Immagine fotorealistica che simboleggia la scelta tra insegnamento tradizionale e digitale per l'inglese prescolare: a sinistra, una lavagna scolastica con disegni infantili colorati e lettere magnetiche; a destra, uno schermo luminoso di tablet con un'interfaccia di app educativa per bambini. Le due metà sono divise ma idealmente collegate. Stile pulito, illuminazione bilanciata, obiettivo 50mm, profondità di campo media.

Inglese all’Asilo: Meglio la Maestra o l’App? Facciamo Chiarezza

Introduzione: Il Dilemma dell’Inglese per i Più Piccoli

Parliamoci chiaro: chi di noi, genitore o educatore, non si è posto il problema di come introdurre l’inglese ai bambini fin da piccolissimi? Viviamo in un mondo sempre più connesso e l’idea di dare ai nostri figli una marcia in più con una seconda lingua fin dall’asilo è davvero allettante. Ma qui sorge il dilemma: affidarsi alla professionalità e al calore umano di una maestra in carne ed ossa, spesso però a costi non proprio popolari, oppure cedere al fascino delle mille app colorate e interattive, decisamente più accessibili ma… saranno davvero efficaci allo stesso modo?

Recentemente mi sono imbattuto in uno studio molto interessante pubblicato su Springer che ha messo a confronto proprio questi due mondi: l’insegnamento dell’inglese in classe, con maestre dedicate, e quello mediato dalle app, sempre più diffuse soprattutto in contesti come la Cina, dove l’inglese nelle scuole dell’infanzia pubbliche è stato addirittura vietato, rendendo le alternative private un lusso per pochi. Questo studio ha analizzato interviste a insegnanti e i messaggi promozionali di alcune app popolarissime, cercando di capire come viene “raccontato” e strutturato l’insegnamento nei due casi. E le differenze, vi assicuro, ci sono e fanno riflettere.

Il Tocco della Maestra: Professionalità e Cuore

Dalle interviste emerge un quadro chiaro: l’insegnamento in classe punta tutto sulla professionalità. Le maestre (spesso laureate in educazione o lingue) non si limitano a seguire un programma, ma lo adattano, lo personalizzano in base ai bambini che hanno davanti. C’è una grande attenzione alla rispondenza ai bisogni individuali: se un bambino mostra interesse per le piante, l’insegnante può creare un angolo a tema; se un gruppo fa fatica con certi suoni, si lavora di più su quelli. L’approccio è reciproco, personalizzabile e molto fisico (embodied, dicono gli esperti). Pensate alle canzoncine personalizzate con i nomi dei bambini, ai giochi di movimento (il famoso Total Physical Response o TPR), all’uso di materiali concreti, magari creati insieme ai piccoli o portati da casa.

L’ambiente stesso della classe parla: è spesso “print-rich”, pieno di scritte bilingui, lavori dei bambini appesi (e non solo quelli “perfetti”!), materiali multisensoriali. Si cerca di creare un contesto comunicativo reale, incoraggiando l’uso dell’inglese anche nelle routine quotidiane. Insomma, un approccio che mette al centro il bambino, le sue emozioni, i suoi tempi, le sue intelligenze multiple (come ricordava un insegnante citando Gardner). Il “contro”? Beh, come accennato, spesso tutto questo ha un costo elevato, rendendolo un privilegio non per tutti.

Fotografia realistica di una maestra d'asilo sorridente che interagisce con un piccolo gruppo di bambini diversi in un'aula colorata e ricca di materiali didattici bilingui (inglese/italiano). Luce naturale dalla finestra. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo ridotta per mettere a fuoco l'interazione.

L’App alla Riscossa: Accessibilità e… Compromessi?

E le app? Qui la musica cambia. Il loro cavallo di battaglia è senza dubbio l’accessibilità e l’economicità. Con costi irrisori rispetto alle rette delle scuole private (alcune sono addirittura gratuite come Khan Academy Kids, una delle app analizzate insieme a iHuman ABC), aprono le porte dell’inglese a molte più famiglie. Un altro punto forte è il coinvolgimento dei genitori: le app spesso forniscono report sui progressi, impostazioni personalizzabili (livello, tempo di utilizzo) e danno ai genitori un ruolo attivo nel monitorare e gestire l’apprendimento. C’è più trasparenza su cosa viene insegnato.

Ma ci sono anche dei “ma”. Lo studio solleva dubbi sulla professionalità: chi progetta queste app? Spesso i team vantano programmatori, grafici, magari esperti di apprendimento generico, ma non sempre specialisti nell’insegnamento dell’inglese come lingua straniera (EFL) ai bambini piccoli. L’approccio tende ad essere più standardizzato e unilaterale. Le attività sono pre-progettate, multimediali e coinvolgenti (giochi, video, canzoni), ma difficilmente personalizzabili sugli interessi specifici del bambino o sul suo stile di apprendimento. Il feedback è generico (“Amazing!”, “Try again!”) e manca l’interazione umana, la possibilità di fare domande, di discutere. L’apprendimento è più disembodied, confinato allo schermo, a meno che un genitore non intervenga attivamente per collegarlo al mondo reale.

Maestra vs App: Mettiamo a Confronto i Protagonisti

Se volessimo schematizzare usando le lenti dello studio (che analizza partecipanti, azioni, tempi, spazi e risorse), vedremmo queste differenze chiave:

  • Partecipanti: In classe, l’insegnante è il regista principale, spesso supportato da assistenti e dalla dinamica del gruppo classe. Nelle app, il bambino è visto come “studente indipendente”, mentre il genitore diventa il “manager” dell’apprendimento. I progettisti dell’app sono figure chiave ma “dietro le quinte” e non sempre con background specifico in EFL per l’infanzia.
  • Azioni: Le attività in classe sono più flessibili, interattive, fisiche e adattate al momento. Quelle delle app sono più strutturate, ripetitive (il che può essere utile per la memorizzazione), basate su interazioni con lo schermo e meno personalizzabili in tempo reale.
  • Tempi: La classe segue orari e routine, con lezioni di durata variabile ma definita e sequenze didattiche pensate (riscaldamento, attività centrale, ripasso, saluti). Le app suggeriscono tempi brevi (15-20 min al giorno), percorsi spesso fissi (come l’ordine A-Z, non sempre pedagogicamente ideale) o algoritmici, e a volte mancano momenti importanti come il ripasso strutturato o i rituali di inizio/fine.
  • Spazi: La classe è uno spazio fisico ricco di stimoli linguistici e creativi, dove si espongono i progressi reali dei bambini. Lo spazio dell’app è virtuale, spesso con sistemi di ricompense (oggetti digitali da collezionare) che motivano ma sono slegati dai contenuti didattici (un’auto sportiva dopo la lezione sugli animali?).
  • Risorse: Le maestre usano un mix di risorse digitali e non digitali (libri, flashcard, oggetti reali, materiali di riciclo), scelte per essere comprensibili, coinvolgenti e vicine alla vita dei bambini. Le app si basano quasi esclusivamente su risorse multimediali interne, promuovendo l’efficienza e il rapporto costo-beneficio (materiali “gratuiti” per i membri VIP, risultati “paragonabili a tutor privati”).

Macro fotografia di un tablet appoggiato su un tavolo di legno, schermo acceso su un'app colorata per l'apprendimento dell'inglese per bambini. Accanto al tablet, la mano di un genitore che aiuta un bambino piccolo a interagire con lo schermo. Illuminazione controllata, alto dettaglio, obiettivo macro 85mm.

Una Questione di Equità: Opportunità e Sfide Digitali

Qui arriviamo a un punto cruciale. Le app, con la loro economicità, sembrano una manna dal cielo per l’equità educativa (quell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 4 di cui tanto si parla). Possono davvero livellare il campo, dando accesso all’inglese anche a chi non può permettersi costose scuole private? In parte sì, ed è un’opportunità enorme. Ma lo studio ci mette in guardia: l’accessibilità da sola non basta.

C’è il rischio di una “de-professionalizzazione” dell’insegnamento, affidato a strumenti standardizzati. E poi c’è la questione delle conoscenze genitoriali. Alcune app, come Khan Academy Kids con la sua “Library” esplorabile, presuppongono che il genitore sappia guidare il bambino in un percorso sensato, magari scegliendo l’ordine giusto per imparare i suoni delle lettere (fonetica). Altre, come iHuman, sono più “blindate” ma richiedono comunque al genitore di valutare il livello iniziale del figlio. Questo significa che l’efficacia dell’app dipende anche da quanto il genitore è informato e presente. Se l’app richiede troppe competenze specifiche ai genitori, rischia di non essere così equa come sembra, specialmente in contesti dove il supporto educativo è limitato.

Trovare l’Equilibrio: Come Sfruttare il Meglio dei Due Mondi

Quindi, buttiamo via le app? Assolutamente no. L’insegnamento digitale non è intrinsecamente inferiore. La chiave, come sempre, sta nel trovare un equilibrio e nell’usare la tecnologia in modo consapevole. Lo studio suggerisce due strade principali:

  • Per genitori ed educatori: Non lasciare i bambini da soli con l’app. Possiamo fare da “ponte”, fornendo quel supporto umano che l’app non dà. Anche se non siamo C1 in inglese, possiamo sederci accanto a loro, mostrare interesse (joint attention), ripetere parole, fare domande nella nostra lingua, collegare l’attività digitale a oggetti reali, cantare insieme. Le maestre, dal canto loro, possono integrare le app in classe in modo mirato, usandole come uno strumento tra tanti, magari per attività specifiche o per differenziare il lavoro.
  • Per gli sviluppatori di app: Dovrebbero smetterla di vendere le app solo come strumenti per l'”auto-apprendimento” indipendente, puntando tutto su metriche quantitative. Sarebbe importante fornire più guida ai genitori su come supportare attivamente i figli, su come valutare i progressi in modo qualitativo, su come integrare l’app in un’esperienza di apprendimento più ampia e giocosa, in linea con le buone pratiche della pedagogia dell’infanzia. Coinvolgere i genitori come partner attivi, non solo come consumatori o supervisori.

Tiriamo le Somme: Non è Tutto Bianco o Nero

Alla fine della fiera, la scelta tra maestra e app non è una gara a chi è “meglio” in assoluto. L’insegnamento in classe offre una profondità, una personalizzazione e un calore umano insostituibili, ma ha limiti di accessibilità. Le app democratizzano l’apprendimento, lo rendono più flessibile e trasparente, ma rischiano di essere standardizzate, meno responsive e richiedono un coinvolgimento genitoriale consapevole.

La vera sfida è capire come combinare il meglio dei due mondi. Come possiamo usare la tecnologia per ampliare l’accesso a un apprendimento di qualità, senza perdere di vista l’importanza dell’interazione umana, dell’empatia e dell’adattamento ai bisogni unici di ogni bambino? Forse la risposta non è scegliere l’uno o l’altro, ma imparare a farli dialogare in modo intelligente. Perché l’inglese è importante, ma come lo si impara, soprattutto da piccoli, lo è ancora di più.

Fonte: Springer

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