Un professionista dell'intervento precoce, uomo, sorridente, interagisce con un bambino piccolo seduto su un tappeto colorato in un ambiente domestico luminoso, utilizzando giocattoli educativi in legno, fotografia stile reportage, obiettivo 35mm, luce naturale diffusa da una finestra, profondità di campo media.

Intervento Precoce in Croazia: Cosa Abbiamo Imparato Davvero?

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo dell’intervento precoce (Early Childhood Intervention – ECI), guardando da vicino cosa succede in Croazia. Sapete, quei primissimi anni, addirittura i primi mesi di vita di un bambino, sono fondamentali. È un periodo incredibilmente delicato, pieno di finestre di opportunità per lo sviluppo del cervello. Immaginate il cervello come una spugna super assorbente: le esperienze di quel periodo aiutano a costruire connessioni vitali.

Questo è ancora più vero per i bimbi che nascono con qualche fattore di rischio neuroevolutivo. E non dimentichiamoci dei genitori! Per loro, quel periodo è un vortice di emozioni. Se poi ci sono di mezzo rischi per lo sviluppo, si aggiungono visite mediche, terapie, magari ricoveri… Insomma, un carico emotivo e pratico non da poco. Ecco perché un supporto precoce e mirato è cruciale, sia per il benessere dei genitori che per dare al piccolo le migliori chance possibili.

Cos’è l’Intervento Precoce (ECI)?

In pratica, l’ECI è un sistema di supporto tempestivo, completo e coordinato per i bambini (di solito da 0 a 5-7 anni) con ritardi nello sviluppo o a rischio, e per le loro famiglie. L’idea è di agire subito, sfruttando al massimo quelle fasi sensibili di cui parlavamo.

Come funziona nel mondo? Beh, è un po’ un mosaico.

  • Negli Stati Uniti, si parla di circa 45 minuti a settimana per 3-5 mesi.
  • Nel Regno Unito, la legge garantirebbe accessi settimanali o bisettimanali fino ai 5-7 anni, ma l’applicazione varia molto da zona a zona.
  • In Libano, purtroppo, solo il 20% delle famiglie riceve supporto (un’ora a settimana).
  • In Finlandia, si arriva fino ai 7 anni, spesso integrando l’intervento negli asili, grazie a una forte spinta verso l’inclusione.

Nonostante le differenze, l’obiettivo comune è coinvolgere le famiglie il prima possibile. Il percorso tipico prevede screening, segnalazione ai servizi ECI, valutazione e, infine, accesso ai servizi. Sulla carta, in molti paesi ci sono tempi massimi (tipo 45 giorni negli USA), ma la realtà, ahimè, spesso racconta di attese ben più lunghe, anche oltre i due mesi.

Chi indirizza le famiglie? E perché non tutte accedono?

Di solito, sono i professionisti sanitari i primi a informare i genitori sull’esistenza dell’ECI. Poi vengono altri genitori, i servizi sociali, gli asili. Eppure, meno della metà dei bambini che ne avrebbero diritto viene effettivamente indirizzata ai servizi. Perché? Dipende dalla diagnosi, dalla gravità, dagli strumenti di screening usati. È una sfida enorme rendere queste informazioni davvero accessibili a tutti.

E anche quando la segnalazione c’è, non è detto che la famiglia si iscriva al programma. Ci sono tanti fattori in gioco: legati alla famiglia stessa, ai servizi offerti, a problemi di comunicazione tra sistemi diversi, e al contesto generale. Le percentuali di iscrizione, seppur in crescita, restano spesso inferiori a quelle delle segnalazioni. Capire come facilitare questo passaggio è un altro nodo cruciale.

Fotografia macro di piccole mani di bambino che toccano delicatamente la mano di un adulto, luce calda e soffusa, obiettivo macro 100mm, alta definizione, focus selettivo sulle mani, sfondo sfocato.

Come funziona il supporto una volta dentro? L’esperienza Croata

Una volta che una famiglia entra in un programma ECI, si aprono diverse strade. Un modello storico è il Progetto Portage, nato nel Wisconsin nel ’69: focus sulle priorità della famiglia, sui punti di forza del bambino, lavoro di squadra genitori-professionisti. Anche se criticato per la scarsa evidenza scientifica, ha gettato le basi per molti programmi nel mondo.

Il supporto può avvenire a casa o in centri specializzati. I genitori sembrano preferire l’intervento a casa, ma tendono a fidarsi di più dei professionisti quando il supporto è in un centro. Dipende molto da come è organizzato il sistema nel paese (sociale, sanitario, educativo, ONG, o un mix).

In Croazia, si cerca di integrare sanità, servizi sociali ed educativi. Hanno sviluppato il servizio “Community Early Development Team”, pensato soprattutto per le aree rurali e remote, per identificare precocemente i bambini a rischio e offrire interventi su misura. C’è un Piano d’Azione Nazionale per migliorare la qualità della vita dei bambini e delle famiglie, puntando su un approccio centrato sulla famiglia, identificazione precoce e supporto sistematico. La legge croata ha introdotto il termine “intervento precoce” nel 2011 (poi aggiornato in “supporto allo sviluppo della prima infanzia” nel 2022).

Per capire meglio come funzionano le cose sul campo in Croazia, sono stati intervistati 13 professionisti con esperienza nel settore (età media 34 anni, esperienza media 13 anni, principalmente educatori/riabilitatori, ma anche psicologi e fisioterapisti). Cosa è emerso?

L’Importanza del Primo Contatto e del Lavoro di Squadra

I professionisti croati sottolineano quanto sia fondamentale la valutazione iniziale, spesso fatta in team. Questo permette di avere uno sguardo a 360° sul bambino e sulla famiglia. L’ideale sarebbe un team transdisciplinare, dove le competenze si fondono per offrire il miglior supporto possibile. Tuttavia, in Croazia manca un quadro normativo che standardizzi la composizione di questi team di valutazione. Ogni centro fa un po’ a modo suo, il che crea disomogeneità.

Come si Accede ai Servizi? Un Percorso a Ostacoli?

Qui le cose si fanno interessanti (e un po’ complesse). Spesso, il via libera arriva dopo una raccomandazione medica (neonatologo, pediatra). Questo mostra un certo riconoscimento del servizio ECI da parte del sistema sanitario, un passo importante per la collaborazione intersettoriale. Ma il percorso non è uguale per tutti. Alcuni centri hanno commissioni interne che decidono, altri richiedono che i genitori presentino domanda al Centro per il Lavoro Sociale competente. Questa mancanza di un percorso standardizzato può essere fonte di confusione sia per i genitori che per gli stessi professionisti. È chiaro che servirebbe un “diagramma di flusso” nazionale. Inoltre, è cruciale che i genitori siano attivi nel rivendicare i loro diritti presso gli uffici del welfare sociale.

Ritratto di gruppo di tre professionisti ECI (due donne, un uomo) sorridenti in un ambiente d'ufficio moderno e luminoso, discutono attorno a un tavolo rotondo con alcuni documenti, obiettivo 35mm prime, luce naturale da finestra, profondità di campo media.

Dentro la Seduta: Metodi e Approcci sul Campo

Una volta ottenuto l’accesso, i servizi offerti sono principalmente l’intervento precoce vero e proprio e il supporto psicosociale alla famiglia. L’approccio è fortemente centrato sulla famiglia: i genitori sono partner attivi. Le sedute durano solitamente 60 o 90 minuti, una o due volte a settimana. Questo è in linea con la legge croata, ma alcuni dati internazionali suggerirebbero che per un impatto ottimale servirebbero più ore e più frequenza.

La struttura della visita è abbastanza costante:

  1. Incontro iniziale con i genitori per fare il punto.
  2. Stabilire una routine con il bambino nel suo ambiente.
  3. Attività terapeutiche vere e proprie.
  4. Conclusione e feedback.

I metodi usati sono vari e moderni:

  • Consulenza (counselling)
  • Modellamento (modeling)
  • Procedure educative e riabilitative specifiche
  • Sistemi di comunicazione alternativa/aumentativa (es. PECS, tabelle di comunicazione)
  • Lavoro strutturato
  • Stimolazione attraverso il gioco
  • Osservazione
  • Baby handling e integrazione sensoriale per i più piccoli (Baby SI)
  • Stimolazione delle competenze socio-emotive
  • Esercizi visivi, orientamento e mobilità

Questo dimostra un allineamento con le pratiche internazionali basate sull’evidenza. La preparazione della visita è fondamentale: preparare materiali, confrontarsi con altri colleghi, rivedere il piano educativo personalizzato.

Sfide e Disparità: Non Tutto è Oro Ciò che Luccica

Nonostante gli sforzi, emergono delle criticità. La disponibilità dei servizi non è uniforme sul territorio croato. Le aree fuori dalla capitale, Zagabria, sono spesso meno servite. Questo dipende molto dai finanziamenti delle autorità locali e dai budget comunali. Anche la questione dei trasporti è un problema: alcuni professionisti devono usare la propria auto e pagarsi le spese per garantire la continuità del servizio.

Inoltre, c’è una certa specializzazione dei centri: alcuni seguono bambini solo fino a una certa età (es. 1 o 3 anni) o con disabilità specifiche (es. visiva), indirizzando poi le famiglie altrove. Se da un lato la specializzazione può essere positiva, dall’altro rischia di lasciare scoperti bambini con bisogni complessi o che vivono in aree senza centri specializzati. La transizione tra servizi andrebbe gestita meglio, magari con una figura di riferimento (case manager) che accompagni la famiglia.

Una terapista ECI donna, seduta sul pavimento di un soggiorno luminoso, gioca con un bambino piccolo usando blocchi colorati, la madre osserva sorridendo in background, fotografia stile reportage, obiettivo 50mm, luce naturale morbida, profondità di campo ridotta.

Cosa Abbiamo Imparato e Cosa Possiamo Fare?

L’esperienza croata, con i suoi punti di forza e le sue debolezze, ci offre spunti preziosi, validi non solo lì ma potenzialmente ovunque si lavori nell’ECI. Abbiamo capito che:

  • Un quadro normativo chiaro è essenziale, ma deve essere accompagnato da linee guida operative standardizzate (pur mantenendo flessibilità).
  • La collaborazione tra settori (sanità, sociale, educazione) è la chiave, ma va strutturata e facilitata. Spesso manca un coordinamento reale.
  • Serve una valutazione dei bisogni su tutto il territorio per capire dove mancano i servizi e come espandere la rete.
  • I metodi di valutazione andrebbero standardizzati tra i vari centri per garantire equità.
  • Introdurre una figura chiave di contatto (un case manager?) per ogni famiglia potrebbe fare la differenza, aiutandola a navigare il sistema e facendo da ponte tra i vari professionisti e servizi.
  • È fondamentale ascoltare di più la voce delle famiglie e dei bambini stessi nella valutazione e progettazione dei servizi.

Insomma, l’intervento precoce è una partita importantissima che si gioca nei primissimi anni di vita. La Croazia sta facendo passi avanti, allineandosi a principi moderni come l’approccio centrato sulla famiglia e l’uso di metodi basati sull’evidenza. Ma le sfide restano: garantire accesso equo, migliorare il coordinamento, standardizzare alcune procedure senza perdere la personalizzazione. È un lavoro continuo, che richiede impegno a tutti i livelli, dalla politica ai singoli professionisti, sempre tenendo al centro il benessere del bambino e della sua famiglia. E voi, cosa ne pensate? Avete esperienze simili da condividere?

Fonte: Springer

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