratta – un altro problema che può colpire i giovani pazienti diabetici, forse a causa del danno osmotico indotto dall’iperglicemia alle fibre del cristallino.

La “memoria metabolica”: un’impronta che dura nel tempo?
Questi risultati supportano l’idea che l’esposizione precoce all’iperglicemia possa “imprimere” dei cambiamenti epigenetici duraturi. Questo potrebbe essere uno dei meccanismi alla base della cosiddetta “memoria metabolica”: quel fenomeno per cui un periodo di cattivo controllo glicemico all’inizio della malattia sembra avere effetti deleteri a lungo termine, anche se poi la glicemia viene controllata meglio. È come se il corpo “ricordasse” i periodi di zucchero alto, e queste modifiche della metilazione potrebbero essere la “scrittura” di tale memoria.
È interessante notare che anche altri studi, seppur con metodologie diverse (spesso array meno completi dei nostri WGBS), avevano trovato associazioni tra metilazione del DNA, controllo glicemico e complicanze del diabete. Per esempio, il gene TXNIP (thioredoxin-interacting protein) è emerso in più ricerche. Anche noi abbiamo osservato che alcuni CpG vicino a TXNIP mostravano una ridotta metilazione in risposta a una maggiore iperglicemia. Questo ci conforta, perché suggerisce che stiamo guardando nella direzione giusta, e che la nostra analisi a genoma intero sta aggiungendo nuovi, importanti tasselli al puzzle.
Il nostro approccio longitudinale, seguendo gli stessi pazienti nel tempo, è un grande punto di forza, perché riduce la variabilità individuale che può confondere i risultati quando si confrontano gruppi diversi di persone. E l’uso del WGBS ci ha permesso di esplorare regioni del genoma prima inaccessibili. Pensate che solo circa il 3% dei siti CpG che abbiamo identificato come associati all’HbA1c erano presenti negli array EPIC, i più recenti e completi prima del WGBS su larga scala. La maggior parte delle nostre scoperte sarebbe passata inosservata!
Cosa ci portiamo a casa e quali sono i prossimi passi?
Certo, il nostro studio ha dei limiti. Il numero di pazienti, seppur prezioso per uno studio longitudinale con WGBS, non è enorme, e questo non ci ha permesso di raggiungere soglie di significatività statistica stringenti dopo le correzioni per test multipli (un problema comune in genomica). Inoltre, abbiamo analizzato la metilazione nelle cellule del sangue, che sono facilmente accessibili, e non direttamente nelle cellule dei tessuti bersaglio come quelle endoteliali o retiniche. Sarebbe fantastico poterlo fare, ma capite bene che non è semplice nella ricerca clinica. E, come sempre nella scienza, i nostri risultati andranno validati in coorti indipendenti, cosa a cui stiamo già pensando.
Un’altra considerazione importante è che, sebbene ci siamo concentrati sull’iperglicemia (tramite l’HbA1c) come principale motore di questi cambiamenti epigenetici, lo stato metabolico alterato nel T1D è complesso. Ci sono anche variazioni nei lipidi, nei corpi chetonici, in ormoni e substrati circolanti, che sono più o meno correlati all’HbA1c. È possibile che alcuni dei meccanismi che abbiamo osservato siano influenzati anche da dislipidemia o insulino-resistenza.
Nonostante ciò, credo che questa ricerca apra una finestra davvero promettente. L’identificazione di questi siti di metilazione del DNA associati all’iperglicemia potrebbe, in futuro, aiutarci a sviluppare biomarcatori epigenetici. Immaginate di poter prevedere il rischio di complicanze del diabete con molto anticipo, semplicemente analizzando queste “firme” epigenetiche nel sangue! E, chissà, magari un giorno potremmo persino pensare a terapie mirate per “correggere” queste alterazioni epigenetiche dannose.

Insomma, il messaggio è chiaro: l’iperglicemia nel diabete di tipo 1 non è solo una questione di “zucchero alto nel sangue”. È qualcosa che può dialogare intimamente con il nostro genoma, modificandone l’espressione in modi che sembrano predisporre a complicanze a lungo termine, soprattutto a livello vascolare in organi delicati come reni e occhi. Continuare a esplorare questa affascinante interfaccia tra metabolismo ed epigenetica è fondamentale per trovare nuove strategie di prevenzione e cura per i milioni di persone che convivono con il diabete.
Fonte: Springer
