Scatto grandangolare, obiettivo 24mm, messa a fuoco nitida, mostra un ambiente moderno di laboratorio di ricerca medica con visualizzazioni di dati luminose che rappresentano statistiche sull'aderenza dei pazienti sullo sfondo, e in primo piano, scatole di farmaci GLP-1 RA e SGLT2i ordinatamente disposte su una superficie pulita.

Diabete Tipo 2: Prendi le Pillole e Scappi? La Verità sull’Aderenza ai Nuovi Farmaci

Ciao a tutti! Oggi voglio chiacchierare con voi di un argomento che mi ronza in testa da un po’: il diabete di tipo 2 e l’uso di quei farmaci innovativi di cui sentiamo tanto parlare, gli agonisti del recettore del GLP-1 (GLP-1 RA) e gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio 2 (SGLT2i). Sappiamo che sono farmaci potenti, capaci di migliorare non solo il controllo della glicemia, ma anche la salute del cuore e dei reni. Le linee guida internazionali li raccomandano ormai per tantissimi pazienti.

E allora, la domanda sorge spontanea: se sono così efficaci, perché mai le persone dovrebbero smettere di prenderli? Eppure, succede. E succede più spesso di quanto potremmo immaginare. Mi sono imbattuto in uno studio svedese molto interessante che ha cercato di fare luce proprio su questo punto, analizzando i dati di un’intera nazione. Vediamo insieme cosa hanno scoperto!

Lo Studio Svedese: Numeri Reali su Larga Scala

Immaginate di avere accesso ai dati di tutti i pazienti con diabete di tipo 2 in Svezia che hanno iniziato a prendere un GLP-1 RA o un SGLT2i tra il 2017 e il 2021. Parliamo di oltre 73.000 persone per i GLP-1 RA e più di 113.000 per gli SGLT2i! Un campione enorme, preso dalla vita reale, non dalle condizioni “perfette” di uno studio clinico.

I ricercatori hanno guardato principalmente tre cose:

  • Chi ha interrotto il trattamento?
  • Chi, dopo aver interrotto, ha ricominciato a prenderlo?
  • Chi ha cambiato farmaco all’interno della stessa classe (ad esempio, passando da un tipo di GLP-1 RA a un altro)?

Per definire l'”interruzione”, hanno usato un criterio specifico: se non ritiravi una nuova ricetta entro 90 giorni dalla data stimata di fine della scorta precedente, venivi considerato come uno che aveva interrotto. Questo “periodo di grazia” di 90 giorni serve a tener conto di un uso magari un po’ irregolare del farmaco, senza subito etichettare una persona come “non aderente”.

I Risultati: Sorprese e Sfumature sull’Interruzione

Allora, cosa è emerso? Tenetevi forte, perché i numeri inizialmente potrebbero sembrare un po’ preoccupanti.

Per i GLP-1 RA:

  • Dopo 1 anno, quasi 1 persona su 4 (23.6%) aveva interrotto il trattamento.
  • Dopo 3 anni, la percentuale saliva a quasi 2 su 5 (38.5%).

Per gli SGLT2i, i numeri sono molto simili:

  • Dopo 1 anno, poco più di 1 su 4 (27.9%) aveva smesso.
  • Dopo 3 anni, quasi la metà (45.9%) aveva interrotto.

A prima vista, uno potrebbe pensare: “Caspita, quasi la metà delle persone smette dopo soli 3 anni! Questi farmaci avranno effetti collaterali terribili o non funzioneranno?”. Ma attenzione, la storia non finisce qui.

Scatto macro con obiettivo da 85mm, messa a fuoco su una penna per iniezione di agonista del recettore GLP-1 accanto a un flacone di pillole aperto (inibitori SGLT2) su un tavolo di legno, una pagina di calendario con giorni segnati visibile sfocata sullo sfondo, illuminazione controllata con ombre morbide, alto dettaglio.

Il Colpo di Scena: Molti Ricominciano!

Ecco la parte affascinante: lo studio ha anche guardato quanti, tra quelli che avevano interrotto, hanno poi ricominciato a prendere lo stesso tipo di farmaco. E i numeri sono notevoli!

Tra chi aveva smesso i GLP-1 RA:

  • Dopo 1 anno dall’interruzione, il 41.1% aveva ricominciato.
  • Dopo 3 anni dall’interruzione, ben il 57.4% aveva ripreso il trattamento.

E per gli SGLT2i, di nuovo, risultati simili:

  • Dopo 1 anno dall’interruzione, il 40.4% aveva ricominciato.
  • Dopo 3 anni dall’interruzione, il 55.7% aveva ripreso.

Questo cambia completamente la prospettiva! Non è un semplice “smettono e basta”. C’è un viavai, un’interruzione seguita spesso da una ripresa. Gli autori dello studio hanno allora calcolato un altro dato: la “proporzione di pazienti coperti” dal trattamento in un dato momento, tenendo conto sia di chi non ha mai smesso, sia di chi ha smesso e poi ricominciato. E qui i numeri diventano molto più incoraggianti: per entrambi i tipi di farmaci, questa proporzione si mantiene stabilmente tra il 70% e l’80% per un periodo da 1 a 5 anni dopo l’inizio della terapia.

Questo suggerisce che l’uso a lungo termine è più comune di quanto non lascino pensare i soli dati sull’interruzione. È un po’ come guardare chi disdice un abbonamento: se non consideri quanti poi si riabbonano, hai una visione parziale della fedeltà del cliente.

Quanto Conta la Definizione? Il “Periodo di Grazia”

Un altro punto cruciale emerso dallo studio è quanto la definizione tecnica di “interruzione” influenzi i risultati. Ricordate il “periodo di grazia” di 90 giorni? I ricercatori hanno provato a cambiarlo, usando 60, 180 o addirittura 365 giorni.

Beh, i risultati cambiavano parecchio! Con un periodo di grazia più corto (60 giorni), le interruzioni a 3 anni salivano al 44% per i GLP-1 RA e al 51% per gli SGLT2i. Con un periodo più lungo (365 giorni), scendevano rispettivamente al 23% e al 29%. Questo ci dice che bisogna essere cauti nel confrontare studi diversi se usano definizioni diverse. La “proporzione di pazienti coperti”, invece, era molto meno sensibile a queste variazioni, confermandosi un indicatore forse più robusto dell’utilizzo reale del farmaco nel tempo.

Perché si Smette (e si Ricomincia)?

Lo studio ha anche cercato di capire se ci fossero delle caratteristiche associate a una maggiore o minore probabilità di interrompere il trattamento. E qui, un’altra sorpresa: i fattori erano molto simili sia per i GLP-1 RA che per gli SGLT2i. Ad esempio, l’età, il paese di nascita, il livello di istruzione, il reddito e il numero di altri farmaci per il diabete assunti influenzavano il rischio di interruzione in modo simile per entrambe le classi.

Questo fa pensare che, forse, le ragioni dell’interruzione non dipendano tanto dagli effetti specifici del farmaco (come gli effetti collaterali, che sono diversi tra le due classi), quanto da fattori legati al paziente o al contesto generale. Quali? Lo studio non poteva dirlo con certezza, ma possiamo ipotizzare:

  • Costi (anche se in Svezia sono bassi, potrebbero esserci altri ostacoli).
  • Complessità della terapia (prendere tanti farmaci).
  • Cambiamenti nelle condizioni mediche.
  • Difficoltà di comunicazione con i medici.
  • Priorità personali del paziente.
  • Forse anche una percezione di non averne più bisogno o di scarso beneficio.

C’era però un’eccezione interessante: un indice di massa corporea (BMI) più alto era associato a una minore probabilità di interrompere i GLP-1 RA, ma non gli SGLT2i (o almeno, non così marcatamente). Perché? Una possibile spiegazione è che i GLP-1 RA spesso portano a una perdita di peso più evidente. Vedere questo beneficio tangibile potrebbe motivare di più le persone con BMI elevato a continuare la terapia.

Fotografia ritratto, obiettivo 35mm, profondità di campo, mostra un gruppo eterogeneo di individui di mezza età e anziani (rappresentanti pazienti con diabete di tipo 2) con aria pensierosa, forse in un contesto di gruppo di supporto, luce naturale morbida.

Cambiare Cavallo in Corsa: Lo Switching

E chi invece non smette, ma cambia farmaco all’interno della stessa classe? Questo fenomeno, chiamato “switching”, è risultato molto comune per i GLP-1 RA: circa 1 paziente su 4 (22.9%) ha cambiato tipo di GLP-1 RA almeno una volta nei primi 3 anni. Il passaggio più frequente? Da liraglutide (che si inietta ogni giorno) a semaglutide (che si inietta una volta a settimana e spesso dà maggiori benefici su glicemia e peso). Questo suggerisce che medici e pazienti cercano attivamente l’opzione migliore o più comoda.

Per gli SGLT2i, invece, lo switching è stato molto raro (solo il 2.1%). Probabilmente perché le differenze tra i vari SGLT2i disponibili sono percepite come meno rilevanti.

Vita Reale vs. Studi Clinici

Come previsto, i tassi di interruzione osservati in questo studio svedese (nella vita reale) sono più alti di quelli riportati negli studi clinici controllati. Questo non sorprende: negli studi clinici i pazienti sono super selezionati, monitorati costantemente e incoraggiati a non mollare. La vita quotidiana è un’altra storia!

Cosa ci Portiamo a Casa?

Alla fine di questa lunga chiacchierata, cosa mi rimane impresso?
Primo, che guardare solo al tasso di interruzione può essere fuorviante. Sì, molte persone smettono, ma tantissime poi ricominciano. La “copertura” reale del trattamento nel tempo è piuttosto alta, intorno al 70-80%.
Secondo, che le ragioni per cui si smette sembrano più legate a fattori generali del paziente e del suo percorso di cura, piuttosto che a problemi specifici di un farmaco (con l’eccezione del BMI per i GLP-1 RA).
Terzo, che la scelta della “definizione” tecnica di interruzione conta tantissimo e bisogna tenerne conto quando si leggono questi dati.

Insomma, la gestione a lungo termine del diabete tipo 2 con questi nuovi farmaci è una realtà complessa, fatta di aderenza, interruzioni, riprese e cambi. Capire a fondo le ragioni dietro queste dinamiche è fondamentale per aiutare davvero le persone a ottenere il massimo beneficio da terapie che possono davvero fare la differenza per la loro salute. Una sfida continua e affascinante per pazienti e medici!

Fonte: Springer

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