Immagine fotorealistica astratta che rappresenta onde radio di diversi colori (blu intenso per WiFi, verde brillante per Zigbee, rosso pulsante per Bluetooth) che si intersecano e creano scintille di interferenza in uno spazio etereo scuro e affollato, simboleggiando l'interferenza cross-tecnologica nelle bande ISM, illuminazione drammatica laterale, effetto profondità di campo con particelle luminose fluttuanti, obiettivo 35mm.

Bande ISM Sotto Assedio: Interferenze tra Tecnologie e Strategie di Convivenza

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un campo di battaglia invisibile ma incredibilmente affollato: le bande radio ISM (Industria, Scienza e Medicina). Pensate a quel piccolo pezzo di etere, soprattutto intorno ai 2.4 GHz, dove convivono (o meglio, cercano di convivere) un sacco di tecnologie wireless che usiamo ogni giorno: il nostro amato WiFi, il Bluetooth delle cuffiette, i sensori della smart home che magari usano Zigbee o protocolli simili (basati sullo standard IEEE 802.15.4), e persino i forni a microonde!

Il problema? Queste tecnologie sono state sviluppate spesso in modo indipendente, senza una regola comune per accedere al “microfono” (il canale radio), e hanno specifiche molto diverse. È un po’ come mettere nella stessa stanza persone che parlano lingue diverse, a volumi diversi e senza aspettare il proprio turno. Il risultato è il caos, o meglio, quella che noi tecnici chiamiamo Interferenza Cross-Tecnologica (CTI – Cross-Technology Interference).

La Legge del Più Forte (e del Più Rumoroso)

La cosa un po’ ingiusta è che questa interferenza non è reciproca. Le tecnologie che usano più potenza di trasmissione e schemi di comunicazione più avanzati (ciao WiFi!) tendono a “urlare” più forte, disturbando pesantemente quelle più “modeste”, come le reti di sensori a basso consumo (low-power networks) basate sullo standard IEEE 802.15.4. Queste ultime sono spesso le vittime designate, con le loro piccole risorse di comunicazione e calcolo.

Cosa succede quando c’è CTI? I pacchetti di dati si corrompono, costringendo i dispositivi a ritrasmettere (spreco di energia!), si introducono ritardi e variazioni nei tempi di consegna (jitter), e le reti diventano imprevedibili. Immaginate il vostro termostato smart che non riesce a comunicare perché il vicino sta scaricando un film in 4K!

Il mio obiettivo oggi è proprio esaminare da vicino l’impatto della CTI su queste reti a basso consumo, esplorando gli ultimi sviluppi su come rilevarla, evitarla e creare meccanismi di coesistenza. Parleremo anche di schemi di messaggistica che cercano di far “parlare” direttamente queste tecnologie eterogenee per coordinarsi meglio.

Esperienze Dirette dal Campo (di Battaglia)

Lasciate che vi racconti un paio di esperienze dirette che rendono l’idea. Nell’estate del 2023, ho partecipato a delle spedizioni di ricerca con l’Institute of Environment della Florida International University (FIU) nella Baia di North Biscayne, a Miami. L’obiettivo era monitorare la qualità dell’acqua, che ultimamente è peggiorata parecchio. Oltre ai metodi tradizionali, stavamo sperimentando l’uso di reti di sensori wireless e veicoli di superficie autonomi (USV – Unmanned Surface Vehicles).

In una di queste uscite, abbiamo messo in acqua una rete di sei nodi sensore, collegati a una corda legata alla barca. Questi nodi usavano un protocollo standard (RPL) e radio a 2.4 GHz per comunicare tra loro. Senza interferenze esterne, nonostante il movimento dell’acqua, la comunicazione era decente. Ma appena uno degli USV della FIU si avvicinava entro un raggio di circa 300 metri… il disastro. La comunicazione diventava terribile, quasi impossibile. Abbiamo provato a cambiare canale (ce n’erano 16 disponibili!), ma niente da fare. La rete diventava instabile e i collegamenti cadevano completamente. Il “colpevole”? L’USV usava lo standard IEEE 802.11b (WiFi) per comunicare con la sua stazione di controllo remoto.

Fotografia grandangolare, 15mm, di un piccolo drone acquatico (USV) bianco che naviga in una baia calma al tramonto, con boe galleggianti rosse (sensori wireless) visibili in lontananza, acqua leggermente increspata, esposizione lunga per acqua liscia, colori caldi del cielo riflessi sull'acqua, stile National Geographic.

Una seconda esperienza l’abbiamo avuta su un lago nel campus della FIU. Stavolta, oltre alla rete di sensori sul lago, avevamo un nodo sensore direttamente su un altro USV, più complesso del precedente. Questo USV comunicava con la stazione remota usando un potente ricetrasmettitore proprietario su bande diverse (4.9-5.8 GHz), ma *in aggiunta*, la stazione di controllo poteva essere comandata da un operatore umano tramite… indovinate? Esatto, IEEE 802.11b (WiFi a 2.4 GHz). Finché l’USV navigava in autonomia, tutto ok. Ma appena l’operatore umano interagiva via WiFi, tutti i nodi sensore (specialmente quello sulla barca) subivano un’interferenza pazzesca. La qualità del collegamento crollava.

Queste esperienze sottolineano quanto sia critico il problema della CTI, specialmente con l’avvento di sistemi autonomi come droni e veicoli robotizzati che usano comunicazioni potenti nelle stesse bande delle nostre reti IoT a basso consumo.

Capire il Nemico: Chi Causa l’Interferenza?

Per mitigare la CTI, dobbiamo prima capire da dove viene. Un tempo, i principali “disturbatori” erano telefoni cordless, forni a microonde, caricabatterie wireless, dispositivi Bluetooth e reti locali WiFi. Oggi, la sfida maggiore viene dai sistemi autonomi emergenti (droni, robot) che operano su aree più vaste, usano alta potenza di trasmissione, antenne grandi e tecniche avanzate di modulazione e accesso al mezzo. Spesso questi sistemi “saltano” tra le frequenze (frequency hopping) per evitare *loro stessi* le interferenze, ma così facendo ne creano di nuove per i dispositivi IoT vicini.

I principali standard coinvolti nella CTI nella banda ISM a 2.4 GHz sono:

  • IEEE 802.11 (WiFi): Standard come b/g/n/ax/be/ba. Usano canali larghi (circa 20-22 MHz). I canali più usati (1, 6, 11 per evitare sovrapposizioni *tra reti WiFi*) si sovrappongono pesantemente a diversi canali dello standard IEEE 802.15.4.
  • IEEE 802.15.1 (Bluetooth): Usa 79 canali da 1 MHz e salta frequentemente tra di essi (frequency hopping). Sebbene si sovrapponga a tutti i canali 802.15.4, studi mostrano che l’interferenza da Bluetooth è spesso meno problematica rispetto a quella del WiFi.
  • IEEE 802.15.4 (Zigbee, Thread, ecc.): Definisce 16 canali (numerati da 11 a 26) nella banda 2.4 GHz, ognuno largo 2 MHz. Come visto, molti di questi canali sono “schiacciati” dai canali WiFi più larghi.

La sovrapposizione è inevitabile: il Canale 1 WiFi interferisce potenzialmente con i canali 11-14 dell’802.15.4; il Canale 6 WiFi con i canali 16-19; e il Canale 11 WiFi con i canali 21-24. È una vera giungla spettrale!

Come Rileviamo l’Intruso? Le Strategie di Detection

Ok, sappiamo che c’è interferenza, ma come facciamo a “vederla” e magari a capire chi la sta causando, specialmente con i mezzi limitati di un dispositivo low-power?

Le tecniche classiche si basano sulla mappatura di metriche di basso livello della qualità del link radio. I dispositivi misurano parametri come:

  • Energy Detection (ED): Una stima della potenza del segnale ricevuto su un canale, indipendentemente da chi lo sta trasmettendo (potrebbe essere rumore o un interferente).
  • Received Signal Strength Indicator (RSSI): La potenza del segnale associata a un pacchetto *ricevuto con successo*. Utile, ma non dice nulla sui pacchetti persi a causa dell’interferenza.
  • Link Quality Indicator (LQI): Una metrica che dovrebbe caratterizzare la qualità del segnale *desiderato*, spesso calcolata basandosi su ED o sul rapporto segnale-rumore. Anche qui, l’implementazione specifica varia tra i produttori di chip.

Queste metriche “grezze” danno un’idea, ma non sempre distinguono bene tra un segnale debole e un segnale forte ma disturbato. Metriche di più alto livello, come il Packet Reception Rate (PRR) (la percentuale di pacchetti ricevuti correttamente su quelli attesi), o l’analisi della durata delle sequenze di pacchetti persi consecutivamente, possono dare un quadro migliore della stabilità del link e della durata media dell’interferenza.

Primo piano di uno schermo di oscilloscopio che mostra forme d'onda radio complesse e sovrapposte, etichettate come 'Segnale WiFi' e 'Segnale Zigbee', con un'area evidenziata che mostra la corruzione del segnale Zigbee. Illuminazione da laboratorio, focus nitido sullo schermo, effetto bokeh sullo sfondo con attrezzature elettroniche sfocate, obiettivo 50mm.

Approcci più sofisticati cercano di “leggere le impronte digitali” dell’interferenza:

  • Analisi dei Simboli Corrotti: Lo standard IEEE 802.15.4 codifica i dati in simboli. Analizzando i pattern di errore nei simboli dei pacchetti ricevuti ma corrotti (quelli con CRC errato), alcuni ricercatori sono riusciti a identificare pattern distintivi lasciati da diverse fonti di interferenza (es. WiFi vs Bluetooth vs microonde). È interessante notare che i simboli corrotti spesso arrivano con un RSSI *alto*, segno che l’interferenza era potente!
  • Machine Learning (ML): Sempre più spesso si usano tecniche di ML. Si addestrano modelli (come reti neurali artificiali, HMM, CNN) a riconoscere i pattern di interferenza analizzando varie caratteristiche del segnale (tracce RSSI, spettrogrammi, errori nei pacchetti) per classificare la fonte (WiFi, LTE, microonde) e persino prevedere quando potrebbe verificarsi.
  • Analisi dello Spettro in Tempo Reale: Sistemi più avanzati usano l’analisi dello spettro su banda larga per “fotografare” l’attività RF in tempo reale, identificando, classificando e localizzando le emissioni, anche quando si sovrappongono. Questi richiedono però risorse computazionali significative.

Schivare i Colpi: Tecniche di Evitamento (Avoidance)

Una volta rilevata l’interferenza, come possiamo evitarla? La strategia più comune è cambiare canale, una tecnica nota come selezione dinamica del canale o frequency hopping. L’idea è semplice: se un canale è disturbato, spostiamoci su uno più pulito! Ma come farlo in modo efficiente?

Ci sono diversi approcci:

  • Chi decide? Può essere il trasmettitore o il ricevitore a iniziare il cambio di canale.
  • Come si sceglie il canale migliore? Si possono usare metriche come la potenza media misurata sul canale, il minimo della potenza misurata, o metriche più complesse che cercano di stimare il Packet Error Rate (PER) su ciascun canale.
  • Strategia centralizzata o distribuita? La decisione può essere presa da un coordinatore centrale o localmente da ogni nodo.
  • Canale singolo o multiplo? La rete usa un solo canale alla volta o diversi nodi possono usare canali diversi contemporaneamente?
  • C’è un canale di controllo? A volte si usa un canale dedicato per coordinare i cambi.

Un approccio pratico è il channel blacklisting: i nodi identificano i canali persistentemente disturbati (magari da una rete WiFi vicina sempre attiva su quel canale) e li mettono in una “lista nera”, evitandoli per le comunicazioni future. Questa lista può essere negoziata localmente tra coppie di nodi.

Anche qui, il Machine Learning sta entrando in gioco per modellare e mitigare l’impatto della CTI in modo più intelligente, ad esempio prevedendo quali canali saranno liberi o imparando i pattern di interferenza per adattare dinamicamente la strategia di hopping.

Imparare a Convivere: Meccanismi di Coesistenza

A volte, evitare l’interferenza non basta o non è possibile. Dobbiamo trovare modi per far convivere le diverse tecnologie nello stesso spazio e tempo.

Un problema fondamentale è che il meccanismo base di “ascolta prima di parlare” (Clear Channel Assessment – CCA) non funziona bene tra tecnologie diverse. I dispositivi WiFi, ad esempio, hanno una soglia di rilevamento dell’energia (la loro “sensibilità uditiva”) troppo alta per “sentire” le trasmissioni a bassa potenza dei dispositivi IEEE 802.15.4. E anche se li sentissero, aspettare che un dispositivo lento finisca di trasmettere sarebbe inefficiente per il WiFi, che ha bisogno di trasmettere molti più dati in meno tempo.

Illustrazione concettuale fotorealistica: due onde radio stilizzate, una blu spessa (WiFi) e una verde sottile (Zigbee), che si intrecciano elegantemente senza collidere all'interno di uno spazio etereo luminoso, simboleggiando la coesistenza. Sfondo astratto con circuiti luminosi sfocati, effetto profondità di campo, obiettivo 85mm.

Quindi, servono strategie più avanzate:

  • Riutilizzo dello Spettro (Spectrum Reuse): Il WiFi usa una tecnica chiamata OFDM, che divide il canale in tanti sottocanali (subcarriers). Alcuni di questi sottocanali possono essere intenzionalmente lasciati liberi (“spenti”) se si sovrappongono ai canali usati dalle reti low-power vicine. È come se il WiFi liberasse alcune “corsie” della sua autostrada per far passare le “biciclette” dell’IoT. Richiede però coordinamento e intelligenza da entrambe le parti.
  • Comunicazione Cross-Tecnologica (CTC – Cross-Technology Communication): Questa è forse l’area più affascinante e recente. L’idea è permettere a dispositivi di tecnologie diverse di scambiarsi direttamente messaggi di coordinamento. Come? Sfruttando le caratteristiche specifiche dei segnali. Ad esempio:
    • Un dispositivo WiFi potrebbe codificare un “suggerimento” (es. “sto per trasmettere sul canale X”) manipolando sottilmente il proprio segnale in modo che un dispositivo IEEE 802.15.4 possa decodificarlo, magari interpretando parti del pacchetto WiFi come se fossero un pacchetto 802.15.4 (anche se con errori, che possono essere corretti).
    • Viceversa, un dispositivo low-power potrebbe trasmettere un messaggio a un dispositivo WiFi sovrapponendo il proprio segnale a quello di una trasmissione WiFi esistente. Il ricevitore WiFi, analizzando le variazioni nel segnale ricevuto (il Channel State Information – CSI), potrebbe decifrare il messaggio “nascosto” dal dispositivo low-power.

    Queste tecniche sono complesse e spesso richiedono una conoscenza profonda della struttura dei segnali a livello fisico, ma aprono la porta a una vera cooperazione tra tecnologie eterogenee.

Il Supporto dai Sistemi: Protocolli Anti-Interferenza

Il problema della CTI è ben noto a chi sviluppa software e protocolli per reti low-power. Ambienti di runtime come CONTIKI e RIOT, e lo stack protocollare 6LoWPAN (che porta IPv6 su queste reti), includono supporti per implementare protocolli consapevoli della CTI.

Uno dei protocolli MAC (Medium Access Control) più importanti in questo contesto è il TSCH (Time-Slotted Channel Hopping). È diventato parte dello standard IEEE 802.15.4e ed è pensato proprio per ambienti industriali difficili, con rumore e interferenze.

TSCH combina due tecniche:

  • TDMA (Time Division Multiple Access): Il tempo è diviso in piccoli intervalli fissi (time slots, tipicamente 10-20 ms).
  • FDMA (Frequency Division Multiple Access) / Frequency Hopping: Ad ogni time slot, la comunicazione avviene su un canale di frequenza diverso, scelto secondo uno schema predefinito o negoziato.

In pratica, i nodi della rete si sincronizzano e seguono una “tabella di marcia” (schedule) che dice loro in quale slot temporale e su quale canale devono trasmettere o ricevere. Questo hopping continuo su tempo e frequenza rende la rete molto più robusta a interferenze persistenti su un singolo canale o a brevi burst di rumore.

Diagramma astratto ma fotorealistico che mostra una griglia tempo-frequenza (TSCH schedule). Le celle della griglia sono colorate per rappresentare diversi canali. Frecce luminose indicano pacchetti che 'saltano' da una cella all'altra. Illuminazione high-tech, sfondo scuro con linee di codice binarie sfocate, obiettivo 60mm macro.

TSCH funziona bene, ma ha i suoi limiti. Lo schema di hopping di base è pseudo-casuale e potrebbe non adattarsi dinamicamente alle condizioni reali del canale. Per questo, sono state proposte varianti che integrano l’apprendimento automatico (es. usando modelli Multi-Armed Bandit) per permettere ai nodi di imparare quali canali funzionano meglio e favorirli, o che aggiungono il channel blacklisting per escludere esplicitamente i canali problematici.

Il Costo Reale della Battaglia: Impatto su Energia e Performance

Tutta questa lotta contro le interferenze ha un costo. La CTI è dannosa perché:

  • Corrompe i pacchetti: Questo costringe a ritrasmissioni. Ogni ritrasmissione consuma energia preziosa, specialmente per dispositivi a batteria che dovrebbero durare anni. Studi sperimentali mostrano che trasmettere e ricevere sono le attività di gran lunga più energivore per un nodo low-power. Ogni pacchetto perso e ritrasmesso è un duro colpo per l’autonomia della rete.
  • Inibisce l’accesso al mezzo: Se il canale è costantemente occupato da un interferente potente, un dispositivo low-power potrebbe non riuscire mai a trovare uno slot libero per trasmettere, o dover aspettare a lungo.
  • Aumenta la latenza: Le ritrasmissioni, l’attesa per l’accesso al canale, e magari percorsi di routing più lunghi per aggirare i link disturbati, tutto contribuisce ad aumentare il tempo che un pacchetto impiega per arrivare a destinazione. In alcune applicazioni (es. controllo industriale), ritardi eccessivi sono inaccettabili.
  • Riduce il throughput: Meno pacchetti arrivano a destinazione con successo nell’unità di tempo.

Studi sperimentali hanno quantificato questo impatto. Ad esempio, la presenza di traffico WiFi 802.11b/g può aumentare la latenza delle reti IEEE 802.15.4 dal 13% fino al 40% e causare perdite significative di pacchetti, specialmente quando il traffico WiFi è intenso. È interessante notare che spesso sono le intestazioni dei pacchetti (preambolo, SFD) ad essere più vulnerabili, impedendo al ricevitore persino di riconoscere l’arrivo di un pacchetto.

Conclusioni e Sfide Future

La coesistenza di reti wireless eterogenee nelle affollate bande ISM è fondamentale per realizzare la visione dell’Internet of Things, dal monitoraggio ambientale all’industria 4.0. Tuttavia, l’interferenza cross-tecnologica (CTI) rappresenta una sfida enorme, specialmente per le reti low-power che sono spesso le vittime silenziose dei “vicini” più potenti come il WiFi.

Abbiamo visto un panorama di strategie per affrontare questo problema: dal rilevamento basato su metriche semplici o analisi profonde del segnale (anche con AI), all’evitamento tramite salto di frequenza e blacklisting, fino a meccanismi avanzati di coesistenza come il riutilizzo dello spettro e l’innovativa comunicazione cross-tecnologica (CTC). Protocolli come TSCH forniscono già una buona base per la robustezza, ma c’è ancora molto lavoro da fare.

Una questione aperta importante è il costo di queste strategie. Alcune soluzioni, specialmente quelle basate su ML o CTC che richiedono analisi complesse o sincronizzazioni precise, potrebbero essere troppo onerose per i dispositivi low-power con risorse limitate. Sarà cruciale trovare il giusto equilibrio tra efficacia nella mitigazione della CTI e sostenibilità in termini di consumo energetico e complessità computazionale.

Il futuro richiederà probabilmente un mix di tutte queste tecniche, magari con dispositivi sempre più intelligenti capaci di adattare dinamicamente la loro strategia in base all’ambiente RF che percepiscono. La battaglia nell’etere continua, ma con gli strumenti giusti, possiamo sperare in una convivenza più pacifica ed efficiente.

Fonte: Springer

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