Enset, Donne e Fame: Viaggio nell’Insicurezza Alimentare di Genere in Etiopia
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, anche se a tratti difficile, nel cuore dell’Etiopia meridionale, per parlare di qualcosa che tocca la vita di milioni di persone: l’insicurezza alimentare. Ma non lo faremo in modo generico. Ci concentreremo su una prospettiva specifica, spesso trascurata: quella di genere. Mi sono imbattuto in uno studio recente che esplora proprio questo, tra i coltivatori di Enset nella zona di Gurage, e le scoperte sono davvero illuminanti.
Sapete, quando pensiamo alla fame nel mondo, spesso immaginiamo un problema monolitico. Ma la realtà è molto più sfumata. Lo studio da cui prendiamo spunto (“The dynamics of household food insecurity and their gendered outcomes amongst Enset growers in Southern Ethiopia”) ci mostra chiaramente come l’insicurezza alimentare non colpisca tutti allo stesso modo. In particolare, esamina le differenze tra le famiglie guidate da uomini (che chiameremo MHH, Male-Headed Households) e quelle guidate da donne (FHH, Female-Headed Households).
L’Enset: Più di una Semplice Pianta
Prima di addentrarci nei numeri, parliamo un attimo dell’Enset (Ensete ventricosum). Non è una pianta qualunque per oltre 20 milioni di etiopi. È un pilastro alimentare, specialmente nel sud e sud-ovest del paese. Pensate che è resistente alla siccità, si conserva a lungo e ha rese elevate. Per questo è vitale per la sicurezza alimentare delle famiglie. Ma c’è di più: l’Enset ha profonde implicazioni di genere. La sua lavorazione e utilizzo sono prevalentemente compito delle donne, tanto da meritarsi il soprannome di “Coltura delle Donne”. Il popolo Gurage, protagonista dello studio, si identifica addirittura come “il popolo dell’Enset”. Eppure, nonostante questa centralità, si sa ancora poco su come il genere influenzi la sicurezza alimentare proprio in queste comunità che dipendono dall’Enset. È un vuoto che questa ricerca cerca di colmare.
L’Approccio: Ascoltare Voci Diverse
Per capire a fondo la situazione, i ricercatori hanno usato un approccio misto: non solo numeri e statistiche da questionari strutturati, ma anche interviste approfondite e discussioni di gruppo (Focus Group Discussions, FGD). Questo ha permesso di raccogliere dati quantitativi sulla diffusione del problema e sui fattori determinanti, ma anche di ascoltare le esperienze vissute direttamente dalle persone, uomini e donne, cogliendo sfumature che i soli numeri non potrebbero rivelare. Hanno adottato anche lenti teoriche specifiche, come la sovranità alimentare femminista (che lega fame e malnutrizione all’accesso ineguale alle risorse come terra, lavoro, istruzione) e la femminilizzazione della povertà (che evidenzia come la povertà colpisca sproporzionatamente le donne, specialmente quelle a capo di una famiglia).

Cosa Dicono i Numeri? Una Differenza Marcata
E veniamo ai risultati. Preparatevi, perché i dati sono piuttosto forti. Nell’area studiata (Cheha Woreda), l’insicurezza alimentare è un problema enorme: riguarda il 75,1% delle famiglie guidate da uomini (MHH) e ben l’83,3% di quelle guidate da donne (FHH). Non solo la prevalenza è alta per entrambi, ma c’è una differenza statisticamente significativa: le famiglie FHH sono decisamente più colpite.
Anche l’intensità del problema varia. Usando una scala chiamata HFIAS (Household Food Insecurity Access Scale), che misura l’accesso al cibo e le preoccupazioni correlate negli ultimi 30 giorni (con un punteggio da 0 a 27, dove più alto è peggio), è emerso che il punteggio medio per le MHH è 9.9, mentre per le FHH è 11.7. Questo suggerisce che le donne capo famiglia vivono con maggiore ansia e incertezza l’accesso al cibo quotidiano. Un esperto locale intervistato ha spiegato che spesso le FHH hanno carenza di manodopera per coltivare la terra. Finiscono per doverla “condividere” con altri, ricevendo solo metà del raccolto. Immaginate: già parti con meno risorse, e quelle che hai devi dividerle ulteriormente. Un circolo vizioso che rende difficile garantirsi il cibo.
Fattori Chiave: Uomini al Comando (MHH)
Ma cosa determina, nello specifico, se una famiglia MHH sia più o meno sicura dal punto di vista alimentare? L’analisi statistica (un modello logit ordinale, per i più tecnici) ha identificato alcuni fattori chiave:
- Età del capofamiglia: Più anziano è, maggiore è la probabilità di essere sicuri (+11.1% per ogni anno in più). L’esperienza e forse l’accumulo di beni nel tempo giocano a favore.
- Livello di istruzione: Saper leggere e scrivere aumenta la probabilità di sicurezza alimentare del 13.8% rispetto a chi è analfabeta. L’istruzione apre porte.
- Possesso di bestiame (TLU – Tropical Livestock Unit): Ogni unità di bestiame in più aumenta la probabilità di sicurezza del 1.36%. Il bestiame è ricchezza, fonte di cibo e reddito.
- Contatto con agenti di sviluppo agricolo: Ogni visita in più aumenta la probabilità di sicurezza del 10.26%. Informazione e supporto tecnico fanno la differenza.
- Stato patrimoniale (Ricchezza): Le famiglie MHH considerate “ricche” hanno il 17% di probabilità in più di essere sicure rispetto a quelle “povere”.
- Presenza di parassiti e malattie delle colture: Avere campi liberi da questi problemi aumenta la probabilità di sicurezza del 5.84%. Un raccolto sano è fondamentale.
- Rapporto di dipendenza: Un alto numero di persone non produttive (bambini, anziani) rispetto a quelle che lavorano peggiora la situazione (-6.2% di probabilità di sicurezza per ogni aumento unitario del rapporto).

Fattori Chiave: Donne al Comando (FHH)
E per le donne capo famiglia (FHH)? Qui le cose si fanno ancora più interessanti, con alcune differenze cruciali rispetto agli uomini:
- Età del capofamiglia: Sorprendentemente, qui la relazione è negativa. Ogni anno in più di età riduce la probabilità di sicurezza alimentare dello 0.8%. Come mai? Le interviste suggeriscono che molte FHH si affidano a lavori precari o giornalieri che richiedono energia e mobilità. Invecchiando, diventa più difficile.
- Stato civile: Le donne vedove hanno il 14.32% di probabilità in più di essere sicure rispetto alle donne sposate (in regime monogamo). Questo risultato, forse controintuitivo, potrebbe spiegarsi col fatto che le vedove hanno pieno controllo sulle risorse familiari, senza dover sottostare a decisioni maschili. Una maggiore autonomia che si traduce in migliore gestione per il benessere della famiglia.
- Possesso di bestiame (TLU): Come per gli uomini, è un fattore positivo molto forte. Ogni TLU in più aumenta la probabilità di sicurezza del 12.7%.
- Stato patrimoniale (Ricchezza): Anche qui, essere “ricche” aumenta enormemente la probabilità di sicurezza (+29.57% rispetto alle povere). La povertà è un fardello pesante per le FHH.
- Accesso a servizi finanziari formali: Avere accesso a credito o risparmio formale aumenta la probabilità di sicurezza del 5.63%. Poter investire o avere una rete di sicurezza economica è vitale.
Oltre i Numeri: Teorie e Realtà
Vedete come emergono dinamiche complesse? Questi risultati confermano le teorie femministe menzionate prima. L’accesso limitato a risorse chiave (terra, credito, istruzione, supporto tecnico – che spesso favorisce gli uomini) penalizza fortemente le FHH, rendendole più vulnerabili all’insicurezza alimentare. È la manifestazione pratica della femminilizzazione della povertà e delle barriere evidenziate dalla sovranità alimentare femminista.
Il fatto che l’età giochi ruoli opposti per MHH e FHH è emblematico delle diverse vulnerabilità e opzioni di sostentamento. E la scoperta sulle vedove suggerisce che l’autonomia decisionale femminile sulle risorse è un fattore potentissimo per il benessere familiare, un punto spesso sottolineato dalla ricerca femminista.
Non dimentichiamo poi fattori esterni come le malattie delle colture. La famigerata Xanthomonas Wilt dell’Enset (EXW) è un flagello. Le famiglie MHH colpite hanno quasi il 23% di probabilità in meno di essere sicure. Ma pensiamo all’impatto sulle FHH: se l’Enset è la “Coltura delle Donne”, la sua perdita a causa di malattie colpisce in modo sproporzionato proprio loro, che ne curano la trasformazione e spesso ne traggono reddito.

Cosa Possiamo Fare? Interventi Mirati
Questo studio non ci lascia solo con un quadro preoccupante, ma offre anche indicazioni preziose. È chiaro che non basta un approccio unico per tutti. Gli interventi per migliorare la sicurezza alimentare devono essere sensibili al genere e tenere conto delle realtà diverse vissute da MHH e FHH.
Cosa significa in pratica?
- Potenziare l’accesso ai servizi finanziari per le FHH.
- Garantire che i servizi di supporto agricolo raggiungano equamente anche le donne, magari con approcci specifici.
- Rafforzare la proprietà e il controllo delle risorse da parte delle donne (terra, bestiame).
- Sviluppare programmi di protezione sociale mirati, specialmente per le FHH più anziane.
- Affrontare le sfide ambientali e fitosanitarie, come la malattia dell’Enset, tenendo conto dell’impatto differenziato per genere.
Insomma, capire le dinamiche di genere non è solo una questione accademica, ma è fondamentale per disegnare politiche e programmi che funzionino davvero sul campo e non lascino indietro nessuno, specialmente le donne che, come abbiamo visto, portano spesso il peso maggiore dell’insicurezza alimentare. C’è ancora molto da ricercare, ad esempio sulle dinamiche decisionali interne alla famiglia o sulla resilienza ai cambiamenti climatici, ma questo studio ci dà già una direzione chiara: per sconfiggere la fame, dobbiamo guardare attraverso la lente del genere.
Fonte: Springer
