Fotografia grandangolare (wide-angle 24mm) di una clinica sanitaria mobile in una zona rurale dello Stato del Niger, Nigeria. Persone in fila ordinata per la vaccinazione (COVID-19 e routine), operatori sanitari al lavoro. Luce del tardo pomeriggio, colori vividi ma realistici, focus nitido sulla scena, senso di comunità e speranza.

Vaccini COVID e di Routine Insieme: Più Copertura in Nigeria, Ma Occhio all’Equità!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento super interessante che arriva dalla Nigeria, precisamente dallo Stato del Niger. Si tratta di un esperimento, se vogliamo chiamarlo così, che ha cercato di dare una spinta alle vaccinazioni combinando quelle per il COVID-19 con quelle di routine, come quelle per il morbillo o la polio. L’idea di base? Sfruttare l’occasione della campagna anti-COVID per recuperare anche le vaccinazioni standard, magari raggiungendo persone che altrimenti sarebbero rimaste indietro. Sembra geniale, no? Ma come spesso accade, le cose non sono mai semplici come sembrano.

Un’idea brillante: unire le forze vaccinali

Partiamo dal presupposto: vaccinare più gente possibile contro il COVID-19 è stata, e per certi versi è ancora, una priorità globale. In Nigeria, come in molti altri posti, raggiungere gli obiettivi di copertura non è stato facile. Pensate che puntavano al 40% della popolazione entro fine 2021 e al 70% entro fine 2022, ma vari ostacoli – dalla gestione della catena del freddo alla diffidenza verso le istituzioni, passando per influenze culturali e religiose – hanno rallentato la corsa.

Allora, qualcuno ha pensato: “E se, mentre offriamo il vaccino COVID, proponessimo anche le vaccinazioni di routine (RI – Routine Immunization)?” In pratica, l’operatore sanitario, durante la campagna COVID, poteva somministrare anche vaccini come l’antipolio (orale e inattivato, OPV e IPV), il pentavalente (PENTA), o altri vaccini necessari, specialmente ai bambini che non avevano ricevuto alcuna dose precedente (i cosiddetti “zero-dose”).

Questa strategia, chiamata integrazione, non è un’idea campata in aria. Diversi studi in Africa e altrove hanno mostrato che può funzionare: aumenta la copertura per entrambi i tipi di vaccino, ottimizza le risorse e permette di raggiungere fasce di popolazione altrimenti difficili da intercettare. In Nigeria, però, c’erano pochi dati concreti sull’efficacia di questo approccio specifico, specialmente su come potesse influenzare l’equità di accesso tra uomini e donne. Ed è qui che entra in gioco lo studio nello Stato del Niger.

Il contesto nigeriano e il progetto nello Stato del Niger

La Nigeria ha iniziato la sua campagna vaccinale COVID nel marzo 2021, un’impresa enorme. Nonostante gli sforzi e la collaborazione con agenzie internazionali e ONG, gli obiettivi, come dicevo, sono stati mancati. Questo studio si concentra su un progetto specifico finanziato dai CDC americani e implementato da un’organizzazione locale (SIID) tra aprile e luglio 2023 in 23 Aree di Governo Locale (LGA) dello Stato del Niger (due LGA sono state escluse per motivi di sicurezza). L’obiettivo era vaccinare quel 30% di popolazione che ancora mancava all’appello per il COVID-19, puntando a coprire il 20% degli idonei e, contemporaneamente, somministrare le vaccinazioni di routine.

Per farlo, hanno messo in campo 80 team, formati e dotati di strumenti per la raccolta dati in tempo reale (come Kobo-collect), usando diverse strategie: vaccinazioni di massa, team mobili e postazioni fisse, il tutto supportato da campagne di sensibilizzazione per contrastare la disinformazione. Una parte fondamentale del progetto era proprio l’integrazione delle vaccinazioni di routine, mirando in particolare ai bambini “zero-dose” e alle donne che frequentavano i centri sanitari primari (PHC) per visite prenatali e postnatali.

Fotografia di un operatore sanitario nigeriano in una clinica rurale mentre prepara una siringa per la vaccinazione. Obiettivo prime 35mm, luce naturale filtrata da una finestra, profondità di campo che isola l'operatore dallo sfondo sfocato della clinica, colori caldi e tenui.

I numeri parlano chiaro: la copertura decolla

E i risultati? Beh, sono stati notevoli! In totale, sono state vaccinate 436.598 persone contro il COVID-19, con una media giornaliera di quasi 3.900. Questo ha significato raggiungere e superare l’obiettivo prefissato, arrivando a una copertura del 101%! Certo, con delle variazioni tra le diverse LGA: 10 hanno superato il target, 13 no, ma nel complesso il risultato è stato centrato.

La maggior parte delle persone (76%) ha ricevuto la prima dose, mentre solo il 5,1% la seconda e il 18,3% il booster. Questo dato sulla bassa adesione ai richiami è un campanello d’allarme su cui torneremo.

Ma la vera chicca è l’impatto dell’integrazione:

  • Sono state somministrate ben 60.373 dosi di vaccini di routine insieme a quelli per il COVID-19.
  • Questi vaccini hanno incluso PENTA (17,6%), OPV (18,3%), IPV (17,6%) e altri (46,5%), raggiungendo molti bambini che avevano perso le vaccinazioni a causa della pandemia.
  • I team che hanno adottato la strategia integrata (circa il 39% dei report) hanno registrato una media giornaliera di vaccinazioni più alta (104 contro 94) rispetto ai team che non l’hanno fatto.

Quindi, sì, integrare le vaccinazioni sembra funzionare alla grande per aumentare i numeri complessivi e recuperare le vaccinazioni di routine perse. Un successo, no? Aspettate un attimo…

Il rovescio della medaglia: l’ombra dell’iniquità

Qui le cose si fanno più sfumate. Analizzando i dati per genere, emerge un quadro interessante. Se guardiamo alla vaccinazione COVID-19 nel suo complesso (tutte le dosi, integrate e non), non ci sono state differenze significative tra uomini (49,78%) e donne (50,22%). Sembrerebbe esserci una buona equità di genere nell’accesso generale.

Tuttavia, quando si va a vedere specificamente cosa è successo dove è stata applicata l’integrazione con le vaccinazioni di routine, la musica cambia. In questi casi:

  • Il 51,1% delle persone vaccinate contro il COVID erano donne, contro il 48,9% di uomini.
  • Al contrario, dove non c’era integrazione, erano leggermente di più gli uomini (50,4%) rispetto alle donne (49,6%).

La differenza, statisticamente significativa, suggerisce che l’integrazione, pur aumentando la copertura, ha introdotto una disparità di genere. Perché? La spiegazione più probabile è che la strategia si è concentrata molto sui centri sanitari primari, mirando alle donne in gravidanza o che avevano appena partorito (visite prenatali e postnatali) e ai loro bambini per le vaccinazioni di routine. Questo ha fatto sì che più donne, trovandosi già lì per altri servizi essenziali, ricevessero anche il vaccino COVID.

Questo non significa che l’integrazione sia sbagliata, anzi! Ha permesso di raggiungere donne e bambini vulnerabili. Però, ci dice che bisogna stare attenti: una strategia pensata per aumentare la copertura può, involontariamente, creare squilibri se non si considerano attentamente tutti i fattori e non si mettono in campo azioni correttive per raggiungere anche gli altri gruppi (in questo caso, gli uomini, che forse frequentano meno quei specifici servizi). È un po’ come una coperta: tiri da una parte per coprire meglio, ma rischi di scoprire l’altra.

Ritratto di una madre nigeriana sorridente che tiene in braccio il suo bambino dopo aver ricevuto una vaccinazione in un centro sanitario. Obiettivo 50mm, stile documentaristico, bianco e nero duotone (seppia e grigio), profondità di campo ridotta per focalizzare l'attenzione sulla madre e il bambino.

Un altro aspetto di equità analizzato è stato quello geografico. Non sono emerse differenze significative tra le 23 LGA in termini di raggiungimento degli obiettivi rispetto ai target. Questo suggerisce una certa equità nella distribuzione geografica dello sforzo vaccinale all’interno dello Stato del Niger, almeno per quanto riguarda questo studio.

Il problema dei richiami e le sfide future

Un punto dolente emerso chiaramente è la bassa adesione alle seconde dosi e ai booster. L’integrazione ha funzionato bene per la prima dose, ma molto meno per completare il ciclo vaccinale. Questo è preoccupante, vista l’emergere di nuove varianti e il calo dell’immunità nel tempo. Servono strategie specifiche per convincere le persone a fare i richiami, combattendo l’esitazione vaccinale che, come sappiamo, è alimentata da disinformazione, sfiducia e fattori culturali o religiosi.

Lo studio suggerisce che, visto il successo nell’aumentare la copertura, l’integrazione dovrebbe diventare una strategia standard, magari inserita nei piani di risposta a future pandemie. Ma deve essere fatto con un occhio di riguardo all’equità:

  • Sviluppare strategie specifiche per genere per assicurare che tutti abbiano accesso.
  • Non limitarsi all’equità geografica tra LGA, ma considerare anche le differenze tra aree urbane e rurali, lo status socioeconomico, l’etnia, ecc. (fattori non analizzati in dettaglio qui).
  • Usare team mobili e sensibilizzazione comunitaria per raggiungere le popolazioni più difficili.
  • Potrebbero servire incentivi (come piccoli contributi economici o premi comunitari) per spingere l’adesione ai booster.
  • Continuare a monitorare i dati, migliorare la raccolta e investire in campagne informative chiare e trasparenti.

In conclusione: una strategia potente, ma da maneggiare con cura

Cosa mi porto a casa da questa ricerca? Che l’idea di unire le vaccinazioni COVID-19 e quelle di routine è davvero potente. Nello Stato del Niger ha dimostrato di poter aumentare significativamente la copertura, specialmente per la prima dose, e di aiutare a recuperare le vaccinazioni infantili perse durante la pandemia, raggiungendo bambini “zero-dose” e donne vulnerabili.

Tuttavia, ha anche messo in luce come una strategia efficace possa creare potenziali squilibri, in questo caso a livello di genere, se non attentamente bilanciata. Non è un motivo per scartarla, ma per affinarla. Bisogna pensare a come raggiungere tutti, uomini e donne, in città e in campagna, ricchi e poveri.

L’integrazione può essere una chiave per sistemi sanitari più resilienti e pronti ad affrontare future emergenze, ma solo se l’equità resta al centro della progettazione e dell’implementazione. È una lezione importante, non solo per la Nigeria, ma per chiunque lavori nella salute pubblica globale.

Fonte: Springer

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