Impianto fotovoltaico su tetto industriale al tramonto, con un dettaglio tecnico sull'inverter trifase transformerless boosting collegato ai pannelli solari. Landscape wide-angle, 15mm, long exposure per nuvole soffuse e scie luminose del sole, messa a fuoco nitida sull'inverter compatto e sui pannelli che riflettono la luce dorata, simbolo di efficienza energetica.

Inverter Fotovoltaici Boosting Senza Trasformatore: q-ZSI vs SSI vs Two-Stage, la Sfida Definitiva!

Ciao a tutti, appassionati di energia solare e tecnologia! Oggi voglio portarvi nel cuore pulsante degli impianti fotovoltaici trifase, un mondo dove l’efficienza e l’innovazione fanno davvero la differenza. Parleremo di un componente cruciale: l’inverter, e in particolare di quelli “boosting” senza trasformatore. Perché sono così importanti? Beh, immaginate di dover collegare i vostri pannelli solari, la cui tensione può essere bassa e ballerina a seconda del sole che c’è, direttamente alla rete elettrica. Non è così semplice! Serve un dispositivo che non solo converta la corrente continua (DC) dei pannelli in corrente alternata (AC) per la rete, ma che sia anche capace di “alzare” (boostare) la tensione quando serve.

Tradizionalmente, si usava un approccio a due stadi: un convertitore DC-DC per alzare la tensione e poi un inverter DC-AC. Efficace, sì, ma anche più complesso, costoso e ingombrante. Ecco perché la ricerca si è buttata a capofitto su soluzioni “single-stage”, che fanno tutto in un colpo solo. Nel mio lavoro, ho messo sotto la lente d’ingrandimento tre configurazioni principali per capire quale sia la migliore per i nostri amati impianti fotovoltaici trifase senza trasformatore. Vi racconto cosa ho scoperto!

Perché i classici inverter non bastano?

Partiamo dalle basi. Gli inverter più comuni, i cosiddetti **Voltage-Source Inverters (VSI)**, sono ottimi convertitori DC-AC, ma hanno un limite intrinseco: la tensione AC che producono in uscita non può, per loro natura, superare quella DC che ricevono in ingresso. Anzi, possono solo “abbassarla” (funzionamento buck). Questo è un bel problema con fonti come il fotovoltaico o le celle a combustibile, dove la tensione in ingresso è spesso bassa e varia parecchio con le condizioni ambientali (pensate al sole che va e viene o alla dinamica delle fuel cell). Collegare direttamente un VSI classico a questi sistemi? Spesso non è la scelta ideale, perché manca quella capacità di “boost” e quella stabilità necessarie per un’efficienza e un’affidabilità al top. Ecco perché sono nate topologie più avanzate, come gli inverter Z-source o quasi-Z-source, capaci di fare boost e inversione in un unico stadio.

I tre sfidanti sul ring: le topologie a confronto

Nel mio studio ho analizzato e confrontato tre “pesi massimi”:

  1. L’inverter Two-Stage (Boost + VSI): La soluzione classica, composta da un chopper boost DC-DC seguito da un inverter VSI trifase standard (come quello in Fig. 1a del paper originale).
  2. L’inverter quasi-Z-Source (q-ZSI): Una topologia single-stage innovativa (Fig. 1b) che usa una rete di impedenza (induttori e condensatori) per ottenere il boost.
  3. L’inverter Split-Source (SSI): Un’altra topologia single-stage, relativamente più recente (Fig. 1c), che integra un convertitore boost direttamente nella struttura del VSI.

Ho esaminato tutto: requisiti topologici, tecniche di modulazione, controllo della tensione d’uscita (sia in condizioni ideali che considerando i parassiti), stress su componenti attivi e passivi, ed efficienza. E poi, via di simulazioni e test sperimentali per validare l’analisi!

Il Two-Stage: l’approccio classico ma ingombrante

Questa configurazione è ben collaudata. Hai uno stadio dedicato al boost, che alza la tensione DC quanto serve, e poi l’inverter fa il suo lavoro di conversione in AC. Semplice concettualmente, ma richiede più componenti: uno switch attivo in più, un diodo, oltre all’induttore e al condensatore per il boost. Questo significa più complessità, potenzialmente più perdite e sicuramente più spazio occupato.

Il q-ZSI: l’innovazione con qualche compromesso

Il **q-ZSI** è affascinante. Fa tutto in uno stadio, usando la stessa struttura a ponte B6 dell’inverter VSI, ma con l’aggiunta di una rete di impedenza (due induttori, due condensatori, un diodo) tra la sorgente DC e il ponte. Come fa a “boostare”? Introduce degli stati di commutazione speciali chiamati “shoot-through” (ST), durante i quali cortocircuita momentaneamente il ponte. Questo permette di immagazzinare energia nella rete di impedenza e rilasciarla per alzare la tensione. Geniale, no? Ha anche il vantaggio di avere una corrente d’ingresso continua, che piace molto nelle applicazioni PV.
Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica. Per ottenere un guadagno di tensione elevato, il q-ZSI ha bisogno di tempi di shoot-through lunghi, il che può peggiorare l’efficienza e la qualità della tensione d’uscita (aumenta la Distorsione Armonica Totale, o **THD**). Inoltre, il suo indice di modulazione (M) e il rapporto di shoot-through (ST ratio) sono legati: se vuoi un boost alto (ST alto), devi abbassare M, peggiorando la qualità dell’AC. Ci sono anche altri limiti, come la tensione pulsante sul DC link e la necessità di condensatori ad alta tensione, che aumentano costi e dimensioni.

Schema circuitale dettagliato di un inverter q-ZSI (quasi-Z-Source Inverter) per sistemi fotovoltaici trifase, visualizzato su uno schermo di laboratorio. Macro lens, 85mm, alta definizione, illuminazione controllata per evidenziare i componenti elettronici come induttori, condensatori e diodi della rete di impedenza.

L’SSI: l’outsider che promette bene

E arriviamo all’**SSI (Split-Source Inverter)**. Questa topologia, più recente, integra la funzione boost direttamente nel VSI collegando l’induttore di boost alle uscite AC delle gambe dell’inverter tramite tre diodi. Riesce a fare boost e inversione in un unico stadio, ma con meno componenti passivi rispetto al q-ZSI (solo un induttore e un condensatore, come nel two-stage, più tre diodi aggiuntivi). Mantiene una corrente d’ingresso continua e, cosa molto interessante, può usare le stesse strategie di modulazione standard del VSI (gli otto stati convenzionali). Un altro asso nella manica? Mantiene la tensione sul DC-link più costante e con meno ripple a bassa frequenza, migliorando la qualità della tensione d’uscita e riducendo lo stress sui componenti. Sembra promettente, vero?

Modulazione: il cervello dietro l’operazione

Come si controllano questi inverter? Con tecniche di modulazione. Ho confrontato come funzionano le diverse strategie, in particolare la Modulazione a Vettore Spaziale Modificata (MSVM).
Nel two-stage, hai due controlli separati: uno per il boost (agendo sul duty cycle del chopper) e uno per l’inverter (usando MSVM).
Nel q-ZSI, la modulazione deve gestire sia gli stati normali che quelli di shoot-through. Esistono varie tecniche (Simple Boost, Maximum Boost, Maximum Constant Boost – MCB).
L’SSI, invece, è il più “semplice” da questo punto di vista: non richiede impulsi speciali o modifiche alla modulazione standard. Può usare la stessa MSVM del VSI. Ho utilizzato una variante chiamata SB-MSVM (Simple Boost Maximum Space Vector Modulation) che si è dimostrata molto efficace.

Un vantaggio interessante della MSVM (e delle sue varianti come la SB-MSVM) rispetto alle modulazioni continue tradizionali è che permette di:

  • Ridurre il numero di commutazioni.
  • Semplificare la generazione dei segnali di gate.
  • Distribuire meglio la frequenza di switching tra gli switch superiori e inferiori.
  • Ottenere una migliore qualità delle forme d’onda.

Dal punto di vista della complessità di implementazione, l’SSI vince a mani basse, richiedendo meno segnali e comparatori rispetto agli altri due.

Visualizzazione grafica delle forme d'onda di modulazione SB-MSVM su un oscilloscopio digitale in un laboratorio di elettronica di potenza. Wide-angle lens, 20mm, messa a fuoco nitida sui segnali luminosi dello schermo, ambiente di laboratorio high-tech sullo sfondo con banchi di lavoro e strumentazione.

Mettiamoli alla prova: simulazioni ed esperimenti

Parole, parole, parole… ma i fatti? Ho messo alla frusta le tre topologie con simulazioni in MATLAB/SIMULINK®, usando parametri realistici (sorgente DC 100V, carico R-L, frequenza di switching 20 kHz, componenti passivi simili per un confronto equo).
I risultati? Tutti e tre generano correnti d’uscita sinusoidali di buona qualità. Però, andando a vedere il THD (la “sporcizia” armonica), l’SSI ha mostrato prestazioni superiori, con un THD più basso rispetto al two-stage. Anche il q-ZSI si comporta bene, ma l’SSI sembra avere una marcia in più sulla qualità della potenza. Ho notato anche che l’SSI mantiene la tensione sul condensatore DC-link più stabile, il che è ottimo per l’efficienza e l’affidabilità.

Per non fermarmi alle simulazioni, ho costruito un prototipo in laboratorio proprio dell’inverter SSI, usando un kit di sviluppo configurabile (PEModule®) e un potente DSP (Texas Instruments F28379D) per generare gli impulsi di controllo con la strategia SB-MSVM. Ho usato una tensione d’ingresso più bassa (20V) per motivi di sicurezza e scalabilità nel lab. I risultati sperimentali (forme d’onda di tensione e corrente catturate con l’oscilloscopio) hanno confermato le ottime prestazioni dell’SSI osservate nelle simulazioni: corrente DC stabile, correnti AC pulite, tensioni ben regolate.

Setup sperimentale di un prototipo di inverter SSI in un laboratorio di ricerca. Telephoto zoom, 150mm, action tracking per catturare un tecnico che regola i parametri sul DSP TI-F28379D, con l'oscilloscopio che mostra forme d'onda sinusoidali pulite e stabili. Focus sui collegamenti e sui componenti di potenza.

Tiriamo le somme: chi vince la sfida?

Dopo tutta questa analisi comparativa, cosa posso dirvi? Secondo me, l’inverter Split-Source (SSI) emerge come un contendente davvero forte, superando spesso sia il q-ZSI che il classico two-stage. I suoi punti di forza sono notevoli:

  • Efficienza e compattezza: Fa boost e inversione in un unico stadio con meno componenti passivi del q-ZSI.
  • Semplicità di controllo: Può usare le modulazioni standard del VSI, come la MSVM o la SB-MSVM, senza complicazioni aggiuntive.
  • Qualità della potenza: Mantiene una corrente d’ingresso continua e una tensione DC-link più stabile, portando a un THD più basso.
  • Prestazioni migliorate con SB-MSVM: Questa strategia di modulazione mitiga efficacemente il ripple a bassa frequenza e ottimizza ulteriormente le prestazioni.

Certo, anche l’SSI ha i suoi diodi aggiuntivi e le relative perdite di conduzione da considerare, ma il bilancio complessivo sembra decisamente positivo, specialmente per applicazioni fotovoltaiche trifase transformerless dove dimensioni, costo ed efficienza sono cruciali.

Spero che questa panoramica vi abbia incuriosito e vi sia stata utile per capire meglio le differenze tra queste tecnologie avanzate di inverter. La scelta della topologia giusta dipende sempre dall’applicazione specifica, ma l’SSI si candida sicuramente come una soluzione molto promettente per il futuro dell’energia solare!

Fonte: Springer

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