Fotografia concettuale, obiettivo grandangolare 24mm, una mappa del mondo digitale con linee luminose che collegano gli Stati Uniti alla Cina, sovrapposta a volti di insegnanti con espressioni miste - alcune concentrate, altre stanche, altre speranzose. Simboleggia l'insegnamento online transnazionale, le sfide emotive e la tecnologia. Profondità di campo, illuminazione drammatica.

Insegnare Online Oltre Confine: Cuore, Algoritmi e Identità (Ri)trovata

Introduzione: Il “Lavoro d’Amore” e le Sue Spine

Sapete, si dice spesso che insegnare sia un “lavoro d’amore”. Ed è vero, c’è una passione incredibile che ci spinge verso questa professione. Ma ammettiamolo, troppo spesso questo amore non basta a pagare le bollette o a farci sentire davvero riconosciuti. Ci ritroviamo a fare i conti con quello che gli esperti chiamano “lavoro emotivo”: gestire le nostre emozioni, sorridere anche quando vorremmo urlare, farci carico dei problemi degli altri, spesso mettendo da parte i nostri. Questo non è certo una novità nel mondo della scuola tradizionale.

Però, negli ultimi anni, qualcosa è cambiato. L’insegnamento si è spostato online, è diventato un “lavoretto” su piattaforme digitali (la famosa gig economy), sempre più guidato dai dati e, cosa affascinante, ha superato i confini nazionali. Pensateci: insegnanti americani che, magari per arrotondare o perché delusi dal sistema tradizionale, si ritrovano a insegnare inglese a studenti cinesi, interagendo con genitori e standard educativi di una cultura completamente diversa. È un mondo nuovo, pieno di sfide ma anche di opportunità inaspettate.

Mi sono immerso in questo fenomeno, cercando di capire cosa succede quando un insegnante statunitense si collega a una piattaforma cinese di “gig-education”. Ho ascoltato le storie di 24 insegnanti e quello che ho scoperto è affascinante. Queste piattaforme, in un certo senso, possono diventare un’ancora di salvezza. Permettono a molti di ritrovare quella scintilla, quel senso di scopo e quella identità di educatore e “caregiver” che magari si era un po’ appannata. Si sentono di nuovo insegnanti, nel senso più pieno del termine.

Ma, come in ogni storia che si rispetti, c’è un “ma”. Queste piattaforme non sono neutre. Sono intrise di valori culturali cinesi e funzionano grazie a tecnologie molto specifiche: raccolta massiccia di dati (datafication), algoritmi che decidono chi insegna a chi e come, e una certa dose di sorveglianza. Ho chiamato questo mix “informatica emotiva transnazionale”. E sì, questo crea nuove forme di lavoro emotivo, nuove pressioni con cui questi insegnanti devono fare i conti. È un equilibrio delicato, un gioco di specchi tra culture, tecnologie ed emozioni. Cerchiamo di capire meglio come funziona.

La Dura Realtà dell’Insegnamento Tradizionale negli USA

Prima di tuffarci nel mondo digitale transnazionale, facciamo un passo indietro. Perché così tanti insegnanti americani cercano alternative? Beh, la situazione nelle scuole tradizionali K-12 (dall’asilo alle superiori) negli Stati Uniti non è sempre rose e fiori. Molti degli insegnanti con cui ho parlato hanno descritto un quadro fatto di stipendi bassi, spesso non commisurati all’impegno e alle ore di lavoro extra (non segnate sul contratto, ovviamente). C’è la battuta amara che circola tra loro: “gli spazzini di New York guadagnano più di noi”.

Ma non è solo una questione di soldi. C’è un profondo senso di mancanza di rispetto. Genitori che li vedono come “babysitter glorificati”, che scaricano su di loro la responsabilità dei comportamenti difficili dei figli o dei loro scarsi risultati, senza collaborare. Studenti che a volte mancano di rispetto, arrivando persino ad attacchi fisici o verbali. Amministrazioni scolastiche che non sempre offrono il supporto necessario. È un ambiente che logora.

E poi c’è il carico emotivo. Devi essere insegnante, certo, ma anche un po’ psicologo, un po’ infermiere, un po’ assistente sociale, soprattutto nelle scuole più svantaggiate (le cosiddette Title I schools). Devi gestire problemi comportamentali complessi, a volte senza avere la formazione specifica. Devi mostrare entusiasmo anche quando sei esausto, devi nascondere la frustrazione, devi fare “buon viso a cattivo gioco”. Questo è il lavoro emotivo nella sua forma più pura e, alla lunga, porta al burnout, all’ansia, alla depressione. Non sorprende che l’8% degli insegnanti negli USA lasci la professione ogni anno per insoddisfazione.

Questa costante pressione, questa discrepanza tra l’ideale dell’insegnante appassionato e la realtà quotidiana, mina la loro stessa identità professionale. Si sentono svalutati, frustrati, incapaci di fare davvero la differenza come vorrebbero. Ed è qui che entrano in gioco le piattaforme online.

Fotografia di ritratto di un'insegnante americana K-12 dall'aspetto stanco e stressato seduta alla sua scrivania in un'aula disordinata, luce fioca, obiettivo da 35mm, profondità di campo, toni bicromatici grigio e blu.

L’Arrivo delle Piattaforme Gig Transnazionali

Immaginate la scena: siete un insegnante americano, magari con un mutuo da pagare, prestiti studenteschi ancora sul groppone, e sentite che il vostro lavoro, per quanto amato, vi sta prosciugando emotivamente ed economicamente. Cosa fate? Molti iniziano a cercare un secondo lavoro: cameriere, babysitter… Ma poi scoprono queste piattaforme online, spesso cinesi, come la famosa VIPKid, GoGoKid, Whales English.

Queste piattaforme mettono in contatto insegnanti madrelingua inglesi (principalmente nordamericani) con studenti cinesi (dai 4 ai 15 anni) per lezioni individuali via streaming. Pagano all’ora, come “contractor” indipendenti, cifre che possono sembrare interessanti (14-18 dollari l’ora, secondo lo studio). Per molti, diventa un modo per integrare lo stipendio, per altri una vera e propria nuova carriera, soprattutto se decidono di lasciare l’insegnamento tradizionale.

La motivazione iniziale è spesso economica, è innegabile. Ma parlando con questi insegnanti, emerge qualcos’altro. C’è la speranza di ritrovare un ambiente di lavoro diverso, magari meno stressante, più flessibile, dove poter fare ciò che amano davvero: insegnare. C’è la curiosità di interagire con una cultura diversa. C’è, forse inconsciamente, la ricerca di un luogo dove la loro identità di insegnanti possa essere non solo riconosciuta, ma valorizzata.

Queste piattaforme rappresentano quindi un’interfaccia non solo tecnologica, ma anche culturale. Mediano relazioni tra persone che vivono in mondi molto diversi, con aspettative e valori differenti riguardo all’educazione. E proprio in questa mediazione si gioca la partita della riconfigurazione del lavoro emotivo.

Una Boccata d’Aria Fresca? Il Lato Positivo

La cosa che mi ha colpito di più ascoltando le storie di queste insegnanti è stata la sensazione di “shock culturale” positivo che molte hanno provato. Ricordate la frustrazione per la mancanza di rispetto da parte dei genitori americani? Bene, sulle piattaforme cinesi, la musica cambia radicalmente.

Molte insegnanti hanno descritto di sentirsi finalmente rispettate e apprezzate. I genitori cinesi, spesso provenienti da contesti socio-economici medio-alti e molto investiti nell’educazione dei figli (ricordate l’ideale del “wangzi chenglong”, desiderare figli di successo come draghi?), vedono l’insegnante come una figura autorevole. C’è un valore culturale profondo, di radice confuciana, chiamato “zun shi”: il rispetto per l’insegnante. Questo si traduce in un atteggiamento collaborativo, in un riconoscimento del loro ruolo e della loro competenza.

“È come se qui capissero davvero l’importanza dell’educazione e di chi la impartisce”, mi ha detto una di loro. Questo cambiamento è potentissimo. Libera energie emotive che prima venivano spese per difendersi, per giustificarsi, per gestire conflitti. Ora possono concentrarsi sull’insegnamento vero e proprio.

Un altro aspetto positivo riguarda la gestione della classe. Nelle scuole tradizionali, gran parte del lavoro emotivo deriva dal dover gestire comportamenti problematici degli studenti. Sulle piattaforme online, questo carico è drasticamente ridotto. In parte perché le lezioni sono individuali, ma anche grazie a un sistema di supporto specifico:

  • Mediazione umana: Figure come i “learning partners” (che comunicano con i genitori) e i “firemen” (che intervengono in caso di problemi tecnici o comportamentali durante la lezione) agiscono come cuscinetti, assorbendo parte dello stress. Questi “aiutanti”, spesso lavoratori migranti sottopagati etichettati come “AI”, sono fondamentali.
  • Mediazione tecnologica: Le piattaforme usano algoritmi per abbinare studenti e insegnanti in base a stili e interessi, e persino tecnologie di riconoscimento vocale ed emotivo per monitorare l’attenzione dello studente, fornendo feedback automatico ai genitori.

Infine, c’è la flessibilità. Poter scegliere quando lavorare, da casa propria, offre un senso di controllo sulla propria vita che nel sistema tradizionale era spesso un miraggio. Molte insegnanti, soprattutto donne e madri, hanno sottolineato come questo abbia migliorato il loro equilibrio tra lavoro e vita privata, permettendo loro di sentirsi di nuovo “padroni” del proprio tempo e di riconciliarsi con i diversi ruoli della loro vita (insegnante, madre, partner).

In sintesi, queste piattaforme sembrano offrire un contesto dove il lavoro emotivo “negativo” (quello legato alla mancanza di rispetto e alla gestione dei problemi) si riduce, permettendo agli insegnanti di riallineare la propria identità professionale con le loro motivazioni più profonde e di ritrovare passione e significato nel loro lavoro.

Fotografia di ritratto di un'insegnante sorridente che interagisce con uno schermo di computer durante una lezione online, luce calda e controllata, obiettivo da 50mm, espressione coinvolta.

Ma Non È Tutto Oro Quello Che Luccica: Le Nuove Sfide Emotive

Sarebbe bello se la storia finisse qui, con insegnanti felici e realizzate. Ma la realtà, come sempre, è più complessa. Se da un lato le piattaforme transnazionali alleviano certe forme di lavoro emotivo, dall’altro ne introducono di nuove, legate proprio alla loro natura tecnologica e culturale.

Pensiamo alla datafication. Tutto viene misurato, quantificato, etichettato. Gli insegnanti vengono classificati dai genitori con tag basati sulla personalità (“paziente”, “seria”), sullo stile di insegnamento, persino sul genere (presentato in modo binario). Ricevono valutazioni costanti, spesso su una scala a 5 stelle (o “mele”, nel caso di VIPKid). Mantenere un punteggio quasi perfetto diventa un’ossessione, una fonte di stress enorme. “È ridicolo, ma se scendi sotto il 5, vai nel panico”, mi ha confessato un’insegnante. Ci si sente un po’ come un prodotto su uno scaffale, costantemente sotto esame.

Poi c’è la questione dell’identità “autentica”. I genitori cinesi cercano l’insegnante americano “vero”, con l’accento “giusto” (spesso identificato con un generico accento da telegiornale americano, privo di inflessioni regionali). Questo spinge le insegnanti a un ulteriore lavoro emotivo: devono “recitare” una parte, nascondere il proprio accento naturale (come quello del New Jersey, menzionato da una partecipante), conformarsi a uno stereotipo. È una forma sottile ma pervasiva di pressione a omologarsi.

Gli algoritmi non sono neutrali. Decidono quali studenti ti vengono assegnati, influenzano la tua visibilità sulla piattaforma, e possono persino incentivare determinati comportamenti. Ad esempio, accettare “prenotazioni prioritarie” dai genitori, anche se questo significa sacrificare il proprio tempo libero o lavorare in orari impossibili per via del fuso orario (spesso la mattina presto o la notte fonda per gli americani). La flessibilità tanto decantata rischia di diventare una gabbia dorata, dove per guadagnare abbastanza si finisce per lavorare più di prima, magari dormendo poche ore per notte.

E non dimentichiamo la sorveglianza digitale. Le lezioni sono registrate, monitorate. Algoritmi (e forse anche persone) controllano se usi il materiale giusto, persino le mappe geografiche “corrette” secondo gli standard cinesi. Questo crea un effetto “gelo” (chilling effect): ti senti costantemente osservato, hai paura di sbagliare, modifichi il tuo comportamento, reprimi magari il tuo stile di insegnamento più critico o collaborativo per aderire a un modello più frontale, più gradito dalla piattaforma o dalla cultura dominante.

Infine, ci sono i problemi tecnici, le barriere linguistiche con il supporto, la precarietà del lavoro (come dimostrato dalla chiusura improvvisa di alcune piattaforme in Cina a causa di nuove normative governative nel 2021). Tutto questo contribuisce a creare nuove forme di stress e di lavoro emotivo. È quello che ho chiamato “informatica emotiva transnazionale”: un intreccio complesso di tecnologia, cultura e gestione delle emozioni che definisce l’esperienza lavorativa su queste piattaforme.

Fotografia still life, obiettivo macro 100mm, schermo di computer che mostra grafici astratti di dati, valutazioni a stelle e un piccolo occhio stilizzato che osserva, illuminazione controllata, alta definizione, focus preciso.

Oltre l’Occidente: Potere, Politica e Identità sulle Piattaforme

Questa storia ci costringe anche a riflettere su qualcosa di più grande: il potere e la politica nascosti nella tecnologia, specialmente quando attraversa i confini. Siamo abituati a pensare al “colonialismo digitale” come a piattaforme occidentali che impongono i loro modelli al resto del mondo (il cosiddetto Global South).

Ma questo caso è diverso. Qui abbiamo piattaforme progettate in Cina (una nazione BRICS, non un ex-colonizzatore nel senso classico, ma comunque una potenza economica e tecnologica) che mediano il lavoro di persone nel “Global North” (gli Stati Uniti). Questo ci mostra che le dinamiche di potere sono più complesse di una semplice divisione Nord/Sud. Anche le tecnologie non occidentali possono:

  • Normalizzare specifiche visioni del mondo: Imporre l’uso di mappe geografiche conformi alla visione cinese è un esempio chiaro di come la tecnologia possa veicolare e standardizzare prospettive politiche su scala globale.
  • Perpetuare mentalità coloniali (in modo inverso?): La preferenza per l’accento “standard” americano e la presentazione di insegnanti nordamericani come “ideali” può, paradossalmente, rafforzare gerarchie linguistiche e culturali, anche se originate altrove. Si crea un bias contro la diversità linguistica, anche all’interno del mondo anglofono.
  • Stabilire un’identità egemonica della piattaforma: Anche se potenzialmente globali, piattaforme come VIPKid sono nate per servire principalmente il mercato cinese. Questo plasma la loro identità, le loro priorità (orari, festività cinesi), le loro funzionalità, rendendo di fatto l’identità cinese quella “di default”.

Questo non significa demonizzare queste piattaforme, ma piuttosto analizzarle criticamente, riconoscendo che nessuna tecnologia è neutrale. Ogni piattaforma porta con sé i valori, le priorità e le logiche dei suoi creatori e del contesto in cui è nata, e queste logiche hanno effetti concreti sulla vita e sul lavoro emotivo delle persone che le usano, ovunque si trovino.

Verso un Futuro Equo? L’Importanza dell'”Allineamento Identitario”

Allora, cosa possiamo imparare da tutto questo? Come possiamo immaginare un futuro del lavoro digitale, specialmente quello transnazionale, che sia più equo e soddisfacente per chi lavora?

La ricerca evidenzia un punto cruciale: le piattaforme hanno successo (almeno in parte) quando riescono a risuonare con l’identità profonda dei lavoratori, con il loro senso di sé e le loro motivazioni intrinseche. Quando gli insegnanti si sentivano rispettati e potevano concentrarsi sull’insegnamento, ritrovavano la loro identità di educatori. Questo mi ha portato a proporre il concetto di “allineamento identitario” (identity alignment) come principio guida per la progettazione.

Cosa significa? Significa che chi progetta queste piattaforme dovrebbe smettere di pensare solo all’efficienza, alla produttività o alla massimizzazione del profitto (il modello dominante del capitalismo di piattaforma). Dovrebbe invece chiedersi: come possiamo creare sistemi che aiutino le persone a sentirsi realizzate nel loro lavoro, che valorizzino le loro competenze e passioni, che siano in linea con ciò che loro ritengono importante?

Immaginate piattaforme che non si limitino ad assegnare compiti a caso, ma che cerchino attivamente di abbinare i lavoratori a progetti che rispecchiano le loro identità professionali passate o presenti, o che li aiutino a sviluppare nuove competenze in linea con le loro aspirazioni. Pensate a sistemi di valutazione che non siano solo punitivi o stressanti, ma che offrano feedback costruttivo e riconoscano il valore intrinseco del lavoro svolto, al di là dei meri numeri.

Certo, non è facile. I lavoratori sono diversi, hanno motivazioni e priorità differenti. Non esiste una soluzione tecnologica unica che vada bene per tutti. E la tecnologia da sola non può risolvere problemi che sono fondamentalmente sociali ed economici, come la precarietà del lavoro o gli stipendi bassi nel settore dell’istruzione.

Però, adottare l’allineamento identitario come bussola può fare la differenza. Significa mettere al centro il benessere, la dignità e il senso di scopo del lavoratore. Significa progettare tenendo conto non solo del “cosa” si fa, ma del “chi” lo fa e del “perché”. Forse è un’utopia, ma credo sia una direzione verso cui vale la pena muoversi, per rendere il futuro del lavoro digitale un po’ più umano.

Fotografia concettuale, obiettivo da 35mm, due sagome di persone sovrapposte che si allineano perfettamente, una rappresentante un'identità interiore luminosa e l'altra un ruolo lavorativo strutturato, toni caldi, profondità di campo.

Conclusione: Un Equilibrio Delicato

L’avventura degli insegnanti americani sulle piattaforme di gig-education cinesi è una metafora potente del nostro tempo. Ci mostra come la globalizzazione e la tecnologia stiano ridisegnando non solo il modo in cui lavoriamo, ma anche come sentiamo, come ci percepiamo e come gestiamo le nostre emozioni nel contesto lavorativo.

Queste piattaforme sono un’arma a doppio taglio. Da un lato, possono offrire una via di fuga da sistemi lavorativi tradizionali logoranti, permettendo di ritrovare rispetto, flessibilità e un senso di allineamento con la propria identità professionale. Dall’altro, introducono nuove forme di pressione, controllo e lavoro emotivo, mediate da algoritmi, dati e logiche culturali diverse.

La sfida, per il futuro, è quella di progettare e regolare questi spazi digitali in modo che mettano davvero al centro le persone, il loro benessere e la loro identità. L’idea di “allineamento identitario” è un invito a pensare oltre l’efficienza e il profitto, per costruire un futuro del lavoro che sia non solo produttivo, ma anche significativo e umano.

Fonte: Springer

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