Segreti Digitali della Natura: Chi Tira Davvero le Fila nei Negoziati Globali?
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi dietro le quinte di un mondo affascinante e complesso: quello dei negoziati internazionali sull’ambiente. Nello specifico, parleremo di qualcosa che suona tecnico ma ci riguarda tutti: l’accesso e la condivisione dei benefici (ABS) derivanti dall’uso dell’informazione digitale sulle sequenze (DSI) delle risorse naturali. Sembra complicato? Tranquilli, vi guido io passo passo.
Cosa sono le DSI e perché sono importanti?
Immaginate il DNA come il libretto di istruzioni della vita. Oggi, grazie alla tecnologia, possiamo “leggere” questo libretto (sequenziamento) e trasformare l’informazione in dati digitali: le DSI. Questi dati sono oro colato per la ricerca scientifica, lo sviluppo di nuovi farmaci (pensate ai vaccini COVID-19!), il miglioramento delle colture agricole, la cosmetica e persino la conservazione delle specie. Possiamo accedere a queste informazioni da database online, spesso pubblici, senza dover prelevare fisicamente la pianta o l’animale originario. Comodo, no?
Il problema sorge qui: queste risorse genetiche “originali” provengono da qualche parte, spesso da paesi del Sud del mondo ricchi di biodiversità, e magari sono custodite da comunità indigene e locali da generazioni. La Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) del 1992 e il successivo Protocollo di Nagoya del 2010 hanno cercato di stabilire regole eque: chi usa una risorsa genetica deve chiedere il permesso (consenso informato preventivo) e accordarsi su come condividere i benefici (monetari e non) con il paese o la comunità che l’ha fornita. Ma le DSI, essendo digitali e facilmente condivisibili, sfuggono un po’ a queste regole pensate per le risorse fisiche. Come garantire che i benefici derivanti dall’uso di questi dati digitali vengano condivisi equamente? È una bella gatta da pelare, ve lo assicuro!
Gli Attori in Campo: Non Solo Governi
Quando pensiamo ai negoziati internazionali, immaginiamo subito delegati governativi in giacca e cravatta. Giusto, ma non sono i soli! Ci sono un sacco di altri “giocatori” che cercano di influenzare le decisioni: li chiamiamo attori non statali. Parliamo di:
- Organizzazioni della società civile (ONG ambientaliste, per esempio)
- Popoli Indigeni e comunità locali
- Scienziati e istituzioni di ricerca
- Imprese e associazioni industriali
Molti governi ascoltano queste voci e, a volte, si sentono persino responsabili nei loro confronti. Questi attori non statali spesso si uniscono in coalizioni di lobbying per avere più peso. Alcune sono organizzazioni stabili, ma quelle che mi hanno incuriosito di più sono le coalizioni “ad hoc”.

Le Coalizioni “Ad Hoc”: Squadre Speciali per Obiettivi Mirati
Immaginate queste coalizioni ad hoc come squadre speciali che si formano per una missione specifica e poi si sciolgono. Nascono rapidamente, magari durante i negoziati stessi, con un obiettivo ben preciso (nel nostro caso, influenzare le regole sulle DSI), risorse limitate e condivise solo per quel frangente. Non sono le grandi associazioni di categoria o le piattaforme permanenti, ma gruppi più agili e temporanei. Finora, non erano state studiate molto a fondo, ed è qui che entra in gioco la mia ricerca. Ho voluto capire: cosa spinge queste coalizioni? Quali interessi difendono veramente?
La Lente degli Interessi: Pubblico vs. Privato
Per capirci qualcosa, ho usato una lente speciale: quella degli interessi pubblici e privati. Non è una divisione netta, bianco o nero, ma più una sfumatura continua.
- Da un lato, ci sono gli interessi pubblici: obiettivi che mirano a beneficiare molti, idealmente tutti, anche le generazioni future. I benefici sono “non rivali” (se ne godo io, puoi goderne anche tu). Un esempio classico nel dibattito DSI è l’importanza dell’accesso libero e aperto ai dati per la ricerca scientifica a beneficio della salute pubblica globale.
- Dall’altro lato, ci sono gli interessi privati: obiettivi che avvantaggiano un gruppo più ristretto (aziende, specifici settori di ricerca, ecc.). I benefici sono “rivali” (se li prendo io, non puoi prenderli tu). Pensate ai profitti derivanti da un farmaco sviluppato usando DSI o ai diritti di proprietà intellettuale (IPR) su un’innovazione.
La teoria suggerirebbe che le ONG e gli scienziati tendano a spingere per interessi pubblici, mentre le imprese per quelli privati. Ma sarà davvero così semplice, soprattutto per le nostre coalizioni ad hoc?
Cosa Abbiamo Scoperto Analizzando le Posizioni Ufficiali
Ho analizzato decine di documenti ufficiali presentati da vari attori non statali al Segretariato della CBD tra il 2016 e il 2021, concentrandomi sulle posizioni riguardo alle DSI. Ho identificato cinque coalizioni ad hoc particolarmente interessanti. Quattro erano composte prevalentemente da scienziati e istituti di ricerca (soprattutto tedeschi e statunitensi), mentre una era molto più eterogenea, con una forte presenza di imprese e associazioni industriali, ma anche organizzazioni scientifiche e database. Una cosa che salta all’occhio: quasi tutti dal Nord Globale. Mancavano le voci dei Popoli Indigeni, delle donne, dei lavoratori… un’assenza pesante.
Analizzando i loro argomenti su tre temi chiave (accesso aperto, campo di applicazione della CBD/Nagoya, uso commerciale/non commerciale), sono emerse cose interessanti:
1. Accesso Aperto: Tutti d’Accordo (Apparentemente)
Tutte e cinque le coalizioni spingono per l’accesso libero e aperto alle DSI per la ricerca scientifica, presentandolo come un interesse pubblico fondamentale. “I dati devono circolare liberamente per il progresso di tutti!”, sembrano dire. Ma attenzione: l’accesso da solo non basta. Servono tecnologia, infrastrutture, competenze e risorse per *usare* quei dati, e non tutti le hanno allo stesso modo. Quindi, questo “interesse pubblico” non rischia di favorire chi è già attrezzato, spesso nel Nord Globale? La coalizione a maggioranza industriale sembra consapevole di questo, menzionando la necessità di “capacity building” per i paesi in via di sviluppo.

2. DSI dentro o fuori le Regole? Qui le Opinioni Divergono
Includere le DSI nell’ambito della CBD e del Protocollo di Nagoya significherebbe applicare anche a loro le regole sulla condivisione dei benefici. Le coalizioni scientifiche sono caute: temono che questo possa ostacolare la libera circolazione dei dati, fondamentale per la scienza aperta. Alcuni arrivano a dire che le DSI sono frutto della ricerca, non una risorsa naturale sovrana di un paese, e quindi non dovrebbero sottostare a quelle regole. Altri scienziati, però, riconoscono che un sistema basato solo sui permessi (magari legati a IPR) favorirebbe solo i più ricchi. La coalizione a maggioranza industriale, invece, è preoccupata che regolare le DSI riduca la quantità di dati disponibili pubblicamente, ma suggerisce che la condivisione dei benefici possa essere negoziata caso per caso nei termini contrattuali (MAT) già previsti dal Protocollo di Nagoya, portando di fatto in gioco i meccanismi nazionali e la proprietà intellettuale. Qui vediamo chiaramente come l’argomento dell’interesse pubblico (accesso aperto) si intrecci con interessi più privati (controllo tramite IPR, flessibilità contrattuale).
3. Uso Commerciale: Il Nodo Cruciale
È qui che la lente pubblico-privato diventa rivelatrice. Le coalizioni scientifiche riconoscono la preoccupazione dei paesi fornitori: le DSI liberamente accessibili potrebbero essere usate per sviluppare prodotti commerciali senza che i benefici tornino indietro. C’è un dilemma: da un lato, vogliono condividere i dati per la validazione scientifica (interesse pubblico della scienza), proponendo che questa condivisione sia vista come un “beneficio non monetario”. Dall’altro, sanno che questi dati possono generare profitti e IPR (interessi privati, spesso concentrati nel Nord).
La coalizione a maggioranza industriale etichetta lo scambio aperto di DSI come una forma di condivisione di benefici non monetari che aiuta la ricerca globale (pubblico). Ma allo stesso tempo, spinge perché la condivisione dei benefici sia gestita tramite accordi specifici (privato), magari legati a diritti di proprietà intellettuale. Le loro argomentazioni sugli interessi privati sono formulate in modo più diffuso, ma ci sono.
La Sorpresa: Scienziati Trasparenti, Imprese “Pubbliche”
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ho trovato che le coalizioni scientifiche sono state sorprendentemente esplicite e trasparenti riguardo ai loro interessi privati (legati alle necessità della ricerca, alla pubblicazione, al riconoscimento). Non si nascondono dietro un velo di puro “interesse pubblico”. Al contrario, la coalizione a maggioranza industriale ha insistito molto sull’argomento dell’interesse pubblico (“l’accesso aperto beneficia tutti!”), pur perseguendo chiaramente anche interessi privati, formulati però in modo più velato. Questo sfuma l’idea che certi tipi di attori perseguano solo un tipo di interesse. Tutti usano un mix di argomenti, pubblici e privati.

Verso una Soluzione? Il Fondo Multilaterale
Il dibattito è così complesso e gli interessi così divergenti che i negoziati si sono arenati più volte. Per uscire dall’impasse, sta prendendo piede l’idea di un approccio multilaterale: separare l’accesso (che resterebbe aperto) dalla condivisione dei benefici, gestita attraverso un fondo globale (il “Fondo di Cali”) alimentato da chi utilizza le DSI commercialmente. Questo approccio, sostenuto anche da una rete di scienziati (un’altra coalizione ad hoc!), cerca di bilanciare gli interessi pubblici e privati in modo nuovo. La strada è ancora lunga (i dettagli operativi sono rimandati al 2026), ma è una direzione interessante.
Cosa ci portiamo a casa?
Questa immersione nel mondo delle coalizioni ad hoc e dei loro interessi ci dice alcune cose importanti:
- Guardare attraverso la lente degli interessi pubblici e privati è fondamentale per capire le dinamiche reali dei negoziati ambientali.
- Le coalizioni ad hoc, anche se temporanee, giocano un ruolo significativo.
- Non esistono attori “puri”: tutti mescolano argomenti di interesse pubblico e privato per sostenere le proprie posizioni. Gli scienziati non fanno eccezione.
- C’è un forte squilibrio nella rappresentanza: le voci del Sud Globale e di gruppi come i Popoli Indigeni sono sottorappresentate, e questo ha conseguenze sull’equità degli accordi.
Capire chi sta spingendo per cosa, e perché, è il primo passo per sperare in accordi internazionali che siano non solo efficaci per l’ambiente, ma anche veramente giusti ed equi per tutti. La prossima volta che sentirete parlare di negoziati sulla biodiversità, ricordatevi che dietro le dichiarazioni ufficiali c’è un complesso intreccio di interessi, pubblici e privati, che vale la pena conoscere.
Fonte: Springer
