Alzheimer e Tauopatie: E se la Chiave Fosse Bloccare un Enzima “Cattivo”?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi ha davvero affascinato, una ricerca che apre spiragli di luce nel complesso e spesso oscuro mondo delle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer e altre condizioni simili chiamate “tauopatie”. Sapete, quelle malattie in cui una proteina chiamata Tau inizia a comportarsi male, aggregandosi e danneggiando i nostri preziosi neuroni.
Il Problema: Quando Tau e Infiammazione Vanno a Braccetto
Immaginate il nostro cervello come una metropoli super efficiente. I neuroni sono i cittadini che lavorano, comunicano, ricordano. Poi ci sono le microglia, un po’ le forze dell’ordine e gli spazzini della città: tengono tutto pulito e sotto controllo, combattendo le minacce. Nelle tauopatie, la proteina Tau, che normalmente aiuta a stabilizzare le “strade” interne dei neuroni, inizia ad accumularsi in grovigli tossici (i famosi grovigli neurofibrillari o NFTs). Questo non solo danneggia direttamente i neuroni, ma scatena anche una reazione infiammatoria cronica. Le microglia, nel tentativo di risolvere il problema, diventano iperattive e finiscono per contribuire al danno, un po’ come una forza dell’ordine troppo zelante che inizia a creare più problemi di quanti ne risolva. È un circolo vizioso che porta alla perdita di neuroni e al declino cognitivo che vediamo in malattie come l’Alzheimer. E, cosa importante, questi grovigli di Tau sembrano essere più legati al declino cognitivo rispetto alle placche di beta-amiloide, un altro “cattivo” dell’Alzheimer. Ecco perché trovare modi per fermare Tau e l’infiammazione è cruciale.
Un Eroe Nascosto e il Suo Nemico Giurato
Ma ecco che entra in gioco una scoperta intrigante. Nel nostro corpo abbiamo delle molecole derivate dal metabolismo dell’acido arachidonico (un tipo di grasso) chiamate acidi epossieicosatrienoici (EETs). Pensate agli EETs come a dei piccoli pompieri, bravissimi a spegnere l’infiammazione. Il problema? Hanno vita breve. Vengono rapidamente distrutti da un enzima chiamato idrolasi epossidica solubile (sEH). Questo sEH è un po’ il guastafeste della situazione: più ce n’è, meno EETs anti-infiammatori abbiamo in circolazione. Studi precedenti avevano già suggerito che bloccare l’sEH potesse essere utile nei modelli animali di Alzheimer legati all’amiloide, riducendo l’infiammazione. Ma che dire delle tauopatie? E come agisce esattamente questo meccanismo sulle diverse cellule del cervello?
L’Esperimento: Silenziare l’Enzima “Cattivo”
È qui che si inserisce lo studio di cui vi parlo oggi. I ricercatori si sono chiesti: cosa succede se blocchiamo l’sEH in un modello animale di tauopatia? Hanno usato dei topolini speciali, chiamati PS19, che sviluppano proprio quel tipo di danno da Tau che vediamo negli umani. Hanno fatto due cose:
- Hanno somministrato a questi topolini un farmaco specifico, un inibitore dell’sEH chiamato TPPU, mescolato nell’acqua da bere per circa tre mesi.
- Hanno creato dei topolini PS19 geneticamente modificati in cui il gene che produce l’sEH (chiamato Ephx2) era stato completamente eliminato (knockout).
In pratica, hanno spento l’enzima sEH in due modi diversi. Poi hanno esaminato a fondo cosa succedeva nel cervello di questi animali, usando tecniche sofisticate come l’analisi dell’espressione genica in singole cellule (snRNA-seq), analisi biochimiche, osservazioni al microscopio e test comportamentali per valutare la memoria e l’apprendimento. Hanno anche fatto esperimenti su culture di microglia primarie e su neuroni umani derivati da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), per capire meglio i meccanismi a livello cellulare.

Risultati Sorprendenti: Neuroni Salvi e Menti Più Lucide!
E i risultati? Beh, sono stati davvero incoraggianti! Sia bloccando l’sEH con il farmaco TPPU sia eliminando il gene, i topolini PS19 hanno mostrato:
- Miglioramento delle funzioni cognitive: Nei test di memoria (come riconoscere un oggetto nuovo o ricordare un’esperienza paurosa legata a un contesto specifico), i topolini trattati con TPPU se la cavavano molto meglio dei loro compagni non trattati, quasi come i topolini sani.
- Salvataggio dei neuroni: L’analisi del cervello ha rivelato che nei topolini PS19 non trattati c’era una perdita significativa di neuroni in aree chiave per la memoria come l’ippocampo. Il trattamento con TPPU riusciva a prevenire in parte questa perdita!
- Più sinapsi funzionanti: Le sinapsi sono i punti di contatto dove i neuroni comunicano. Nei topolini malati, queste connessioni erano ridotte. Il TPPU aiutava a preservare sia le strutture pre-sinaptiche (chi manda il messaggio) che post-sinaptiche (chi riceve il messaggio).
La cosa interessante è emersa dagli esperimenti sui neuroni umani derivati da iPSC. Questi neuroni, che esprimevano una forma mutante di Tau (P301S, la stessa dei topolini PS19), mostravano meno connessioni sinaptiche rispetto ai neuroni sani. Trattandoli con TPPU, la densità delle sinapsi aumentava! E questo succedeva indipendentemente dalla quantità di Tau aggregata presente nei neuroni. Questo suggerisce che bloccare l’sEH ha un effetto neuroprotettivo diretto sui neuroni, aiutandoli a mantenere le loro connessioni vitali anche in presenza della proteina Tau “malata”.
Non Solo Neuroni: Anche le Microglia Tornano in Sé
Ma non è finita qui! Ricordate le microglia, le cellule immunitarie del cervello che diventavano iperattive? Bene, l’inibizione dell’sEH ha avuto un impatto notevole anche su di loro.
- Meno infiammazione: I livelli di marcatori infiammatori (come Iba1, GFAP, COX2) erano più alti nei topolini PS19 non trattati, ma si riducevano significativamente con il TPPU.
- Microglia meno “arrabbiate”: Al microscopio, le microglia dei topolini malati apparivano “gonfie” e con meno ramificazioni, un segno di attivazione cronica. Il TPPU le faceva tornare a una forma più “calma” e ramificata, tipica dello stato di riposo o sorveglianza.
- Riprogrammazione cellulare: L’analisi snRNA-seq ha svelato qualcosa di affascinante. Nei topolini PS19, molte microglia si trasformavano in stati associati alla malattia (DAM – Disease-Associated Microglia) o che rispondevano a segnali di tipo interferonico (IFN). Questi stati, sebbene forse utili all’inizio, a lungo andare contribuiscono al danno. Il TPPU riduceva drasticamente le microglia in questi stati DAM e IFN, favorendo il ritorno a uno stato più “normale” o omeostatico (HM – Homeostatic Microglia).
E come fa l’inibizione dell’sEH a influenzare le microglia, visto che queste cellule non sembrano produrre l’enzima sEH? Qui entrano in gioco gli EETs, i nostri “pompieri” anti-infiammatori. Bloccando sEH (che è presente in altre cellule, come i neuroni o le cellule vascolari), aumentano i livelli di EETs che possono poi agire sulle microglia. E cosa fanno gli EETs alle microglia? Gli esperimenti su culture cellulari hanno mostrato che aggiungendo EETs alle microglia, queste diventavano più brave a… mangiare la Tau! Sì, avete capito bene. Le microglia trattate con EETs erano più efficienti nel fagocitare (inglobare) e degradare gli aggregati di Tau PFF (pre-formed fibrils, usati per mimare i grovigli).

Un Doppio Colpo Vincente: Proteggere i Neuroni e Calmare l’Infiammazione
Ecco la bellezza di questa strategia: bloccare l’enzima sEH sembra agire su due fronti contemporaneamente.
- Azione diretta sui neuroni: Migliora la salute delle sinapsi e protegge i neuroni dalla degenerazione, in modo apparentemente indipendente dalla presenza di Tau aggregata all’interno della cellula.
- Azione indiretta sulle microglia (tramite aumento degli EETs): Riduce l’attivazione infiammatoria dannosa e potenzia la loro capacità di ripulire gli aggregati tossici di Tau dall’ambiente extracellulare.
Questo doppio meccanismo d’azione è potentissimo perché affronta sia il danno neuronale diretto sia l’ambiente infiammatorio che lo alimenta e lo propaga.
Verso Nuove Terapie?
Quindi, cosa significa tutto questo? Significa che abbiamo identificato un nuovo potenziale bersaglio terapeutico, l’enzima sEH, per combattere non solo l’Alzheimer ma anche altre tauopatie. L’idea di usare inibitori dell’sEH è attraente perché:
- Agiscono su più meccanismi patologici contemporaneamente (neuroprotezione + anti-infiammazione + potenziale clearance di Tau).
- Esistono già composti inibitori dell’sEH (come il TPPU usato nello studio, o suoi derivati come EC2056 che è in fase di studio clinico) che sembrano avere un buon profilo di sicurezza.
- Ci sono anche traccianti PET specifici per l’sEH, che potrebbero permettere di visualizzare l’attività di questo enzima nel cervello dei pazienti e monitorare l’efficacia di eventuali terapie.
Certo, siamo ancora nel campo della ricerca preclinica sui modelli animali, e la strada verso una terapia per l’uomo è sempre lunga e complessa. Bisognerà capire meglio quali sono i bersagli esatti degli EETs nei neuroni, se ci sono effetti simili in altre aree del cervello oltre all’ippocampo, e quanto contribuiscono gli effetti dell’inibizione dell’sEH a livello periferico (ad esempio nel fegato o nei vasi sanguigni).
Però, è innegabile che questi risultati siano entusiasmanti. Aver trovato un modo per potenziare le difese naturali del nostro cervello (gli EETs) semplicemente bloccando l’enzima che li distrugge (sEH), e vedere che questo ha effetti benefici sia sui neuroni che sulle microglia in un contesto di tauopatia, apre davvero una nuova, promettente via nella lotta contro queste devastanti malattie. Incrociamo le dita!
Fonte: Springer
