Sanità Connessa in Olanda: Quando i Cittadini Prendono il Timone (e Funziona!)
Sapete una cosa? Stiamo assistendo a una vera e propria rivoluzione, silenziosa ma potentissima, nel modo in cui pensiamo alla salute e al benessere. E no, non parlo solo di nuove tecnologie mediche o scoperte scientifiche mirabolanti. Parlo di noi, cittadini, che ci rimbocchiamo le maniche e diventiamo protagonisti attivi della nostra cura. Recentemente mi sono imbattuto in un caso studio affascinante che arriva direttamente dai Paesi Bassi e che, credetemi, ha molto da insegnarci sulla sanità connessa e sul potere della co-creazione.
Immaginate un contesto in cui i costi sanitari lievitano e i governi, un po’ ovunque, ci spingono a prenderci maggiori responsabilità per la nostra salute. Ecco, in Olanda questa tendenza ha portato a una fioritura di quelle che vengono chiamate “Iniziative dei Cittadini” (CI) nel settore della sanità e del welfare. Si tratta di progetti nati dal basso, dove persone comuni utilizzano risorse formali e informali, reti di conoscenze e tanta buona volontà per migliorare i servizi sanitari e di assistenza, spesso interagendo e collaborando con le amministrazioni locali. E qui entra in gioco una parola magica: co-creazione. Non una semplice consultazione, ma un vero e proprio lavoro di squadra che coinvolge cittadini e istituzioni in tutte le fasi: dall’ideazione alla realizzazione.
Lo studio che ho analizzato si è concentrato proprio su una di queste iniziative olandesi, nata con l’obiettivo di rendere la sanità e il welfare più accessibili e, diciamocelo, più “umani”, attraverso un approccio di reablement, ossia di riattivazione delle capacità individuali. Per capire come funzionano queste dinamiche, i ricercatori hanno intervistato i protagonisti: da un lato i promotori dell’iniziativa civica, dall’altro i rappresentanti del governo municipale. E quello che è emerso è un quadro ricco di spunti, sfide e, soprattutto, di grandi potenzialità.
Una Visione Condivisa: La Bussola del Successo
Il primo, fondamentale, tassello per far funzionare una collaborazione di questo tipo è la creazione di una visione condivisa. Sembra banale, vero? Eppure, vi assicuro che mettere d’accordo teste e cuori non è un gioco da ragazzi. Tutti i partecipanti allo studio hanno sottolineato come, nel loro villaggio, si sentisse forte il bisogno di un cambiamento. La perdita di servizi, l’invecchiamento della popolazione, l’indebolimento dei legami sociali: tutti fattori che mettevano a dura prova le risorse professionali e comunitarie. Le riforme sanitarie nazionali, poi, erano viste più come misure di austerità che come reali opportunità, generando scetticismo.
L’obiettivo della CI era chiaro: promuovere il reablement, migliorare il benessere dei cittadini con un approccio olistico, dare un senso di appartenenza e permettere alle persone di vivere più a lungo e in modo indipendente a casa propria. Si voleva creare un ponte tra cura formale e informale, andando verso una de-medicalizzazione. E, cosa cruciale, si voleva che i cittadini fossero considerati partner alla pari della municipalità. Come ha detto un funzionario: “Oggi devi interagire diversamente con i tuoi abitanti, partendo da ciò che un abitante vuole e da come vede le cose“. Insomma, una bella sfida che richiedeva di mettere nero su bianco filosofia e risultati desiderati per garantire il successo del progetto pilota.
In questa iniziativa, i cittadini non erano solo utenti, ma proprietari, partner e fornitori di servizi. Tutti concordavano sul fatto che le CI dovessero avere un ruolo maggiore nella governance sanitaria. Avere un team di promotori capaci e determinati è stato un fattore chiave. E poi, nella pratica, i cittadini si sono attivati supportandosi a vicenda, incoraggiando l’auto-aiuto e la riscoperta di abilità perdute.
Tutti i partecipanti hanno riconosciuto il valore aggiunto della sanità interconnessa, dove professionisti sanitari, assistenti sociali e cittadini lavorano insieme. Conoscersi, capire le reciproche capacità e puntare alla soddisfazione di tutti: questa la ricetta. I funzionari pubblici, dal canto loro, vedevano nelle cure informali un’opportunità per colmare la mancanza di strumenti di reablement. Inizialmente, si è scelto di mantenere la collaborazione su piccola scala, per definire bene gli obiettivi prima di allargare il cerchio. Un funzionario ha saggiamente osservato: “Se non sai bene cosa vuoi fare, non ha senso coinvolgere il mondo intero“. Tuttavia, un ostacolo non da poco era il sistema finanziario che separa sanità e welfare. E qui le opinioni divergevano: i promotori volevano una vera co-creazione supportata finanziariamente, mentre i policy maker preferivano mantenere una certa distanza e oggettività, valutando i piani proposti dai cittadini secondo criteri di fattibilità e coerenza con le politiche esistenti.
La Capacità di Collaborare: Non Basta Volerlo, Bisogna Saperlo Fare
Il secondo grande tema emerso è la capacità di collaborare. E qui, amici miei, si entra nel vivo delle complessità umane e organizzative. Promotori, politici e funzionari hanno tutti menzionato modi diversi di lavorare, comunicare e prendere decisioni. I promotori dell’iniziativa percepivano una certa resistenza al cambiamento da parte dei policy maker, accusati di non consultare i cittadini e di essere poco flessibili. Sentivano che la municipalità non coglieva l’urgenza del cambiamento e applicava procedure troppo formali.
Dall’altra parte, i policy maker spiegavano di avere i loro sistemi e metodi di consultazione, criticando la proposta dei cittadini di spostare fondi dall’organizzazione di welfare esistente alla CI, mettendone a rischio la continuità. Hanno anche percepito una mancanza di “tatto” da parte dei promotori, che tendevano a mischiare temi non strettamente sanitari nel progetto pilota. Addirittura, è emerso che diversi dipartimenti comunali potevano avere compiti e linguaggi potenzialmente conflittuali! Nonostante ciò, il cambiamento collaborativo è possibile quando i promotori hanno buone capacità di networking e sanno a chi rivolgersi. È fondamentale che ci siano interessi condivisi, nessuna agenda nascosta e che la municipalità sia disposta a cedere un po’ di controllo ai cittadini.
Tutti i coinvolti devono essere messi nelle condizioni di pensare e lavorare diversamente. Questo richiede di imparare ad adattare la comunicazione, le routine e le culture lavorative, avere un quadro chiaro del modello e dedicare tempo e spazio, arrivando a una visione e a un metodo di azione condivisi. Un partecipante ha auspicato un linguaggio più “normale” e procedure più snelle da parte della municipalità: “Scrivere un libro di 100 pagine non ha molto senso, la gente non lo legge. Dillo chiaramente in dieci frasi. È possibile, altrettanto bene“. Qualcuno ha persino suggerito di nominare un facilitatore indipendente per agevolare questo processo.
Un altro aspetto cruciale riguarda il processo decisionale. I cittadini si sono trovati a negoziare la loro iniziativa e a sperimentare le decisioni comunali a vari livelli. Inizialmente, l’assessore responsabile era positivo, ma ha delegato le procedure ai policy maker. Questi ultimi, sentendosi responsabili della fattibilità e della legalità, all’inizio non volevano “scrivere insieme” ai cittadini per non perdere la loro oggettività. I promotori, invece, sospettavano che i policy maker agissero in modo indipendente, arrivando a dire: “Possono distruggere un politico, ne sono consapevole“. Questa opacità nel processo decisionale ha generato frustrazione e sfiducia nei cittadini, che non comprendevano appieno i meccanismi interni della municipalità (come l’allocazione dei budget). Alla fine, i promotori hanno usato le loro abilità di networking per ottenere un ampio supporto politico, bypassando in parte le resistenze burocratiche. È interessante notare come non ci fosse un’interpretazione univoca del “modello danese” (il modello di Esbjerg a cui si ispiravano), e questo ha portato a una certa confusione. Alla fine, è passata una mozione politica per implementare un progetto pilota basato su questo modello, seppur definito in modo piuttosto vago. Nonostante le riserve, i policy maker hanno dovuto avviare la co-creazione, selezionando insieme ai promotori le parti del modello danese adattabili al sistema olandese.
Sostenibilità della Collaborazione: Costruire per Durare
Infine, per dare forma e sostenere nel tempo una co-creazione, sono emersi altri elementi chiave, raccolti sotto il tema della sostenibilità della collaborazione. Parliamo di impegno, capitale sociale, monitoraggio e valutazione.
L’impegno a co-creare è stato rafforzato dall’ispirazione personale, dalla fiducia nelle capacità altrui e dalla possibilità di lavorare con un progetto flessibile. Avere cittadini impegnati, che si conoscono bene e agiscono insieme, è stato cruciale. Questi promotori hanno dovuto perseverare: “Certo che ne abbiamo sofferto anche noi, questo è costato molto tempo ed energia. Ci sono tremila ore investite in questo… abbiamo dovuto davvero lottare per farcela passare!“. Durante la collaborazione, la mancanza di chiarezza sul modello ha portato a un progetto pilota diverso da quello inizialmente immaginato, causando frustrazione. Nonostante ciò, i promotori hanno deciso di andare avanti, desiderosi di vedere un risultato concreto dai loro sforzi, e alla fine si sono detti contenti del progetto avviato, sottolineandone la flessibilità per futuri cambiamenti.
Il capitale sociale è stato un altro elemento potentissimo. Il fatto che il villaggio fosse piccolo e socialmente attivo è stato un vantaggio. Prendersi cura l’uno dell’altro era una pratica diffusa e una delle visioni guida dell’iniziativa. La piattaforma digitale e lo spazio di incontro comunitario hanno contribuito a rafforzare i legami. Legami forti tra cittadini e con i professionisti sono stati fondamentali. I cittadini si sono attivati per connettersi con iniziative, reti e professionisti esistenti. Il riconoscimento da parte della municipalità che i cittadini possiedono capacità diverse dai professionisti è stato un motore importante per il cambiamento. I legami tra cittadini e politici hanno influenzato il processo decisionale e contribuito all’impegno. Inizialmente sottovalutati, i forti legami sociali si sono rivelati un prodotto della collaborazione stessa, migliorando vitalità, benessere e attività.
Per quanto riguarda il monitoraggio e la valutazione, la municipalità ha negoziato l’organizzazione del progetto pilota su piccola scala, con partner limitati, per mantenerlo gestibile. Tutti i partecipanti hanno sottolineato l’importanza di valutare il progetto, e i risultati avrebbero impattato la sostenibilità della co-creazione. Tuttavia, sono emerse difficoltà durante l’implementazione, con obiettivi e metodi di valutazione differenti, e i criteri esatti di valutazione sono rimasti da decidere. Un aspetto che mi ha colpito è la preoccupazione sollevata per la posizione dei cittadini vulnerabili: i funzionari comunali hanno notato che la privacy di chi cerca aiuto potrebbe essere a rischio, o che potrebbero essere restii ad accettare assistenza volontaria. È stato sottolineato che le persone vulnerabili devono essere in grado di “tenere il passo”.
Cosa ci portiamo a casa da questa storia olandese?
Beh, direi parecchio! Questa esperienza ci insegna che per una co-creazione di successo tra iniziative dei cittadini e municipalità nel campo della sanità e del welfare servono alcuni ingredienti fondamentali:
- Una filosofia e una visione condivise, con risultati, metodi e ruoli chiaramente definiti.
- L’empowerment di tutti gli stakeholder, mettendoli nelle condizioni di imparare e lavorare con metodi nuovi.
- Il supporto politico, che può mitigare le resistenze istituzionali.
- L’impegno e la perseveranza di chi ci crede.
- Un forte capitale sociale, che facilita il processo ed è al contempo un obiettivo.
- Una comunicazione chiara e la capacità di affrontare gli squilibri di potere.
Certo, le collaborazioni possono deragliare quando le visioni o i metodi (procedure formali, gergo burocratico) entrano in collisione. E non dobbiamo dimenticare le preoccupazioni per i cittadini più vulnerabili: è fondamentale garantire che non vengano esclusi e che i loro diritti siano tutelati. Studi futuri dovrebbero proprio concentrarsi su come includere chi ha minori capacità di partecipazione.
In conclusione, la partecipazione dei governi alle iniziative dei cittadini in ambito sanitario e di welfare è preziosa per affrontare le crescenti carenze in questi settori. Tuttavia, è necessario progettare nuove strutture di responsabilità che facilitino i promotori e, allo stesso tempo, salvaguardino i diritti democratici e sanitari di tutti i cittadini. Un cammino complesso, ma pieno di promesse per una sanità davvero a misura d’uomo. E io, da semplice osservatore, non posso che fare il tifo per queste fantastiche iniziative!
Fonte: Springer