Ferroptosi e Apoptosi: Un Ballo Inaspettato tra Vita e Morte Cellulare Modulato dai BH3-Mimetici
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel microscopico mondo delle nostre cellule, esplorando come muoiono. Sembra un argomento un po’ macabro, vero? Eppure, capire i meccanismi di morte cellulare è fondamentale, specialmente nella lotta contro malattie come il cancro. Per molto tempo, abbiamo pensato a due modi principali e distinti con cui una cellula può “decidere” di farla finita: l’apoptosi, una sorta di suicidio programmato e ordinato, e la ferroptosi, una morte più caotica legata all’accumulo di danni da radicali liberi sui lipidi di membrana. Immaginatele come due strade separate che portano allo stesso capolinea. Ma cosa succederebbe se scoprissimo che queste strade, in realtà, si incrociano? E se esistessero dei “vigili” molecolari capaci di deviare il traffico da una via all’altra, o addirittura di bloccarlo? Beh, preparatevi, perché le cose si fanno interessanti!
Due modi di morire: Apoptosi vs Ferroptosi
Prima di addentrarci nel vivo della scoperta, facciamo un rapido ripasso.
- L’apoptosi è la morte cellulare programmata per eccellenza. La cellula si “smonta” in modo ordinato, impacchettando i suoi resti in piccole vescicole (i corpi apoptotici o “blebs”) che vengono poi eliminate senza creare troppa infiammazione. È un processo attivo, controllato da una complessa rete di segnali, in cui i mitocondri e la famiglia di proteine BCL-2 giocano un ruolo da protagonisti. Pensate a BCL-2, MCL-1 e BCL-XL come ai “guardiani” anti-apoptotici, mentre BAX e BAK sono gli “esecutori” che aprono le porte dei mitocondri.
- La ferroptosi, invece, è una forma di morte più “accidentale”, causata da un eccesso di perossidazione lipidica, cioè un danno ossidativo ai grassi che compongono le membrane cellulari. Questo succede quando i sistemi antiossidanti della cellula vanno in tilt. Il principale difensore contro questo tipo di danno è un enzima chiamato GPX4 (Glutatione Perossidasi 4), che neutralizza i lipidi danneggiati usando il glutatione (GSH). Se GPX4 viene inibito o se manca il GSH (ad esempio, bloccando l’importatore di cistina, system xc⁻, con molecole come l’erastin), la perossidazione dilaga, la membrana si rompe e la cellula scoppia, rilasciando il suo contenuto all’esterno (un esito più “litico”).
Per anni, abbiamo considerato questi due processi come mondi separati. Ma i mitocondri, centrali nell’apoptosi, sono anche una fonte primaria di stress ossidativo, che può innescare la ferroptosi. Non vi sembra un indizio interessante?
L’incrocio inaspettato: quando Ferroptosi e Apoptosi si incontrano
Ed ecco la prima sorpresa emersa dai nostri studi. Abbiamo preso delle cellule (in particolare, le cellule HT1080, un modello molto usato per studiare la ferroptosi) e abbiamo bloccato la loro difesa principale contro la ferroptosi, l’enzima GPX4, usando un inibitore specifico chiamato RSL3. Cosa ci aspettavamo? Una morte cellulare tipicamente ferroptotica. E invece? Abbiamo osservato cellule che mostravano chiari segni di entrambi i tipi di morte!
Alcune cellule si gonfiavano e scoppiavano, come previsto nella ferroptosi. Ma altre, sorprendentemente, mostravano caratteristiche tipiche dell’apoptosi: si restringevano, formavano quelle vescicole di membrana (il “blebbing”), e attivavano le caspasi, gli enzimi esecutori dell’apoptosi. Addirittura, abbiamo visto un rilascio (seppur parziale) di citocromo-c dai mitocondri, un evento chiave nell’apoptosi.
La cosa ancora più interessante è che bloccando le caspasi (con inibitori come Q-VD-OPh) o eliminando le proteine BAX e BAK (essenziali per l’apoptosi mitocondriale), riuscivamo a proteggere parzialmente le cellule dalla morte indotta dall’inibizione di GPX4. Questo ci dice chiaramente che, almeno in queste condizioni, lo stress che porta alla ferroptosi può anche attivare la via apoptotica, e che quest’ultima contribuisce attivamente alla morte cellulare complessiva. Sembra quasi che la cellula, sotto attacco ferroptotico, provi anche a “suicidarsi” in modo più ordinato!

Entrano in gioco i BH3-mimetici: amici o nemici?
A questo punto, ci siamo chiesti: se l’apoptosi è coinvolta, possiamo modularla? Qui entrano in scena i BH3-mimetici. Sono farmaci intelligenti progettati per imitare le proteine BH3-only “sensibilizzatrici”, quelle che normalmente neutralizzano i guardiani anti-apoptotici (BCL-2, MCL-1, BCL-XL). In pratica, i BH3-mimetici tolgono i freni all’apoptosi, spingendo la cellula verso la morte programmata. Sono usati in ricerca e alcuni (come il venetoclax, che inibisce BCL-2) sono già farmaci antitumorali approvati.
La nostra ipotesi era: se combiniamo uno stress ferroptotico (inibendo GPX4 con RSL3) con un BH3-mimetico, potremmo potenziare la morte cellulare e magari spostare l’equilibrio decisamente verso l’apoptosi?
Abbiamo provato a combinare RSL3 con diversi BH3-mimetici: ABT-199 (contro BCL-2), S63845 (contro MCL-1) e WEHI-539 (contro BCL-XL). In molti casi, i risultati sono stati spettacolari: la combinazione ha aumentato la morte cellulare in modo sinergico, cioè molto più di quanto ci si aspetterebbe sommando gli effetti dei singoli farmaci. E, come ipotizzato, spesso l’esito si spostava: la morte diventava prevalentemente apoptotica, meno sensibile agli inibitori della ferroptosi (come la ferrostatin-1) ma molto sensibile agli inibitori delle caspasi. Un successo, no? Sembrava la strategia perfetta per eliminare cellule resistenti.
Il colpo di scena: quando i BH3-mimetici diventano protettori!
Ma la biologia ama sorprenderci. Durante questi esperimenti, abbiamo notato qualcosa di strano, soprattutto con WEHI-539 (l’inibitore di BCL-XL). A certe concentrazioni, invece di aumentare la morte indotta da RSL3, sembrava… ridurla?
Abbiamo approfondito, testando WEHI-539 e altri BH3-mimetici (come A-1331852, un altro inibitore di BCL-XL, o S63845 in alcune linee cellulari) in diverse condizioni e tipi di cellule (come le Pfa1 e le U87). Ebbene sì: in molti contesti, questi farmaci, che dovrebbero promuovere la morte, sopprimevano potentemente la ferroptosi indotta dall’inibizione di GPX4! Le cellule, invece di morire, sopravvivevano e addirittura riprendevano a proliferare, anche in presenza continua dell’agente ferroptotico, purché ci fosse anche il BH3-mimetico. Un vero paradosso! Come era possibile?

Svelato l’arcano: il potere antiossidante nascosto
La prima cosa da verificare era se questi BH3-mimetici stessero semplicemente bloccando l’azione di RSL3 su GPX4. La risposta è stata no: GPX4 veniva comunque inibito. Allora, forse l’effetto protettivo dipendeva dal loro bersaglio principale (BCL-XL per WEHI-539, MCL-1 per S63845)? Abbiamo provato a eliminare queste proteine nelle cellule: sorprendentemente, i BH3-mimetici proteggevano lo stesso dalla ferroptosi! Addirittura, WEHI-539 proteggeva cellule HT1080 prive di BAX/BAK, dove non poteva nemmeno indurre apoptosi.
Questo significava una sola cosa: l’effetto protettivo era un’attività “off-target”, indipendente dal loro ruolo canonico nell’apoptosi. Ma quale?
L’indiziato principale divenne un’attività antiossidante. La ferroptosi è causata dalla perossidazione lipidica, un processo radicalico. E se i BH3-mimetici potessero agire come la ferrostatin-1, intrappolando i radicali liberi?
Abbiamo messo alla prova questa idea. Con tecniche elettrochimiche (voltammetria a impulsi differenziali), abbiamo visto che molti BH3-mimetici, specialmente WEHI-539, hanno una spiccata tendenza a donare elettroni, proprio come un antiossidante. Poi, in test in vitro (l’assay FENIX), abbiamo confermato che WEHI-539 e A-1331852 avevano una notevole capacità di bloccare la perossidazione lipidica auto-propagante, quasi al livello della ferrostatin-1. Infine, analizzando direttamente i lipidi nelle cellule trattate (lipidomica), abbiamo visto che la presenza di WEHI-539 riduceva drasticamente l’accumulo di lipidi ossidati indotto da RSL3.
Ecco svelato il mistero: molti BH3-mimetici possiedono un’intrinseca attività antiossidante che, a concentrazioni comunemente usate negli esperimenti (e potenzialmente raggiungibili in terapia), può contrastare efficacemente la ferroptosi, indipendentemente dal loro effetto sull’apoptosi.

Cosa ci insegna tutto questo?
Questa storia ci mostra quanto siano intricati e interconnessi i percorsi di morte cellulare. Ferroptosi e apoptosi non sono strade separate, ma possono incrociarsi e influenzarsi a vicenda. Lo stress ferroptotico può “sensibilizzare” la cellula all’apoptosi.
Inoltre, abbiamo scoperto un doppio volto inaspettato dei BH3-mimetici:
- Possono potenziare la morte cellulare indotta da stress ferroptotico, spostando l’esito verso l’apoptosi (effetto sinergico, potenzialmente utile in terapia).
- Possono, in altri contesti, proteggere dalla ferroptosi grazie a un’attività antiossidante intrinseca e off-target (effetto antagonista, potenzialmente indesiderato).
Quale dei due effetti prevalga dipende probabilmente dal contesto specifico: dal tipo di cellula, dal suo “stato di preparazione” all’apoptosi (il cosiddetto “priming apoptotico”), e dal particolare BH3-mimetico usato (alcuni, come ABT-199/venetoclax, sembrano avere meno attività antiossidante di altri come WEHI-539).
Questo ha implicazioni importanti, soprattutto per la ricerca sul cancro. Combinare induttori di ferroptosi e BH3-mimetici potrebbe essere una strategia potente, ma bisogna valutare attentamente caso per caso. Non possiamo dare per scontato che la combinazione sia sempre letale; in alcuni casi, potremmo inaspettatamente favorire la sopravvivenza delle cellule tumorali. La biologia cellulare continua a riservarci sorprese e ci ricorda che, anche nel processo della morte, c’è una complessità straordinaria tutta da esplorare!
Fonte: Springer
