Un'immagine che simboleggia speranza e cura per persone con demenza: un anziano sorridente che stringe la mano a un operatore sanitario in un ambiente luminoso e accogliente di una casa condivisa. Portrait photography, 35mm, depth of field, colori caldi e rassicuranti.

Demenza e Ricoveri Ospedalieri: Una Speranza Concreta dalla Germania per Migliorare la Vita in Comunità

Amici, parliamoci chiaro: quando una persona cara inizia a fare i conti con la demenza o con un lieve decadimento cognitivo (il cosiddetto Mild Cognitive Impairment, o MCI), una delle nostre più grandi preoccupazioni è che finisca in ospedale. E non a torto, visto che il rischio di ricovero per loro è 1,4 volte più alto rispetto a chi non vive questa condizione. Questi ricoveri, poi, portano con sé un sacco di conseguenze negative, sia per chi li subisce sia per chi se ne prende cura.

In Germania, un modello abitativo che sta prendendo sempre più piede per le persone con demenza sono le “case condivise” (Shared-Housing Arrangements, SHA). Immaginatele come piccoli appartamenti dove un massimo di dodici anziani, spesso con necessità di assistenza, vivono insieme in un ambiente il più possibile familiare e normale, supportati da una rete di professionisti, familiari e volontari. Una figata, vero? Eppure, anche in questi contesti, il problema dei ricoveri ospedalieri rimaneva una spina nel fianco.

Ecco perché oggi voglio raccontarvi di uno studio tedesco, il DemWG-study, che mi ha davvero colpito. Un team di ricercatori si è chiesto: “Possiamo fare qualcosa di concreto, un intervento complesso ma efficace, per ridurre questi benedetti ricoveri nelle SHA?”. E la risposta, come vedremo, è un sonoro “sì!”.

Il Contesto: Perché le Case Condivise e Perché i Ricoveri Sono un Problema

Prima di tuffarci nello studio, capiamo meglio il contesto. In Germania ci sono quasi 5 milioni di persone che necessitano di assistenza, e tra queste ben 1,8 milioni convivono con la demenza. Numeri destinati a crescere, purtroppo. Le SHA sono nate negli anni ’90 proprio per offrire un’alternativa più umana e personalizzata alle tradizionali case di cura. Pensate che l’80% di chi vive in queste SHA ha la demenza o un MCI.

Studi precedenti avevano già acceso un campanello d’allarme: anche nelle SHA, una percentuale non trascurabile di residenti (circa l’8-9%) finiva in ospedale entro le prime 4 settimane dal trasferimento. E perché i ricoveri sono così problematici? Beh, gli ospedali spesso non sono attrezzati per gestire al meglio le persone con demenza. Risultato? Degenza più lunga, peggioramento delle funzioni fisiche e cognitive, maggior rischio di cadute, malnutrizione, infezioni, delirio e, nei casi peggiori, persino il decesso. Senza contare l’impatto emotivo su familiari e staff, e i costi sanitari che lievitano.

Le cause più comuni di ricovero? Le cadute sono al primo posto (24%!), seguite da sincopi, problemi cardiaci, gastrointestinali, polmoniti e delirium. Insomma, un quadro complesso che richiedeva un intervento altrettanto complesso.

L’Intervento Complesso: Una Sinergia di Azioni Mirate

I ricercatori del DemWG-study non si sono accontentati di una singola soluzione, ma hanno messo a punto un intervento multicomponente, una sorta di “pacchetto benessere” pensato su misura. Eccolo nel dettaglio:

  • Formazione del personale infermieristico delle SHA: All’inizio dello studio, gli infermieri hanno ricevuto materiale informativo e formazione specifica sui rischi per la salute, sulla prevenzione dei ricoveri evitabili (ad esempio, come mantenere la mobilità, adattare l’ambiente), sulla pianificazione anticipata delle cure (Advanced Care Planning) e sulla corretta gestione dei farmaci.
  • Formazione digitale dei medici di base: Anche i medici di famiglia coinvolti nelle SHA hanno seguito un corso online accreditato sui fattori di rischio per l’ospedalizzazione e sulle strategie per ridurla, con un focus particolare sulla gestione farmacologica.
  • L’intervento psicosociale di gruppo MAKS-mk+: Questo è il cuore pulsante dell’intervento! Si tratta di una versione modificata e potenziata della già nota terapia MAKS®. “M” sta per motorio, “K” per cognitivo (kognitiv in tedesco) e il “+” indica esercizi specifici per la prevenzione delle cadute, presi dal programma OTAGO. Immaginate sessioni di gruppo, raccomandate 5 giorni a settimana per 6 mesi, dove i residenti si allenano con esercizi per le braccia, la coordinazione, e fanno attività cognitive stimolanti (memoria, linguaggio, logica) presentate su un grande schermo. Il tutto condotto dal personale regolare delle SHA, appositamente formato e dotato di mini-PC e software dedicato.

L’idea di fondo era che questa combinazione di formazione per chi assiste e stimolazione diretta per chi è assistito potesse fare la differenza. E non solo per le capacità cognitive o motorie, ma anche per ridurre le cadute e, magari, migliorare la gestione di quei sintomi comportamentali e psicologici della demenza (BPSD) che spesso portano al ricovero.

Un gruppo di anziani sorridenti partecipa attivamente a una sessione di esercizi di gruppo in una luminosa sala comune di una casa condivisa. Un terapista li guida con entusiasmo. Alcuni usano piccoli attrezzi per esercizi motori, altri interagiscono con uno schermo per attività cognitive. Macro lens, 60mm, high detail, precise focusing, controlled lighting, per catturare l'atmosfera positiva e l'impegno dei partecipanti.

Come Hanno Fatto? Lo Studio DemWG in Pillole

Lo studio è stato un vero colosso: multicentrico, randomizzato controllato a cluster (il che significa che sono state randomizzate intere SHA, non singoli residenti), prospettico e con metodi misti (anche se qui ci concentriamo sui dati quantitativi). È durato dall’aprile 2019 al dicembre 2022 e ha coinvolto un gruppo di intervento (IG) che riceveva subito il “pacchetto”, e un gruppo di controllo (CG) in lista d’attesa, che lo ha ricevuto dopo un anno (per evitare effetti stagionali).

Sono state reclutate ben 97 SHA in tutta la Germania, con 341 residenti partecipanti all’inizio (t0). I dati sui ricoveri sono stati raccolti dalla documentazione infermieristica in tre momenti: t0 (basale, prima dell’intervento), t1 (dopo 6 mesi di intervento “strutturato”) e t2 (dopo altri 6 mesi di follow-up, in una fase definita “aperta”, in cui le SHA potevano decidere se continuare o meno con MAKS-mk+).

Certo, la pandemia di SARS-CoV-2 ha messo i bastoni tra le ruote, rendendo più flessibili le date di inizio e talvolta complicando la regolare applicazione dell’intervento MAKS-mk+ cinque volte a settimana come raccomandato. C’è stato anche un tasso di abbandono (dropout) piuttosto alto, come spesso accade in studi così lunghi con popolazioni fragili, ma i ricercatori hanno usato metodi statistici robusti per gestire questi aspetti.

I Risultati: Cosa Ci Dice la Scienza (e il Cuore!)

E qui arriva la parte che ci fa battere il cuore (in senso buono, stavolta!). Analizzando i dati, è emerso che nel periodo di 6 mesi di intervento strutturato (tra t0 e t1), i partecipanti nel gruppo di intervento (IG) hanno avuto un numero significativamente inferiore di ricoveri ospedalieri rispetto a quelli del gruppo di controllo (CG). Il p-value era 0.048, il che in gergo scientifico significa che il risultato è statisticamente significativo! L’effetto, misurato con un indice chiamato RESI, è stato definito di dimensioni da piccole a medie (0.22).

In soldoni? L’intervento complesso ha funzionato nel ridurre i ricoveri! Questo è un risultato importantissimo, perché come dicevamo, meno ricoveri significano meno stress, meno rischi e una migliore qualità della vita per le persone con demenza e MCI, oltre a un sollievo per il sistema sanitario.

C’è un “ma”? Sì, uno piccolino. Nella fase successiva, quella “aperta” (tra t1 e t2), quando l’applicazione di MAKS-mk+ è diventata meno stringente e la frequenza media di partecipazione è scesa (anche se quasi la metà dei partecipanti dell’IG continuava a farlo 5 volte a settimana a t1, e a t2 la mediana era 3 volte a settimana), non sono stati osservati ulteriori effetti significativi a lungo termine. Questo suggerisce che per mantenere i benefici, l’intervento deve essere applicato con costanza e come raccomandato.

Un altro dato interessante: il numero di farmaci assunti è risultato essere un predittore significativo di ricoveri. Chi ne prendeva di più, aveva maggiori probabilità di finire in ospedale. Questo sottolinea l’importanza della componente formativa sulla gestione farmacologica inclusa nell’intervento.

Un'infermiera e un medico di base discutono amichevolmente davanti a un computer portatile in un ufficio luminoso. Sullo schermo si intravedono grafici e dati. Entrambi appaiono concentrati e collaborativi. Portrait photography, prime lens, 35mm, black and white film, depth of field, per sottolineare la professionalità e l'importanza della collaborazione multidisciplinare.

Perché Ha Funzionato (e Cosa Possiamo Imparare)?

Secondo i ricercatori, il successo potrebbe essere dovuto a una combinazione di fattori. L’intervento MAKS-mk+ potrebbe aver ridotto le cadute (un trend già visto in studi precedenti sulla terapia MAKS®). Inoltre, la maggiore interazione tra personale e residenti, stimolata dall’intervento, e la maggiore consapevolezza del personale e dei medici grazie alla formazione, potrebbero aver portato a un riconoscimento più precoce dei segnali di allarme e a risposte più tempestive.

Non è stata una singola bacchetta magica, ma un lavoro di squadra tra le diverse componenti dell’intervento. La formazione del personale (componente A) e dei medici (componente B) ha creato un terreno fertile, mentre MAKS-mk+ (componente C) ha agito direttamente sui residenti, migliorando forse anche l’agitazione e l’aggressività, altri motivi frequenti di ricovero.

L’esperienza ci insegna che per implementare su larga scala terapie come MAKS-mk+, è fondamentale offrire corsi di formazione certificati e accessibili. Visto che MAKS-mk+ è più snello della terapia MAKS® originale, potrebbe essere anche più facile da diffondere.

Sfide e Prospettive Future: La Strada è Ancora Lunga, Ma Promettente

Certo, lo studio ha avuto i suoi limiti: il già citato alto tasso di abbandono, il potenziale bias di autoselezione delle SHA partecipanti (non essendoci un registro nazionale), e l’impatto della pandemia. Inoltre, non si è potuto stabilire con certezza quale delle tre componenti abbia avuto il peso maggiore nel determinare il successo.

Tuttavia, i punti di forza sono notevoli. È il primo studio randomizzato controllato a cluster di questo tipo nel contesto delle SHA, e ha utilizzato un parametro “duro” e oggettivo come i ricoveri ospedalieri documentati. Il numero di SHA coinvolte è stato elevato.

Cosa ci aspetta ora? Serviranno ulteriori studi per capire meglio i meccanismi d’azione, magari per “smontare” l’intervento e vedere il contributo di ogni singola parte, o per trovare strategie per mantenere gli effetti positivi a lungo termine. Si potrebbe pensare di potenziare la formazione, magari con eventi in presenza o online più interattivi.

Insomma, questo studio tedesco ci dà una bella lezione e una grande speranza: un intervento complesso, ben strutturato e facile da integrare nella quotidianità delle case condivise, può davvero ridurre i ricoveri ospedalieri per le persone con demenza e lieve deterioramento cognitivo. E questo, amici miei, significa migliorare concretamente la loro vita e quella di chi li circonda. Un motivo in più per promuovere e sostenere queste pratiche innovative nell’assistenza!

Un paesaggio sereno al tramonto, con una casa condivisa accogliente in primo piano. Le luci sono accese all'interno, suggerendo calore e comunità. Wide-angle lens, 10-24mm, long exposure times, sharp focus, per trasmettere un senso di pace, sicurezza e speranza per il futuro dell'assistenza agli anziani.

Fonte: Springer

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