Immagine concettuale di un cervello umano stilizzato, metà organico e metà composto da circuiti digitali luminosi, simboleggiando l'intersezione tra neuroscienze, salute mentale e intelligenza artificiale, high detail, controlled lighting, macro lens 85mm.

Intelligenza Artificiale: Possiamo Prevedere l’Ideazione Suicidaria Senza Chiederlo Direttamente?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento delicato ma fondamentale: la salute mentale, in particolare la prevenzione del suicidio, e di come l’intelligenza artificiale (IA) ci sta aprendo porte impensabili fino a poco tempo fa. Sapete, il suicidio è una realtà tragica che porta via oltre 700.000 vite ogni anno nel mondo. È un fenomeno complesso, legato a doppio filo con i disturbi mentali, ma prevederlo è tutt’altro che semplice.

La Sfida della Prevenzione: Perché è Così Difficile?

I metodi tradizionali per valutare il rischio suicidario spesso si basano su domande dirette: “Hai pensato di farti del male?”, “Hai mai tentato il suicidio?”. Strumenti come l’ASQ o il C-SSRS sono utili, certo, ma hanno dei limiti. Innanzitutto, ci danno solo una fotografia del momento, senza scavare nelle cause profonde. E poi, diciamocelo, non tutti si sentono a proprio agio a parlare apertamente di questi pensieri. La paura dello stigma, della vergogna, o delle conseguenze può portare le persone a nascondere la propria sofferenza, rendendo difficile un intervento tempestivo. Questo è particolarmente vero in ambienti come le università, dove la pressione accademica e sociale può essere altissima. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dice che, sebbene il suicidio sia sceso dal secondo al quarto posto come causa di morte tra i 15-29enni, rimane una sfida enorme, specialmente in questa fascia d’età. In Turchia, ad esempio, nel 2023 il maggior numero di suicidi si è verificato proprio tra i 20 e i 29 anni. Questo ci urla che dobbiamo fare di più, dobbiamo trovare modi migliori per capire e intervenire.

Entra in Scena l’Intelligenza Artificiale: Un Nuovo Approccio

Ed è qui che entra in gioco la nostra ricerca, un tentativo di usare l’intelligenza artificiale in modo un po’ diverso. Ci siamo chiesti: è possibile identificare chi è a rischio di ideazione suicidaria o di autolesionismo senza basarci su domande dirette sul suicidio passato o presente? L’idea era di usare algoritmi di machine learning (ML) per analizzare dati che già raccogliamo routinariamente nelle cliniche di salute mentale universitarie – risposte a questionari su vari sintomi psichiatrici – e vedere se potevano “imparare” a riconoscere i pattern associati all’ideazione suicidaria, concentrandosi su predittori “non suicidari”. L’obiettivo? Scovare fattori di rischio meno ovvi e capire meglio le complesse relazioni tra diversi sintomi psichiatrici e il pensiero suicidario. Abbiamo lavorato con i dati anonimizzati di 924 studenti che si sono rivolti al centro di consulenza psicologica e terapia della Koç University (KUPTEM) tra il 2019 e il 2022. L’ideazione suicidaria/autolesionistica l’abbiamo misurata usando la nona domanda del questionario PHQ-9 (“Pensieri di essere meglio morto/a, o di farsi del male in qualche modo?”), considerando come “positiva” qualsiasi risposta diversa da zero.

Primo piano ritratto di uno studente universitario dall'aspetto preoccupato, seduto da solo in un angolo tranquillo del campus, luce naturale soffusa, 35mm prime lens, depth of field, toni duotone seppia e blu.

Come Abbiamo Fatto? Il Metodo in Pillole

Abbiamo messo all’opera sette diversi algoritmi di machine learning, da quelli più “classici” come la Regressione Logistica e gli Alberi Decisionali, a quelli più complessi come le Reti Neurali Artificiali e le Support Vector Machines (SVM). Abbiamo creato tre modelli predittivi:

  1. Il primo usava un set ampio di 32 predittori (dati demografici, punteggi di varie scale psicometriche).
  2. Il secondo mirava a semplificare, riducendo i predittori a 11, usando il punteggio totale di una scala specifica (DSM-5 SRL1) invece dei singoli item.
  3. Il terzo, quello su cui ci siamo concentrati di più, utilizzava solo 13 sottodomini derivati dalla scala DSM-5 Level 1 Self Rated Cross-Cutting Symptom Measure. Questi sottodomini coprono aree come umore depresso, ansia, funzionamento della personalità, pensieri ripetitivi, ecc., ma abbiamo volutamente escluso il sottodominio relativo all’autolesionismo.

Per ogni modello, abbiamo “addestrato” gli algoritmi sui dati dei primi 924 studenti. Poi, per assicurarci che i modelli non funzionassero bene solo su quei dati specifici (un problema noto come overfitting), li abbiamo testati su un gruppo completamente nuovo di 361 studenti che si sono rivolti alla clinica tra il 2023 e il 2024 (validazione esterna). Questo passaggio è cruciale per garantire che il modello sia affidabile e generalizzabile. Infine, per capire quali fossero i fattori più importanti nelle previsioni del modello migliore (la rete neurale), abbiamo usato tecniche chiamate SHAP e Integrated Gradients, che ci aiutano a “spiegare” le decisioni dell’IA.

I Risultati: Cosa Abbiamo Scoperto?

E qui viene il bello! I nostri modelli di machine learning hanno raggiunto un’accuratezza predittiva decisamente buona. In particolare, la Regressione Logistica e le Reti Neurali hanno ottenuto valori di AUC (Area Under the Curve, una misura di quanto bene il modello distingue tra chi ha e chi non ha ideazione suicidaria) intorno a 0.80. Un valore di AUC tra 0.80 e 0.89 è considerato “buono”. Il nostro modello finale, quello basato sui 13 sottodomini del DSM-5 SRL1 e implementato con una rete neurale ottimizzata (chiamata MLP), ha raggiunto un AUC di 0.80 sui dati di addestramento e, cosa importantissima, un AUC di 0.79 sui dati di validazione esterna! Questo ci dice che il modello è robusto e funziona bene anche su persone “mai viste prima”. Ma la cosa forse più affascinante è stata scoprire quali fattori erano più predittivi, secondo l’analisi SHAP e Integrated Gradients:

  • Funzionamento della Personalità: Problemi nel sapere chi si è, cosa si vuole dalla vita, e difficoltà a formare relazioni strette e piacevoli sono risultati fortemente associati a una maggiore probabilità di ideazione suicidaria.
  • Umore Depresso: Come ci si poteva aspettare, un umore più depresso aumentava la probabilità di ideazione.
  • Ansia: Qui la sorpresa! Livelli più alti di ansia sono risultati associati a una minore probabilità di ideazione suicidaria nel nostro modello. Controintuitivo, vero?
  • Pensieri Ripetitivi: Simile all’ansia, anche un aumento dei pensieri ripetitivi (sintomi ossessivo-compulsivi) era legato a una minore probabilità di ideazione.
  • Anedonia: La perdita di piacere o interesse nelle attività è risultata associata a una maggiore probabilità.

Questi risultati sono stati consistenti sia nel set di dati di addestramento che in quello di validazione esterna, anche se con qualche piccola variazione nell’ordine di importanza.

Visualizzazione astratta di dati e connessioni neurali luminose su sfondo scuro, rappresentante l'analisi complessa effettuata dal machine learning, high detail, controlled lighting, macro lens 100mm.

Interpretare i Segnali: Oltre i Numeri

Cosa significa tutto questo? Innanzitutto, conferma che l’IA può essere uno strumento potente per identificare il rischio suicidario in modo discreto, analizzando sintomi psichiatrici generali. Il ruolo centrale del funzionamento della personalità è molto interessante. Difficoltà con l’identità, lo scopo nella vita e le relazioni sono aspetti cruciali, spesso legati anche a bassa autostima e a disturbi come il borderline, noti per l’alto rischio suicidario. Ma veniamo ai risultati “strani”. Perché ansia e pensieri ripetitivi sembrano “protettivi” nel nostro modello? Non abbiamo una risposta definitiva, ma ci sono alcune ipotesi. Alcune ricerche suggeriscono che certi tipi di ansia (ad esempio, quella somatica o la paura per le conseguenze fisiche) potrebbero, in determinate circostanze e controllando per altri fattori, avere un effetto inaspettato. Allo stesso modo, studi su persone con disturbo ossessivo-compulsivo (dove i pensieri ripetitivi sono centrali) hanno a volte trovato che la presenza concomitante di disturbi d’ansia agiva come fattore protettivo contro il suicidio. È possibile che i nostri modelli di IA stiano catturando interazioni molto complesse tra questi sintomi, che vanno oltre le semplici correlazioni lineari a cui siamo abituati. Non è che l’ansia di per sé sia buona, ma forse, nel complesso quadro sintomatologico di alcuni individui, la sua presenza si associa a una minore ideazione rilevata dal modello. È un’area che merita sicuramente ulteriori indagini!

Implicazioni Cliniche e Limiti: Cosa Possiamo Farci?

Questi risultati aprono scenari promettenti. Immaginate clinici che utilizzano strumenti basati su questi modelli durante le valutazioni di routine. Potrebbero identificare studenti a rischio più precocemente, anche quelli che esitano a parlare apertamente dei loro pensieri suicidari. Questo permetterebbe interventi più mirati e personalizzati, focalizzati sui domini psichiatrici che emergono come più critici per quel singolo individuo (es. lavorare sul funzionamento della personalità, sull’umore depresso). È importante sottolineare che questi strumenti non sostituiranno mai il giudizio clinico, ma possono essere un valido aiuto per prioritizzare i casi e guidare il trattamento. Certo, ci sono dei limiti. I nostri dati sono trasversali, cioè scattano una foto in un momento preciso; non possiamo prevedere il comportamento suicidario futuro. Parliamo di “predizione” nel senso tecnico del machine learning (classificare casi), non nel senso temporale. Inoltre, ci basiamo sull’autovalutazione dell’ideazione, che non sempre si traduce in tentativi. E, non da ultimo, lo studio è stato condotto su studenti universitari, quindi i risultati potrebbero non essere direttamente applicabili alla popolazione generale.

Immagine simbolica di un bivio o un labirinto complesso illuminato da diverse fonti di luce, rappresentante le complesse interazioni tra sintomi psichiatrici e le decisioni del modello AI, wide-angle lens 20mm, sharp focus.

Conclusione: Uno Sguardo al Futuro

Nonostante i limiti, credo che questo studio dimostri qualcosa di importante: l’intelligenza artificiale, usata con criterio e interpretata con attenzione, può aiutarci a comprendere meglio la complessità dell’ideazione suicidaria, anche andando a pescare segnali inaspettati tra sintomi psichiatrici apparentemente non correlati direttamente al suicidio. Abbiamo visto come fattori come il funzionamento della personalità, l’umore, l’ansia e i pensieri ripetitivi giochino ruoli sfumati e talvolta sorprendenti. La strada è ancora lunga. Future ricerche potrebbero integrare dati biologici (neuroimaging, marcatori infiammatori) o analizzare fattori sociali e stress ambientali per migliorare ulteriormente l’accuratezza. Ma abbiamo fatto un passo avanti nella direzione giusta: usare la tecnologia non per sostituire l’uomo, ma per potenziare la nostra capacità di ascoltare, capire e intervenire precocemente, offrendo un aiuto più mirato a chi sta soffrendo in silenzio.

Fonte: Springer

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