Prevenzione in Prima Linea: Mission Impossible o Realtà Possibile? Vi Porto nel Cuore del Modello Francese (CPTS)!
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un tema che mi sta particolarmente a cuore e che, ne sono convinto, è cruciale per il futuro della nostra salute: la prevenzione. Sappiamo tutti quanto sia meglio prevenire che curare, giusto? Ma come si fa a integrare davvero la prevenzione nella routine quotidiana dei medici di base e degli altri professionisti sanitari, quelli che io chiamo “la prima linea”? Beh, ho scovato uno studio francese davvero illuminante che ci offre spunti interessanti, e non vedo l’ora di condividerli con voi.
Lo studio si intitola “Integrating prevention into primary care organizations: a case study in France” e, come avrete intuito, si concentra su come la Francia stia cercando di fare proprio questo, attraverso delle nuove organizzazioni chiamate Communautés Professionnelles Territoriales de Santé (CPTS). Immaginatele come delle “comunità professionali territoriali di salute”, un modo per far lavorare insieme i professionisti sanitari di una stessa area geografica. L’obiettivo? Migliorare la cura del paziente e, udite udite, sviluppare la prevenzione. Sembra fantastico, no? Ma come sempre, tra il dire e il fare…
Ma cosa sono esattamente queste CPTS?
In Francia, come in molti altri paesi, le cure primarie sono il primo contatto che abbiamo con il sistema sanitario. Parliamo di medici di medicina generale, dentisti, ostetriche, farmacisti, infermieri, fisioterapisti… un vero esercito al servizio della nostra salute. Storicamente, molti di questi professionisti lavoravano in modo piuttosto individuale. Le CPTS, introdotte nel 2016, nascono proprio per superare questo isolamento e promuovere una pratica coordinata. L’idea è che, unendo le forze, si possano affrontare meglio le sfide sanitarie di un territorio, come la carenza di medici in alcune aree, l’organizzazione delle cure non programmate e, appunto, il potenziamento delle iniziative di prevenzione.
Una CPTS, per essere operativa, deve avere un progetto di salute condiviso, validato dall’Agenzia Regionale della Sanità e dall’Assicurazione Sanitaria Nazionale. Questo progetto include missioni obbligatorie, tra cui:
- Migliorare l’accesso alle cure.
- Organizzare percorsi di cura multidisciplinari.
- Sviluppare iniziative di prevenzione territoriale.
- Partecipare alla risposta alle crisi sanitarie pubbliche.
E per fare tutto questo, ricevono dei finanziamenti specifici. Interessante, vero? Nasce anche una nuova figura, il coordinatore della CPTS, che ha il compito di far funzionare la baracca.
Visioni a Confronto: Professionisti Sanitari vs. Autorità
Ed eccoci al nocciolo della questione, quello che lo studio ha messo in luce attraverso interviste, osservazioni e analisi di documenti in due regioni francesi. È emerso un quadro piuttosto variegato, a tratti sorprendente. Da un lato abbiamo i professionisti sanitari. Per loro, la prevenzione è pane quotidiano: vaccinazioni, consigli su stili di vita sani, smettere di fumare, gestione corretta delle terapie… Insomma, la considerano parte integrante del loro lavoro e una fonte di motivazione, spinti dal desiderio di rispondere ai bisogni dei pazienti. Uno di loro, un’ostetrica, ha detto: “La prevenzione è praticamente il lavoro quotidiano di un’ostetrica […] ne facciamo molta […] è davvero il cuore della nostra pratica”. Bello, no?
Dall’altro lato, però, ci sono le autorità sanitarie. E qui la musica cambia un po’. Loro tendono a vedere la prevenzione più in termini di programmi nazionali, spesso con un occhio di riguardo all’accesso alle cure, considerato prioritario. Anzi, hanno la sensazione che i professionisti sanitari non si impegnino spontaneamente nella prevenzione e che siano loro, le autorità, a dover “stimolare” la discussione. Addirittura, valutano l’interesse per i programmi di prevenzione soprattutto in base al coinvolgimento dei medici di medicina generale. Uno dei rappresentanti delle autorità ha ammesso: “Francamente, dobbiamo coinvolgerli nelle iniziative di prevenzione della sanità pubblica […] Ma non credo che si vedano molto coinvolti nella […] prevenzione”. Un bel divario di percezioni, non trovate?
In mezzo, i coordinatori delle CPTS e i responsabili dello sviluppo territoriale vedono la prevenzione come un tema capace di unire i professionisti, un’opportunità per farli lavorare in squadra. Uno di loro ha detto: “È davvero una risorsa, e penso che la prevenzione sia un modo attraente per condurre un lavoro di squadra multidisciplinare”.

Ostacoli e Leve: Cosa Funziona e Cosa No?
Lo studio ha identificato chiaramente cosa frena e cosa invece può dare una spinta all’integrazione della prevenzione. Il principale ostacolo, manco a dirlo, è la mancanza di tempo. I professionisti sono sommersi dalle richieste dei pazienti, soprattutto in contesti di carenza di personale. Questo li costringe ad aumentare il numero di visite, lasciando poco spazio per la prevenzione organizzata. “La prevenzione richiede tempo, molto tempo, che oggettivamente non abbiamo”, ha confessato un medico. E poi c’è la burocrazia: la gestione dei progetti, le richieste di finanziamento, la stesura di protocolli… attività percepite come una perdita di tempo prezioso che potrebbe essere dedicato ai pazienti.
Cosa funziona, allora? I professionisti sono disposti a partecipare a progetti e programmi di prevenzione, ma a certe condizioni. Vogliono missioni cliniche integrate nella loro pratica, facili da implementare, senza doversi impelagare negli aspetti amministrativi. Qui entrano in gioco le CPTS: grazie ai finanziamenti dedicati, possono assumere coordinatori che si occupano della gestione amministrativa, permettendo ai sanitari di concentrarsi sul loro lavoro clinico. Un grande aiuto!
Inoltre, i progetti di prevenzione costruiti localmente, basati su una diagnosi territoriale (ad esempio, un’azione per identificare pazienti diabetici non trattati), sono visti molto più di buon occhio rispetto ai programmi nazionali calati dall’alto, che a volte sono percepiti come inadatti al contesto locale o alle pratiche individuali. Un professionista ha criticato un programma nazionale contro l’obesità infantile dicendo: “Non si può trattare un bambino con una sola consulenza psicologica, o una sola consulenza dietetica. Per ottenere una vera assistenza preventiva, servono diverse consulenze […] Le cose proposte […] Non sono adatte ai bisogni dei territori”.
Le CPTS: Un’Opportunità con Qualche “Ma”
Le CPTS, quindi, sembrano avere le carte in regola per fare la differenza. Possono aiutare a superare alcuni ostacoli storici, come la mancanza di fondi dedicati o la difficoltà a sviluppare collaborazioni multidisciplinari. Lo studio cita l’esempio della crisi sanitaria SARS-COV-2, durante la quale le CPTS hanno dimostrato di saper coordinare efficacemente gli sforzi per rispondere ai bisogni della popolazione. “Solo le CPTS possono farlo […] Un medico di base da solo non può farlo”, ha affermato un intervistato.
Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica. C’è il rischio che le CPTS diventino solo un altro strato amministrativo, senza un reale beneficio clinico o di sanità pubblica. Alcuni professionisti hanno ammesso di essersi uniti più per “simpatia di rete” verso i colleghi che per reale convinzione, o senza capire bene obiettivi e funzionamento. Questo evidenzia una sfida importante: passare da una pratica individuale a una realmente collaborativa non è automatico. Serve guidare i professionisti in questa transizione.
Un altro punto critico è la visione stessa della prevenzione. Sembra che ci siano due mondi paralleli:
- La visione dei professionisti sanitari: prevenzione integrata nelle cure primarie, pratiche cliniche preventive quotidiane. Questa visione, però, non sempre è riconosciuta formalmente dalle autorità in Francia, a differenza di altri paesi come gli USA, dove ci sono linee guida specifiche.
- La visione delle autorità sanitarie: prevenzione attuata attraverso programmi nazionali, dove i professionisti sono visti più come “esecutori”.
Questa discrepanza, figlia di una storica separazione di ruoli (cura ai professionisti, prevenzione delle epidemie allo Stato), può ostacolare una vera integrazione.

Allora, Cosa Ci Portiamo a Casa?
Beh, questo studio francese ci dice che le CPTS potrebbero essere un veicolo importante per integrare la prevenzione nelle cure primarie. La prevenzione stessa può diventare una leva per la collaborazione interprofessionale – pensate a quanti specialisti diversi possono essere coinvolti, ad esempio, nell’aiutare un paziente a smettere di fumare!
Ma perché funzioni davvero, servono alcuni ingredienti fondamentali:
- Allineamento concettuale e operativo: professionisti e autorità devono trovare un terreno comune sulla prevenzione. Un riconoscimento ufficiale delle pratiche cliniche preventive potrebbe essere un passo avanti.
- Risorse umane dedicate: i coordinatori di progetto sono cruciali per alleggerire i sanitari dagli oneri amministrativi.
- Adattamento locale: i programmi di prevenzione devono essere flessibili e adattabili alle risorse e ai bisogni specifici del territorio per ottenere l’adesione dei professionisti.
- Strumenti efficaci: servono sistemi informativi comuni e strutture adeguate per facilitare la comunicazione e la coordinazione.
- Vera collaborazione: le CPTS non devono essere solo “unità geografiche”, ma veri e propri motori di pratica coordinata.
Insomma, la strada per una prevenzione realmente integrata è ancora in salita, ma studi come questo ci mostrano che, con le giuste strategie e un impegno condiviso, si possono fare grandi passi avanti. E voi, cosa ne pensate? Avete esperienze simili da raccontare nel vostro contesto?
Fonte: Springer
