Il Pensiero che Muove: La Nuova Frontiera Non Invasiva Cervello-Midollo Spinale
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di veramente affascinante, un campo di ricerca che sembra uscito da un film di fantascienza ma che sta prendendo forma proprio ora, nei nostri laboratori. Immaginate di poter aiutare persone con lesioni al midollo spinale a recuperare funzioni motorie, non con farmaci o chirurgie complesse, ma collegando direttamente il loro cervello alla loro colonna vertebrale, in modo non invasivo. Sembra incredibile, vero? Eppure, è proprio quello su cui stiamo lavorando.
Parliamo di una tecnologia chiamata interfaccia cervello-midollo spinale (BSI – Brain-Spine Interface). L’idea di base è usare i segnali elettrici prodotti dal cervello (quelli che rileviamo con l’elettroencefalogramma, o EEG) per controllare una stimolazione elettrica mirata al midollo spinale (la stimolazione transcutanea del midollo spinale, o tSCS).
Perché è importante? La sfida della riabilitazione post-lesione
Una lesione al midollo spinale (SCI) è un evento devastante. Interrompe la comunicazione tra cervello e corpo, portando a paralisi e perdita di funzioni. La riabilitazione motoria aiuta, certo, ma spesso i miglioramenti si fermano, specialmente nella fase cronica. Qui entra in gioco la stimolazione del midollo spinale (SCS). Si è visto che applicare una leggera corrente elettrica al midollo durante la terapia fisica può dare una spinta in più, quasi un “effetto protesico” temporaneo, che permette movimenti altrimenti impossibili.
La teoria è che questa stimolazione amplifichi i segnali volontari residui che scendono dal cervello, aiutando i circuiti spinali a riorganizzarsi e a funzionare meglio. Ma cosa succederebbe se potessimo rendere questa stimolazione ancora più “intelligente”? Se potessimo attivarla esattamente quando la persona intende muoversi? L’idea è che sincronizzare la stimolazione con l’intenzione volontaria possa potenziare enormemente la neuroplasticità – la capacità del sistema nervoso di riorganizzarsi – e quindi migliorare i risultati della riabilitazione.
Già esistono interfacce cervello-midollo invasive, che richiedono impianti chirurgici. Hanno mostrato risultati promettenti su animali e persino su un paziente umano. Ma l’invasività ha i suoi limiti: costi alti, rischi chirurgici, accessibilità ridotta. Ecco perché noi abbiamo puntato su un approccio completamente non invasivo.
Il nostro approccio: Leggere il pensiero (quasi!) e stimolare al momento giusto
Il nostro obiettivo a lungo termine è usare questa BSI non invasiva per aiutare le persone con SCI a recuperare il movimento volontario delle gambe. In questo primo studio, ci siamo concentrati sui primi passi fondamentali:
- Identificare i segnali EEG specifici associati all’intenzione di muovere una gamba (in particolare, l’estensione del ginocchio) in persone senza lesioni.
- Sviluppare un “decodificatore” (un algoritmo, nello specifico un’Analisi Discriminante Lineare o LDA) capace di riconoscere questi segnali in tempo reale.
- Valutare quanto fosse preciso questo decodificatore.
Abbiamo reclutato 17 volontari sani. Abbiamo registrato la loro attività cerebrale con una cuffia EEG wireless a 32 canali, concentrandoci sulle aree sensomotorie. Contemporaneamente, abbiamo registrato l’attività muscolare (EMG) e i movimenti con sensori inerziali (IMU).

Fase 1: Capire i segnali del movimento (Offline)
Nella prima fase, abbiamo chiesto ai partecipanti di eseguire tre compiti diversi, mentre erano seduti comodi davanti a uno schermo:
- Movimento Guidato: Estendere il ginocchio destro seguendo un segnale visivo e sonoro (“Riposo”, “Concentrati”, “Muovi”).
- Immaginazione Motoria: Immaginare di estendere il ginocchio destro seguendo lo stesso segnale, ma senza muoversi realmente.
- Movimento Libero: Estendere il ginocchio destro più volte, senza segnali, al proprio ritmo.
Analizzando i dati EEG raccolti durante il movimento guidato, abbiamo trovato quello che cercavamo! L’inizio del movimento era associato a una diminuzione della potenza in specifiche bande di frequenza (tra 4 e 44 Hz) nelle aree corticali centro-mediali. Questo fenomeno è noto come desincronizzazione correlata all’evento (ERD) ed è un indicatore classico dell’attivazione corticale legata al movimento.
Abbiamo quindi “addestrato” il nostro decodificatore LDA usando i dati dei primi blocchi di movimento guidato, concentrandoci su tre bande di frequenza chiave: µ (8-12 Hz), beta bassa (16-20 Hz) e beta alta (24-28 Hz). Poi, lo abbiamo testato su un blocco di dati che non aveva mai “visto” prima. I risultati? Ottimi! Il decodificatore ha raggiunto un’area sotto la curva (AUC) media di 0.83 (dove 0.5 è il caso e 1.0 è la perfezione). Questo significa che riusciva a distinguere molto bene tra “riposo” e “intenzione di muovere”.
Ma la vera prova del nove era vedere se funzionava anche nelle altre condizioni. Abbiamo testato il decodificatore (addestrato sul movimento guidato) sui dati dell’immaginazione motoria e del movimento libero.
- Immaginazione: Performance quasi identica (AUC 0.77), e significativamente sopra il caso. Questo è importantissimo! Suggerisce che il decodificatore stava leggendo l’intenzione cerebrale, non solo artefatti legati al movimento fisico. Ed apre la porta all’uso di questa tecnica anche per chi è completamente paralizzato e può solo immaginare il movimento.
- Movimento Libero: Performance un po’ più bassa (AUC 0.72), ma comunque significativamente sopra il caso. Questo ci dice che, sebbene il segnale guida aiuti, il decodificatore funziona anche senza, ma forse le strategie neurali usate nel movimento auto-iniziato sono leggermente diverse.

Fase 2: Dal pensiero all’azione (Controllo in Tempo Reale della tSCS)
Ok, il decodificatore funzionava offline. Ma poteva controllare la stimolazione spinale in tempo reale? Era il momento di chiudere il cerchio! Abbiamo collegato l’output del decodificatore a uno stimolatore tSCS. Abbiamo posizionato degli elettrodi sulla schiena dei partecipanti, vicino al segmento T10, per colpire i muscoli della coscia destra.
Durante questa fase, la stimolazione era sempre attiva a un livello base (10 mA), ma quando il decodificatore rilevava l’intenzione di muovere il ginocchio (superando una certa soglia di probabilità), l’intensità aumentava a 15 mA per 6 secondi (la durata del movimento atteso). Abbiamo prima “calibrato” la soglia di probabilità per ogni partecipante, cercando il miglior compromesso tra attivazioni corrette e falsi allarmi, basandoci anche sul loro feedback.
Ebbene sì, ha funzionato!
- Movimento Guidato con tSCS controllata dal cervello: Il decodificatore ha mantenuto un’ottima performance (AUC media 0.81), dimostrando di poter operare efficacemente anche in presenza degli artefatti elettrici della stimolazione stessa.
- Movimento Libero con tSCS controllata dal cervello: Come previsto, la performance è scesa un po’ (AUC media 0.68), confermando che il movimento non guidato è più difficile da decodificare con un modello allenato su quello guidato. Tuttavia, era ancora significativamente meglio del caso!
Questi risultati sono stati la prima dimostrazione della fattibilità di un sistema BSI non invasivo EEG-tSCS per controllare la stimolazione degli arti inferiori in tempo reale, basandosi sull’intenzione motoria.

Fase 3: Affinare la strategia e guardare al futuro
Abbiamo fatto altri esperimenti per capire meglio alcune cose. Ad esempio, abbiamo provato ad addestrare il decodificatore direttamente sul movimento libero. L’idea era: se le strategie neurali sono diverse, forse addestrarlo sulla condizione “reale” di utilizzo (senza guida) migliorerebbe la performance. I risultati sono stati incoraggianti (AUC media 0.74), anche se con pochi partecipanti non abbiamo raggiunto una differenza statisticamente significativa rispetto al modello allenato sul movimento guidato. C’è ancora da lavorare per rendere il sistema robusto in condizioni più naturalistiche.
Abbiamo anche confermato che addestrare il decodificatore sull’immaginazione motoria permetteva poi di riconoscere il movimento reale (AUC 0.79), rafforzando la speranza per le applicazioni in casi di paralisi completa.
Un altro aspetto cruciale è il tempismo. Non basta che la stimolazione si attivi, deve farlo al momento giusto. Abbiamo analizzato quanto l’attivazione della stimolazione fosse vicina all’inizio reale del movimento. Come atteso, la precisione temporale era migliore nel movimento guidato rispetto a quello libero. Questo sottolinea l’importanza di bilanciare la velocità di risposta del sistema con la sua accuratezza.
Cosa significa tutto questo? Prospettive e sfide
Questo studio è un primo passo, ma molto promettente. Abbiamo dimostrato che è possibile creare un’interfaccia cervello-midollo spinale non invasiva che:
- Decodifica l’intenzione di muovere la gamba dall’EEG con buona accuratezza.
- Funziona anche basandosi sulla sola immaginazione motoria.
- Può controllare la tSCS in tempo reale, sincronizzandola con l’intenzione volontaria.
Questo apre scenari entusiasmanti per la riabilitazione motoria post-SCI. L’idea di poter “rinforzare” lo sforzo volontario del paziente con una stimolazione mirata e temporizzata potrebbe davvero potenziare la neuroplasticità e portare a recuperi funzionali migliori e più duraturi.
Certo, le sfide non mancano. Dobbiamo testare il sistema su persone con lesioni midollari reali, che potrebbero avere pattern di attivazione cerebrale diversi. Dobbiamo migliorare la performance e la robustezza, specialmente per i movimenti non guidati e più complessi (come il cammino, che coinvolge molti più muscoli e articolazioni). La risoluzione spaziale dell’EEG è limitata rispetto a tecniche invasive, il che rende difficile distinguere movimenti fini o di diverse parti della gamba. Sarà necessario trovare strategie intelligenti, magari usando il decodificatore per attivare pattern di stimolazione predefiniti. E poi c’è la questione della calibrazione e dell’adattamento nel tempo, sia del sistema che dell’utente.
Nonostante le sfide, siamo convinti che questa tecnologia abbia un potenziale enorme. Continuare a sviluppare e ottimizzare queste interfacce non invasive potrebbe non solo migliorare l’efficacia e l’accessibilità delle terapie riabilitative, ma anche farci capire meglio come funziona il nostro cervello e come possiamo aiutarlo a guarire. È un viaggio appena iniziato, ma la direzione è tracciata: usare il potere del pensiero per ridare movimento.

Fonte: Springer
