Metastasi Ossee: Essere Informati Cambia Tutto nel Percorso di Cura
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento delicato ma fondamentale per chi affronta un percorso oncologico: le metastasi ossee e le loro complicanze. Spesso, quando pensiamo al cancro, ci concentriamo sul tumore primario, ma è cruciale capire cosa succede quando la malattia si diffonde, in particolare alle ossa. Perché? Perché essere informati e coinvolti attivamente nel proprio percorso di cura può fare davvero la differenza.
Immaginate le ossa come l’impalcatura del nostro corpo. Forti, resistenti, ma non invincibili. Purtroppo, alcuni tipi di tumore, come quelli al seno e alla prostata (dove colpiscono fino al 70% dei pazienti) o al polmone (oltre il 30%), hanno una certa “predilezione” a diffondersi proprio lì. E quando questo accade, parliamo di metastasi ossee.
Ma cosa comportano queste metastasi?
Il sintomo più comune è il dolore osseo, localizzato proprio dove si è insediata la metastasi. Ma non è tutto. Le metastasi ossee aumentano il rischio di quelle che noi medici chiamiamo “complicanze scheletriche”. Un termine un po’ tecnico che racchiude problemi molto concreti:
- Fratture ossee (le ossa diventano più fragili)
- Compressione del midollo spinale (con possibili conseguenze neurologiche)
- Ipercalcemia (troppo calcio nel sangue, che può dare vari disturbi)
- Necessità di radioterapia o interventi chirurgici sull’osso
Queste complicanze, capite bene, non solo peggiorano la qualità della vita, ma possono anche influire sulla sopravvivenza. Pensate che studi clinici hanno mostrato incidenze cumulative di eventi scheletrici a 2 anni che arrivano al 68% nelle pazienti con cancro al seno e al 49% in quelli con cancro alla prostata. Insomma, non è un problema da sottovalutare.
L’importanza di sapere: cosa dice la ricerca?
Fortunatamente, abbiamo armi per combattere e prevenire queste complicanze. Farmaci come pamidronato, acido zoledronico e denosumab sono efficaci nel ridurre e ritardare gli eventi scheletrici. Ma qui sorge una domanda: i pazienti sanno di queste possibilità? Sono informati sulla loro condizione, sui rischi e sulle terapie disponibili?
Per rispondere a questa domanda, noi di ROPI (Rete Oncologica Pazienti Italia) abbiamo condotto un’indagine, il progetto ENGAGE. Abbiamo distribuito un questionario anonimo a pazienti con metastasi ossee da tumori solidi in tutta Italia, tra febbraio e agosto 2022. Volevamo capire proprio questo: quanto ne sanno i pazienti? Chi li informa? E quanto aderiscono alle terapie specifiche e ai controlli necessari?
I risultati, basati su 351 questionari validi, sono stati davvero interessanti e, per certi versi, confortanti.
Pazienti informati e desiderosi di partecipare
La prima buona notizia è che il 75% dei pazienti si sente “abbastanza/molto” informato sulle metastasi ossee e l’82% dichiara di aver compreso “abbastanza/bene” le informazioni ricevute. E chi è la fonte principale di queste informazioni? L’oncologo, nel 92% dei casi. Seguono il medico di base (32%) e, soprattutto per i più giovani (18-39 anni), internet (usato dal 67% di loro, contro il 20% degli over 60). Questa differenza per età è significativa (p=0.0044) e ci dice che dobbiamo pensare a canali informativi diversificati.
Anche riguardo alle complicanze scheletriche, il 72% dei pazienti ha ricevuto informazioni, principalmente dall’oncologo (85%), ma anche qui internet gioca un ruolo importante per i giovani (47% vs 20% degli over 60).
Ma l’aspetto forse più bello è che l’89% dei pazienti desidera essere coinvolto nel proprio percorso di cura e l’85% fa domande al medico per capire meglio. C’è attenzione (83% si dichiara “abbastanza/molto” attento al problema) e anche preoccupazione (il 72% si dice “abbastanza preoccupato/molto preoccupato/ansioso”), soprattutto tra i pazienti più giovani e quelli con tumore al seno.
Aderenza alle terapie: un quadro positivo
Questa consapevolezza si traduce in una buona aderenza alle cure? Sembrerebbe di sì!
- Terapia specifica per le ossa: L’82% dei pazienti riceveva una terapia specifica (denosumab nel 49% dei casi, acido zoledronico nel 47%). È interessante notare che denosumab è più usato nei giovani (83% tra 18-39 anni) e nel tumore al seno (55%), mentre l’acido zoledronico prevale negli over 60 (54%) e nel tumore alla prostata (65%).
- Controlli dentistici: Qui i dati sono eccellenti! Il 93% dei pazienti ha fatto una valutazione dentistica (con ortopanoramica) prima di iniziare la terapia. Questo è fondamentale per prevenire un effetto collaterale raro ma serio chiamato osteonecrosi della mandibola. E durante la terapia? Il 72% ha effettuato controlli periodici (soprattutto i più giovani, 92%, e chi assumeva denosumab, 85%). La cosa incredibile? Le complicanze dentali sono state riportate solo dallo 0.3% dei pazienti che avevano fatto la valutazione iniziale! E abbiamo visto una forte associazione: ricevere informazioni sui controlli periodici aumenta significativamente la probabilità di farli (p<0.001). L'informazione, quindi, guida l'azione!
- Vitamina D e Calcio: L’83% dei pazienti assumeva correttamente la supplementazione orale, raccomandata durante queste terapie, con percentuali più alte tra i giovani (92%) e chi assumeva denosumab (96%).
Le complicanze esistono, ma si gestiscono
Nonostante le terapie e i controlli, quasi la metà dei pazienti (47%) ha comunque sperimentato complicanze scheletriche. La più frequente è stata la necessità di radioterapia sulle metastasi ossee (94% di chi ha avuto complicanze), seguita da fratture patologiche (23%), chirurgia ossea (11%) e compressione midollare (6%). Il dolore osseo è stato riportato dal 51% dei pazienti, ma la maggioranza (71%) ha dichiarato di aver tratto “abbastanza/molto beneficio” dalla terapia specifica per le ossa proprio sul sintomo dolore.
L’impatto (limitato) del COVID-19
Abbiamo anche chiesto se la pandemia avesse influito sul percorso di cura per le metastasi ossee. Il 75% ha risposto di no. Per il restante 25%, il problema principale è stato un ritardo nelle visite oncologiche, ma senza compromettere la terapia. L’impatto è stato leggermente maggiore nel Centro e Sud Italia rispetto al Nord.
Cosa ci portiamo a casa?
Questa indagine ci lascia un messaggio potente: l’informazione funziona. I pazienti italiani con metastasi ossee sembrano essere in gran parte ben informati, principalmente grazie ai loro oncologi. Questa informazione si traduce in una maggiore consapevolezza e, soprattutto, in un’ottima aderenza a terapie e controlli fondamentali, come quelli dentistici pre-terapia.
Certo, ci sono margini di miglioramento, soprattutto nel raggiungere tutti con i canali giusti (pensiamo ai diversi usi di internet tra giovani e meno giovani) e nel garantire l’aderenza ai controlli dentistici *durante* la terapia per tutti i sottogruppi di pazienti. Ma la base è solida.
Sapere cosa sta succedendo al proprio corpo, conoscere le opzioni terapeutiche e i controlli necessari, sentirsi parte attiva del processo decisionale: tutto questo non solo migliora l’aderenza, ma può concretamente ridurre il rischio di complicanze, migliorare la qualità della vita e, potenzialmente, anche la sopravvivenza. È la dimostrazione che un paziente informato è un paziente più forte. E questo, nel percorso oncologico, è un valore inestimabile.
Fonte: Springer