Immagine fotorealistica di un modello 3D trasparente di un edificio in cemento armato che mostra le fondazioni a plinto interagire con uno strato di terreno sottostante, visualizzando le linee di forza e i cedimenti differenziali. Obiettivo prime 35mm, illuminazione da studio per evidenziare i dettagli, profondità di campo.

Fondazioni e Terreno: Un Dialogo Cruciale per Edifici più Sicuri ed Efficienti!

Amici ingegneri, architetti e semplici curiosi della scienza delle costruzioni, oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che, credetemi, fa tutta la differenza del mondo quando si progetta un edificio: l’interazione suolo-struttura (SSI, dall’inglese Soil-Structure Interaction). So che suona un po’ tecnico, ma cercherò di rendervelo affascinante come una chiacchierata al bar davanti a un buon caffè!

Immaginate un edificio: non è mica un blocco isolato che fluttua nell’aria, giusto? Poggia saldamente (si spera!) sul terreno. Ecco, il punto è proprio questo: la struttura e il terreno sottostante non sono due entità separate, ma comunicano, si influenzano a vicenda. Questa “conversazione” è l’interazione suolo-struttura.

Cos’è questa Interazione Suolo-Struttura (SSI) di cui tutti parlano?

Tradizionalmente, molti progetti considerano gli appoggi della struttura come infinitamente rigidi. Un po’ come pensare che il terreno sia un blocco di granito inscalfibile. Ma la realtà, come spesso accade, è più complessa e interessante. Il terreno, infatti, ha una sua deformabilità. Pensatelo come un materasso, più o meno rigido a seconda della sua natura. Quando l’edificio scarica il suo peso, il “materasso-terreno” si deforma, e questa deformazione non è quasi mai uniforme sotto tutta la fondazione.

Considerare questa flessibilità, questa “risposta” del terreno, è fondamentale. Ci permette di elaborare progetti che si avvicinano molto di più al comportamento reale della costruzione, garantendo maggiore sicurezza, potenziale risparmio economico e, soprattutto, migliori prestazioni nel tempo. In pratica, si modella il terreno come se fosse composto da infinite piccole molle, ognuna con una sua rigidezza (il famoso coefficiente di rigidezza “K”), che reagiscono ai carichi applicati.

Una delle conseguenze più interessanti dell’SSI è la ridistribuzione dei carichi tra i pilastri dell’edificio. In genere, i pilastri più caricati tendono a “scaricare” un po’ del loro fardello, mentre quelli meno sollecitati si fanno carico di una porzione aggiuntiva. È un po’ come un gioco di squadra, dove ci si aiuta a vicenda!

Il Caso Studio: Un Grattacielo sotto la Lente

Per capire meglio l’impatto dell’SSI, vi porto con me in un caso studio reale: un imponente edificio residenziale di 35 piani, chiamato “Torre B”, situato a Caruaru, in Brasile. Questa torre poggia su un terreno roccioso, un ammasso roccioso che, sebbene di buona qualità (RQD prevalentemente superiore al 75%), presentava comunque delle fratturazioni e discontinuità. Questo dettaglio è cruciale, perché ci fa capire che anche su roccia, i cedimenti, seppur piccoli, possono avvenire e influenzare il comportamento della struttura.

Le fondazioni scelte per questo colosso sono state dei plinti isolati e combinati in cemento armato. I plinti combinati sono stati usati quando la vicinanza tra due pilastri avrebbe portato a una sovrapposizione delle basi dei plinti isolati.

Durante la costruzione, sono stati monitorati attentamente i cedimenti dei pilastri in diverse fasi, installando dei capisaldi metallici e utilizzando livelli ottici. Questi dati di cedimento, insieme ai carichi sui pilastri ottenuti dalla modellazione strutturale (con software come CAD/TQS), sono stati usati per calcolare i famosi coefficienti di rigidezza “K” delle molle che simulano il terreno. Un lavoro certosino, ma fondamentale!

Fotografia macro di una sezione di terreno roccioso fratturato con in evidenza le discontinuità, illuminazione controllata per esaltare i dettagli della roccia, obiettivo macro 90mm, messa a fuoco precisa sulle venature.

Rigido vs. Flessibile: La Danza delle Fondazioni

Lo studio ha confrontato due scenari di progettazione per le fondazioni:

  • Appoggi rigidi: l’approccio tradizionale, senza considerare l’SSI.
  • Appoggi flessibili: l’approccio realistico, che include l’SSI tramite i coefficienti “K”.

L’obiettivo era vedere come cambiano la geometria delle fondazioni e il consumo di materiali (calcestruzzo e acciaio) passando da un modello all’altro.

Cosa Succede ai Carichi? La Sorpresa della Ridistribuzione

Come ci si aspettava, considerare gli appoggi flessibili ha portato a una ridistribuzione dei carichi. I pilastri centrali, tipicamente i più caricati (nel nostro caso PB8, PB11 e PB13, dove si trovano anche gli ascensori), hanno visto una leggera diminuzione del carico. Ad esempio, il pilastro più caricato, PB13, ha avuto un alleggerimento del 1.94%.

La sorpresa, o meglio, la conferma di quanto l’asimmetria della pianta e la posizione dei pilastri contino, è arrivata dai pilastri di bordo. Ci si potrebbe aspettare che questi ricevano più carico trasferito dal centro. Invece, il comportamento è stato più variegato. Il pilastro PB01 (di bordo) ha visto il maggior incremento di carico (7.12%), ma il pilastro PB17 (anch’esso di bordo e inizialmente poco caricato) ha subito il maggior alleggerimento (-6.19%). Questo comportamento “anomalo” per PB17 è stato attribuito proprio all’asimmetria della pianta dell’edificio e alla presenza di pochi pilastri centrali. Pensate che ben 15 dei 18 pilastri erano di bordo!

Questo ci insegna che non si può generalizzare troppo: ogni edificio ha la sua storia e il suo modo di “dialogare” con il terreno.

Geometria delle Fondazioni: Più Grandi, Più Piccole, o Uguali?

Passiamo ora alle dimensioni dei plinti. Le variazioni più significative nella geometria sono state osservate in lunghezza (A) per il plinto SB03 (riduzione di 15 cm) e in larghezza (B) per SB06 (riduzione di 10 cm) e SB08 (aumento di 10 cm). Se guardiamo all’area della base (Asap), il plinto SB06 ha avuto la maggiore riduzione (da 7.48 m² a 6.93 m²), mentre SB08 ha visto un aumento del 5.38%.

È interessante notare che le maggiori variazioni geometriche non sempre coincidevano con le maggiori ridistribuzioni di carico. Questo perché ogni plinto interagisce anche con quelli vicini. Alcuni plinti (SB02, SB05, SB18) non hanno mostrato variazioni di sezione, poiché gli incrementi di carico post-interazione erano inferiori all’1%, non abbastanza da giustificare modifiche geometriche.

L’altezza (H) dei plinti è stata la dimensione meno influenzata, con variazioni massime di soli 5 cm. Complessivamente, 13 dei 16 plinti (l’81.25%) hanno subito modifiche nella loro sezione di base: 4 sono aumentati e 9 si sono ridotti. I plinti di bordo, contrariamente a una prima intuizione, hanno mostrato più riduzioni che aumenti di sezione, sempre a causa dell’asimmetria e della specifica distribuzione dei carichi.

Render fotorealistico di una fondazione a plinto isolato in calcestruzzo armato in fase di scavo, con operai e macchinari da cantiere visibili sullo sfondo. Dettaglio sulle armature metalliche esposte. Obiettivo grandangolare 24mm, luce diurna naturale, profondità di campo per mostrare il contesto del cantiere.

E il Calcestruzzo? Quanto ne Serve Davvero?

Qui arriva una delle parti più succose: il consumo di calcestruzzo. Il plinto SB06 è quello che ha beneficiato di più della ridistribuzione, con una riduzione del volume di calcestruzzo di circa il 18%! Al contrario, i plinti SB08 e SB15/16 (quest’ultimo un plinto combinato che assorbe carichi notevoli) hanno richiesto un aumento di calcestruzzo del 9%.

Ma ecco il colpo di scena: analizzando il volume totale di calcestruzzo necessario per tutte le fondazioni, questo è rimasto… identico (122.80 m³)! Com’è possibile? Semplice: l’SSI ridistribuisce i carichi. Quindi, se un plinto necessita di meno calcestruzzo perché è stato alleggerito, un altro ne richiederà di più perché si è fatto carico di una porzione aggiuntiva. C’è una sorta di compensazione. Non si crea né si distrugge carico totale sulla fondazione, si sposta soltanto!

Questo non significa che l’SSI sia inutile per il risparmio. Significa che, in questo specifico caso, il volume totale è rimasto invariato, ma la distribuzione ottimizzata potrebbe portare a vantaggi in termini di sicurezza e prestazioni, o in altri casi potrebbe effettivamente portare a un risparmio se l’approccio rigido avesse portato a un sovradimensionamento generalizzato.

L’Acciaio non Resta a Guardare

E l’acciaio per le armature? Anche qui ci sono state variazioni. Tutti i plinti analizzati hanno mostrato cambiamenti. Il plinto SB01 ha avuto il maggior incremento di acciaio (10.20%), mentre SB17 la maggiore riduzione (-5.50%). Questi plinti erano, rispettivamente, quelli con il maggior aumento e la minor variazione (in realtà un alleggerimento) di carico dopo l’interazione.

Logicamente, dove il carico (e quindi il momento flettente) aumenta, serve più acciaio; dove diminuisce, ne serve meno. Analizzando la quantità totale di acciaio, si è osservata una riduzione minima, dello 0.06%, non abbastanza da impattare significativamente sui costi del progetto in questo caso.

Confrontando i due materiali, il volume di calcestruzzo si è dimostrato più sensibile alla ridistribuzione dei carichi rispetto all’area dell’acciaio, mostrando variazioni percentuali maggiori.

Vista dall'alto di diverse planimetrie di fondazioni a plinto, alcune evidenziate con colori diversi per indicare variazioni dimensionali. Strumenti da disegno tecnico (righe, squadre) sparsi sul tavolo. Obiettivo macro 60mm, alta definizione dei dettagli delle linee e dei numeri.

Tirando le Somme: Perché l’SSI è il Futuro (o almeno, il presente!)

Cosa ci portiamo a casa da questa analisi? Parecchie cose importanti:

  • L’interazione suolo-struttura è reale e ha un impatto tangibile sulla progettazione delle fondazioni, modificando geometrie e consumo di materiali tra i singoli elementi.
  • L’asimmetria dell’edificio e la posizione dei pilastri più o meno caricati giocano un ruolo chiave, a volte smentendo le aspettative convenzionali sul trasferimento dei carichi (tipo il classico centro-bordo).
  • Il volume di calcestruzzo è risultato essere il parametro più sensibile, con differenze che possono arrivare anche al 18% per singolo plinto confrontando l’approccio rigido e quello flessibile.
  • L’altezza dei plinti è la dimensione geometrica meno influenzata.
  • Piccole ridistribuzioni di carico (inferiori all’1% di aumento) potrebbero non essere sufficienti a modificare la geometria del plinto e, di conseguenza, il suo volume di calcestruzzo.
  • Le maggiori variazioni nell’area di base dei plinti non sempre corrispondono alle maggiori ridistribuzioni di carico, a causa dell’influenza degli elementi adiacenti.
  • Nel complesso del progetto, il consumo totale di materiali (in questo caso specifico, il calcestruzzo) può rimanere invariato a causa della compensazione tra elementi alleggeriti ed elementi sovraccaricati.

La morale della favola? Considerare l’interazione suolo-struttura non è un vezzo accademico, ma una necessità per progettare edifici più sicuri, performanti e, in molti casi, anche più economici. Ci permette di capire il comportamento reale della struttura, di evitare sovradimensionamenti inutili o, peggio, sottodimensionamenti pericolosi. Potrebbe persino guidarci verso scelte di soluzioni di fondazione diverse e più adatte, come passare da plinti isolati a fondazioni associate o a platea, quando necessario.

Insomma, far “dialogare” correttamente struttura e terreno è la chiave per costruire meglio. E voi, ne tenete conto nei vostri progetti?

Fonte: Springer

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