Immagine fotorealistica di una sezione trasversale di una piattaforma di ghiaccio antartica nella zona di ancoraggio. Si vedono chiaramente gli strati di ghiaccio che si inclinano progressivamente con la profondità, passando da orizzontali a molto inclinati. Obiettivo per paesaggi, 20mm, luce diffusa per dettaglio uniforme, messa a fuoco nitida su tutta la sezione.

Ghiaccio Sotto Esame: Il Segreto Nascosto nella Zona di Ancoraggio delle Piattaforme Antartiche

Ciao a tutti, appassionati di scienza e misteri del nostro pianeta! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio virtuale tra i ghiacci perenni dell’Antartide, un luogo tanto affascinante quanto cruciale per gli equilibri climatici globali. Parleremo di piattaforme di ghiaccio, quelle enormi lingue di ghiaccio che si protendono dalla terraferma sull’oceano, e di una scoperta che ci sta aiutando a capirne meglio la struttura interna, soprattutto in un punto nevralgico: la zona di ancoraggio (o grounding zone, se preferite il termine tecnico). È qui che il ghiacciaio smette di poggiare sul fondale roccioso e inizia a galleggiare. Capire cosa succede lì sotto è fondamentale, perché queste piattaforme agiscono come dei veri e propri “tappi” che frenano la corsa dei ghiacciai continentali verso il mare. Se si indeboliscono o collassano, come purtroppo abbiamo visto con Larsen A nel 1995 e Larsen B nel 2002, il flusso di ghiaccio verso l’oceano accelera, contribuendo all’innalzamento del livello del mare.

Un’occhiata più da vicino: i carotaggi nella Piattaforma Larsen C

Per anni, abbiamo studiato queste strutture principalmente con radar da aereo o dalla superficie. Questi strumenti sono fantastici per darci un’idea generale, identificando, ad esempio, il ghiaccio marino che si accumula alla base della piattaforma, il ghiaccio meteorico continentale sovrastante (quello che arriva dalla terraferma) e, ancora più in alto, il ghiaccio meteorico formatosi direttamente sulla piattaforma. Tuttavia, i dettagli più fini della struttura interna rimanevano spesso un mistero.

Ecco perché, armati di trivelle ad acqua calda, ci siamo spinti sulla Piattaforma di Ghiaccio Larsen C, nella Penisola Antartica. Abbiamo perforato il ghiaccio in due punti specifici, chiamati JP-21 (nella zona di sutura della Penisola Joerg) e SI-47 (nel ghiaccio meteorico dell’Insenatura Solberg), raggiungendo circa metà dello spessore della piattaforma. Una volta creati i fori, abbiamo calato uno strumento pazzesco: il televiewer ottico. Immaginatelo come una telecamera super sofisticata che scatta immagini a colori ad altissima risoluzione dell’intera parete del foro, permettendoci di vedere ogni singolo strato di ghiaccio, anche quelli spessi pochi centimetri! Abbiamo analizzato la bellezza di 2764 strati!

La scoperta di un’unità di ghiaccio intermedia: l’Unità 2

Analizzando le immagini, abbiamo identificato diverse “unità” di ghiaccio, basandoci sulle loro caratteristiche fisiche. Nella parte più superficiale, fino a circa 80-100 metri di profondità (a seconda del sito), abbiamo trovato quella che chiamiamo Unità 1: ghiaccio meteorico formatosi in situ, con strati quasi orizzontali, come una torta ben fatta. Scendendo più in profondità, in entrambi i siti di perforazione, abbiamo incontrato l’Unità 4, formata da ghiaccio meteorico continentale, proveniente dai ghiacciai interni. Qui gli strati sono molto inclinati e presentano tracce di crepacci, testimonianza delle enormi sollecitazioni subite dal ghiaccio mentre si muoveva sulla terraferma.

Ma la vera sorpresa è stata trovare, tra queste due, un’unità di ghiaccio che non ci aspettavamo, e che abbiamo battezzato Unità 2. Questa si trova proprio sopra l’Unità 4 e sotto l’Unità 1. È spessa decine di metri ed è caratterizzata da strati che, partendo dalla base dell’unità (a contatto con l’Unità 4), diventano progressivamente meno inclinati man mano che si sale verso la superficie, fino a diventare quasi orizzontali al contatto con l’Unità 1. L’inclinazione degli strati in questa Unità 2 può variare anche di 60 gradi! È come se gli strati facessero un profondo inchino per poi raddrizzarsi.

Immagine fotorealistica di una trivellazione scientifica su una piattaforma di ghiaccio antartica. In primo piano, la testa di una trivella ad acqua calda che emerge da un foro nel ghiaccio, con vapore che si alza. Sullo sfondo, un paesaggio glaciale vasto e desolato sotto un cielo polare. Obiettivo grandangolare, 18mm, per catturare l'ampiezza della scena, con messa a fuoco nitida sulla trivella e dettagli precisi del ghiaccio circostante.

Abbiamo anche rianalizzato dati di vecchi carotaggi effettuati più a nord sulla Larsen C (CI-27 e WI-28) e, indovinate un po’? Anche lì, nonostante la maggiore complessità dovuta alla fusione e ricongelamento superficiale, abbiamo trovato una struttura simile, con un’Unità 2 che mostra lo stesso comportamento.

Come si forma l’Unità 2? Un’ipotesi affascinante

Ma come si origina questa misteriosa Unità 2? La sua posizione stratigrafica e la profondità, supportate da modelli di flusso del ghiaccio, ci dicono che si forma proprio nella zona di ancoraggio. La nostra ipotesi è che sia il risultato di due processi combinati:

  • Variazioni nell’accumulo superficiale: Quando il ghiacciaio terrestre, con la sua superficie inclinata, raggiunge la zona di ancoraggio e inizia a galleggiare, la pendenza della sua superficie cambia drasticamente, diventando quasi orizzontale. Immaginate la neve che si accumula su questo pendio che si “appiattisce”: i primi strati si depositeranno seguendo l’inclinazione iniziale ripida, mentre quelli successivi si adageranno su una superficie via via meno inclinata.
  • Deformazione intensa: Il passaggio da ghiaccio appoggiato a terra a ghiaccio galleggiante comporta enormi stress e deformazioni. Questo “stiramento” e “compressione” del ghiaccio contribuisce a modificare l’orientamento degli strati.

Pensate a un mazzo di carte: se lo piegate, le carte più interne si inclineranno di più rispetto a quelle esterne. Qualcosa di simile, ma su scala gigantesca e nel corso di decenni o secoli, accade al ghiaccio. In alcuni casi, come nel sito SI-47, abbiamo notato che alcuni strati nell’Unità 2 hanno un’orientamento (strike) ruotato di quasi 180 gradi rispetto alla maggioranza. Ipotizziamo, con cautela, che queste possano essere fratture che si aprono perpendicolarmente alla stratificazione principale, dove la compressione longitudinale è così intensa da piegare e rompere gli strati superficiali del ghiaccio mentre entra nella piattaforma.

L’Unità 3: un caso particolare

Nel sito JP-21, abbiamo trovato anche un’altra piccola unità, l’Unità 3, di circa 6 metri di spessore, incastrata tra l’Unità 2 e l’Unità 4. Questa ha strati con la stessa orientazione dell’Unità 4 ma meno inclinati, e sembra essere un blocco di ghiaccio continentale che si è staccato e inclinato mentre si univa alla parte galleggiante della piattaforma. Curiosamente, proprio alla base di questa Unità 3 (a 99 metri di profondità), le immagini del televiewer ottico diventavano molto scure. Un video log successivo ha rivelato la presenza di un denso strato di “ghiaccio a piastrine” (platelet ice) nell’acqua del foro a quella profondità. Questo tipo di ghiaccio si forma quando acqua marina super-raffreddata congela. La sua presenza suggerisce che, forse, l’infiltrazione di acqua marina e il suo successivo congelamento potrebbero avvenire proprio in queste zone di frattura o distacco di blocchi nella zona di ancoraggio.

Implicazioni per lo studio delle piattaforme glaciali

E qui viene il bello! Abbiamo confrontato i nostri dati dei carotaggi con i profili ottenuti tramite radar geologico (GPR) che passavano proprio sopra il sito SI-47. Cosa abbiamo notato? Che la coerenza laterale dei segnali radar, ben visibile negli strati orizzontali dell’Unità 1, si perdeva drasticamente proprio all’inizio dell’Unità 2, dove gli strati iniziano a inclinarsi significativamente (oltre i 20°). Questo significa che l’Unità 2, con i suoi strati inclinati, “disturba” il segnale radar, rendendo difficile vedere cosa c’è sotto con le configurazioni radar standard.

Questa “perdita di chiarezza” del segnale radar, osservata anche in altre piattaforme antartiche come la Brunt Ice Shelf, potrebbe quindi essere utilizzata come un marcatore interno per identificare la profondità del ghiaccio formatosi nella zona di ancoraggio su tutte le piattaforme glaciali! Se così fosse, avremmo uno strumento in più per capire quanta parte della piattaforma è ghiaccio “locale” e quanta è ghiaccio “importato” dalla terraferma.
Profilo radar geologico (radargramma) di una sezione di piattaforma di ghiaccio. Nella parte superiore, strati riflettenti orizzontali e continui. A una certa profondità, questi strati diventano confusi, inclinati e perdono continuità laterale. Obiettivo per paesaggi, 24mm, per visualizzare un'ampia sezione, con colori falsi per evidenziare le riflessioni radar, messa a fuoco nitida.
Certo, questa perdita di segnale significa anche che analizzare la struttura interna dell’Unità 2 e del ghiaccio continentale sottostante con i radar tradizionali è complicato. Per il futuro, dovremo pensare a modalità di acquisizione dati radar alternative, magari con antenne configurate diversamente o tecniche di riflessione ad ampio angolo.

La nostra scoperta che il confine tra ghiaccio continentale e ghiaccio formatosi in situ non è netto, ma è una transizione progressiva che avviene su decine di metri (la nostra Unità 2), ha implicazioni importanti per la meccanica delle piattaforme glaciali. Comprendere nel dettaglio le proprietà fisiche di questa unità di transizione richiederà ulteriori campionamenti e analisi, ma è un passo avanti entusiasmante.

Insomma, quello che sembrava un semplice confine si è rivelato una zona complessa e dinamica, con una sua “personalità” strutturale. Ogni nuova scoperta ci aiuta a comporre il puzzle di come funzionano questi giganti di ghiaccio e, soprattutto, di come potrebbero rispondere ai cambiamenti climatici in atto. È un lavoro da detective, dove ogni strato di ghiaccio ha una storia da raccontare, e noi siamo qui per ascoltarla!

Fonte: Springer

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