Insegnare nel Metaverso: Come Prendiamo Decisioni nella Realtà Virtuale?
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, al confine tra pedagogia e tecnologia. Avete mai pensato a come cambiano le aule? Non sono solo muri e banchi, ma spazi vivi che plasmano il modo in cui impariamo e insegniamo. Come diceva l’architetto Rem Koolhaas, un edificio ha una vita immaginata dal suo creatore e una vita reale, e non sono mai la stessa cosa. Lo stesso vale per gli ambienti di apprendimento: si evolvono, si trasformano.
Pensate all’aula come a un “terzo insegnante”, un concetto affascinante, vero? La disposizione dei banchi, i colori, la tecnologia… tutto comunica qualcosa, influenza le nostre interazioni. Una disposizione a file suggerisce un approccio frontale, mentre i cerchi incoraggiano la collaborazione. E qui entra in gioco la tecnologia, in particolare la Realtà Virtuale (VR).
La Realtà Virtuale come Strumento Educativo Trasformativo
La VR non è solo un gadget futuristico; è una simulazione generata al computer che ci immerge in mondi alternativi attraverso sensi come vista e udito, permettendoci di interagire e modellare quell’ambiente. Immaginate un’aula dove le pareti cambiano con un click, dove si discute attorno a un falò virtuale o si fa un giro in barca durante la pausa. Sembra fantascienza, ma è una realtà che fonde immaginazione ed educazione.
Ma in questi ambienti così immersivi e interattivi, come prendono decisioni gli insegnanti? Questa è la domanda al centro di uno studio fenomenologico descrittivo che ha esplorato proprio questo: i processi decisionali pedagogici dei futuri insegnanti all’interno di una piattaforma VR chiamata Virbela. L’obiettivo? Capire come questi “novizi” del teaching virtuale, senza esperienze precedenti, usano lo spazio, scelgono le strategie didattiche e affrontano le sfide uniche di questo ambiente digitale.
La VR è sempre più riconosciuta come uno strumento potente in educazione. Permette esperienze immersive che danno vita a concetti astratti, simula applicazioni reali senza rischi (pensate alla formazione medica o scientifica) e può persino ottimizzare i tempi di apprendimento. Anche se all’inizio c’era scetticismo, la pandemia ha accelerato la sua adozione.
I vantaggi sono molteplici, come sottolineato da Dalgarno e Lee (2010):
- Migliora la rappresentazione spaziale di concetti complessi.
- Supporta l’apprendimento esperienziale in ambienti sicuri.
- Aumenta il coinvolgimento e la motivazione intrinseca.
- Facilita l’apprendimento contestualizzato, applicando le conoscenze in scenari realistici.
- Incoraggia l’apprendimento collaborativo in spazi condivisi.
Tuttavia, c’è ancora molto da ricercare sugli impatti cognitivi, emotivi e motivazionali. Una revisione di Scavarelli et al. (2021) ha evidenziato una lacuna: nonostante il potenziale, c’è poco allineamento con teorie dell’apprendimento consolidate come il costruttivismo, e mancano prove conclusive sugli esiti misurabili dell’apprendimento. Soprattutto, si sa poco su come gli insegnanti prendono decisioni pedagogiche in questi ambienti.
Decidere Come Insegnare: Stili e Complessità
“Gli insegnanti esprimono giudizi continuamente. Prendono decisioni, danno istruzioni, negoziano, reagiscono, rispondono e ascoltano”. Questa citazione di Garside (2016) riassume perfettamente la complessità del mestiere. Il processo decisionale nel design didattico è complesso, spesso mal strutturato, e richiede un mix di approcci razionali e dinamici.
Jonassen (2012) identifica quattro tipi di decisioni: scelte tra alternative, accettazioni/rifiuti, valutazioni basate su criteri e costruzioni di soluzioni ottimali. Ma conta anche lo stile decisionale, l’approccio abituale di una persona. Scott e Bruce (1995) ne identificano cinque:
- Razionale: valutazione logica e approfondita delle alternative.
- Intuitivo: basato su istinto, emozioni ed esperienze.
- Dipendente: ricerca di consigli e guida esterna.
- Evitante: tendenza a rimandare o eludere la decisione.
- Spontaneo: desiderio di decidere rapidamente, privilegiando la velocità.
Nella VR, questo processo diventa ancora più complesso. Gli educatori devono adattare le strategie tradizionali alle specificità dell’ambiente immersivo. Spesso assumono un ruolo di facilitatori, ma incontrano sfide tecniche. Le decisioni dipendono da fattori come la fedeltà della rappresentazione, il senso di presenza e co-presenza, e il dialogo insegnante-studente.

La VR si è dimostrata efficace nel migliorare le capacità decisionali in vari contesti (sanità, forze dell’ordine, sport), replicando condizioni reali e migliorando accuratezza e trasferibilità. Studi hanno mostrato che la VR cattura processi cognitivi ed emotivi in tempo reale meglio degli scenari testuali e può favorire risultati di apprendimento generalizzabili. Una revisione sistematica ha persino rilevato un effetto positivo sulla competenza decisionale, con lo stile razionale come più comune, seguito da intuitivo e spontaneo. Questo rende la VR uno strumento promettente anche per la formazione degli insegnanti.
Lo Spazio Conta, Anche nel Virtuale: La Prossemica Didattica
Il modo in cui ci muoviamo e gestiamo lo spazio tra noi è comunicazione non verbale pura. La prossemica didattica (Hall, 1973) è l’uso strategico dello spazio fisico per favorire connessioni e apprendimento. Sebbene le percezioni della vicinanza varino culturalmente, molti studenti beneficiano di interazioni ravvicinate, che riducono la distanza psicologica e aumentano l’engagement. Chi siede più vicino all’insegnante tende a partecipare di più.
Hall (1966) identifica quattro zone di spazio personale: intima (0-45 cm), personale (45 cm-1.2 m), sociale (1.2 m-3.6 m) e pubblica (oltre 3.6 m). Ricerche recenti in VR (Kim e Sung, 2024) mostrano che, pur mantenendo schemi simili, le distanze interpersonali tendono ad essere maggiori (~160% in più), ma i contatti diretti aumentano (~260% in più), suggerendo un cambiamento nei livelli di comfort o nei comportamenti sociali. La prossemica favorisce il senso di vicinanza e co-presenza, quindi è parte integrante del processo decisionale pedagogico.
Dentro l’Esperienza: Cosa Abbiamo Osservato?
Lo studio che vi racconto ha usato un approccio fenomenologico descrittivo per capire le esperienze vissute da cinque futuri insegnanti statunitensi mentre insegnavano per la prima volta in VR sulla piattaforma Virbela (che non richiede visore). Dopo un training sulla piattaforma (creazione avatar, esplorazione, uso delle gesture), ogni candidato ha preparato e tenuto una lezione di 60 minuti nella propria materia, mentre gli altri fungevano da studenti. Le sessioni sono state registrate e seguite da interviste.
Movimento e Posizionamento nello Spazio Virtuale (Prossemica)
Analizzando i video secondo le categorie spaziali di Hall, sono emersi pattern interessanti (RQ1):
- I candidati di Educazione Primaria (Emma, Jack) e della Prima Infanzia (Sophie) hanno privilegiato lo spazio personale e intimo, suggerendo un focus su interazioni più ravvicinate, tipiche di questi livelli educativi. Sophie, in particolare, ha usato molto lo spazio intimo (30%).
- Il candidato di Educazione Secondaria (John, storia) ha utilizzato maggiormente lo spazio sociale (31.5%), forse riflettendo la maggiore autonomia attesa dagli studenti più grandi.
- La candidata di Educazione Artistica (Juliet) ha mostrato un uso più bilanciato, ma con una leggera preferenza per lo spazio sociale (27.3%) e personale (26.2%).
Questi risultati confermano che anche in VR, la posizione e il movimento dell’insegnante sono scelte pedagogiche che influenzano l’interazione.
Strategie Didattiche in VR: Tra Lezione Frontale e Interazione
L’analisi delle strategie didattiche (RQ2) ha rivelato che la lezione frontale (lecture) è stata l’approccio dominante per tutti (N=57), indipendentemente dalla materia. Ogni candidato l’ha usata come strategia primaria, adattandola alla VR con lavagne virtuali, slide e narrazione. Questo si allinea con uno stile decisionale razionale: pianificazione strutturata e trasmissione deliberata dei contenuti. Forse la familiarità con metodi tradizionali o la sfida percepita dell’engagement dinamico in VR hanno giocato un ruolo.
La seconda strategia più usata è stata l’intersoggettività (N=49), ovvero lo sforzo dell’insegnante di costruire una comprensione condivisa rispondendo attivamente ai segnali virtuali degli studenti (gesti, interazioni). Questo riflette uno stile decisionale intuitivo, adattando l’istruzione in tempo reale. È stato evidente nella lezione di Sophie sulle emozioni, dove ha incoraggiato la condivisione personale, e in quella di John, che ha gestito con pazienza il blocco temporaneo dell’avatar di uno studente. L’intersoggettività ha creato un’atmosfera reattiva e coinvolgente.

Seguono la connettività verbale (N=46), cioè lo scambio di idee tramite microfono (usato principalmente dagli insegnanti), e l’allineamento incarnato (embodied alignment) (N=45), l’uso realistico di oggetti virtuali (sedie, tavoli, podio) per creare un senso di spazio fisico. I candidati allineavano i loro avatar agli oggetti e agli altri come in un’aula reale (John al podio, Juliet attorno a un tavolo). È interessante notare che questo allineamento si interrompeva quando si condividevano link esterni alla piattaforma, creando una disconnessione tra spazio 2D e 3D.
Infine, la collaborazione (N=34) e la gestione della classe (classroom management) (N=34) sono state le interazioni meno osservate. La collaborazione è risultata difficile a causa di problemi tecnici, ritardi e mancanza di segnali non verbali, come riportato da Emma: “Era difficile capire se qualcuno stesse capendo o prestando attenzione… frustrante quando la tecnologia non funziona come dovrebbe.” Anche monitorare più gruppi contemporaneamente era una sfida, come notato da Sophia. La gestione della classe è stata limitata dalle piccole dimensioni del gruppo, dalla natura strutturata delle lezioni e forse dalla priorità data agli aspetti tecnici rispetto alla correzione del comportamento. Questo si collega a uno stile decisionale spontaneo, dove si fanno rapidi aggiustamenti spaziali o interattivi.
Le Sfide del Mestiere… Virtuale
Le interviste (RQ3) hanno rivelato tre sfide principali:
- Difficoltà di navigazione e controllo dell’avatar: Specialmente per chi non aveva esperienza di gaming. Juliet ha menzionato la curva di apprendimento e la frustrazione per le performance lente e l’impossibilità di vedere le espressioni facciali reali.
- Preoccupazioni su sicurezza e privacy: L’interazione con utenti sconosciuti nel campus VR aperto ha sollevato dubbi, soprattutto per l’uso con bambini. Sophia ha raccontato un incontro che l’ha messa a disagio.
- Affaticamento fisico e cognitivo: Gestire movimento, parlato, slide e gesti contemporaneamente è risultato stancante. John ha commentato: “Potrei gestirlo per una lezione, ma non regolarmente. Non fa per me.”
Inoltre, la limitata personalizzazione degli avatar (età, altezza, peso) è stata vista come un ostacolo alla creazione di identità e alla dinamica insegnante-studente, anche se John ha offerto una prospettiva diversa: “Qui siamo tutti senza età e impeccabili, siamo tutti uguali.”
Cosa Ci Dice Tutto Questo? Riflessioni Finali
Questo studio illumina la natura dinamica del processo decisionale pedagogico in VR. I futuri insegnanti hanno fatto affidamento su stili decisionali razionali (per le lezioni frontali e la collaborazione pianificata), intuitivi (per l’intersoggettività e la risposta ai bisogni degli studenti) e spontanei (per l’allineamento incarnato e la gestione della classe).
Mentre la VR offre opportunità immersive, insegnare efficacemente richiede flessibilità e strategie adattive. L’intersoggettività si conferma cruciale per creare connessioni significative, anche attraverso avatar. La prossemica rimane uno strumento pedagogico importante, con preferenze che variano in base al livello di insegnamento. Tuttavia, sfide come il carico cognitivo, i limiti tecnici e la navigazione possono ostacolare strategie più dinamiche come la collaborazione.
Lo studio ha dei limiti (campione piccolo e culturalmente omogeneo, assenza di studenti reali K12), ma suggerisce che la formazione degli insegnanti dovrebbe concentrarsi sullo sviluppo di capacità decisionali adattive specifiche per la VR, promuovendo abilità di interazione in tempo reale e integrando approcci collaborativi basati sull’indagine.
Insomma, insegnare in VR è un’arte complessa che richiede un nuovo set di competenze e una profonda comprensione di come lo spazio, la tecnologia e le decisioni umane si intrecciano. È un campo in evoluzione, pieno di potenziale e sfide, che continuerà sicuramente a farci riflettere!
Fonte: Springer
