Rocce Instabili: Sveliamo Come Spessore e Inclinazione degli Strati Deboli Decidono il Loro Destino
Ciao a tutti gli appassionati di geologia e ingegneria! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel cuore delle nostre montagne e del sottosuolo, per parlare di un problema tanto comune quanto insidioso: la stabilità degli ammassi rocciosi che contengono degli strati intermedi debolmente cementati. Avete presente quelle sottili “fette” di materiale meno resistente incastonate tra rocce più dure? Ecco, proprio quelle.
Ogni anno, quando scaviamo nuovi tunnel, apriamo miniere o lavoriamo sulla stabilità dei pendii, ci imbattiamo in queste formazioni. E lasciatemi dire che possono essere una vera spina nel fianco! Questi strati deboli, se sollecitati, possono cedere, causando instabilità, crolli e mettendo a rischio strutture e persone. Capire come si comportano è fondamentale per prevenire disastri.
Per questo motivo, mi sono immerso (virtualmente, s’intende!) in uno studio approfondito per capire esattamente come due fattori chiave – lo spessore di questi strati e la loro inclinazione – influenzino il modo in cui la roccia si frattura e come l’energia si accumula e si dissipa durante questo processo. È un po’ come cercare di capire perché una pila di libri scivola più facilmente se è inclinata o se tra un libro e l’altro c’è un foglio di carta più o meno spesso.
Il nostro “laboratorio” virtuale: come abbiamo indagato
Ricreare queste condizioni in laboratorio con campioni reali è complicato. Quindi, abbiamo optato per la potenza della simulazione numerica, usando un metodo chiamato Discrete Element Method (DEM) con il software UDEC. Abbiamo progettato ben 25 scenari diversi, giocando con cinque diversi spessori (da 4 mm a 12 mm) e cinque diverse inclinazioni (da 0°, cioè orizzontale, fino a 60°) per i nostri strati deboli.
Per assicurarci che le nostre simulazioni fossero il più realistiche possibile, abbiamo prima “calibrato” i parametri del modello basandoci sui risultati di test reali fatti con una macchina di prova universale su rocce simili, sia quelle dure che quelle più tenere dello strato intermedio. Poi, abbiamo sviluppato un piccolo programma (in linguaggio Fish, per i più tecnici) che ci permettesse di “spiare” cosa succedeva dentro il nostro campione virtuale durante una prova di compressione uniassiale (come schiacciare la roccia da sopra e sotto): quante crepe si formavano, se erano crepe da tensione (la roccia si “strappa”) o da taglio (la roccia “scivola”), e come l’energia (elastica accumulata, quella spesa per le crepe da tensione e quella per le crepe da taglio) evolveva nel tempo.
L’obiettivo? Capire la connessione tra la forma delle fratture principali, il numero e il tipo di crepe, e l’accumulo/dissipazione di energia, e come tutto questo cambia al variare di spessore e inclinazione dello strato debole.
L’angolo fa la differenza: cosa succede quando incliniamo lo strato?
I risultati sono stati illuminanti! Tenendo fisso lo spessore dello strato debole, abbiamo visto che aumentando l’inclinazione da 0° a 60°, la resistenza del nostro campione di roccia diminuiva drasticamente, parliamo di un calo tra il 38% e il 40%! Immaginate: una roccia quasi dimezzata nella sua capacità di sopportare un carico solo perché quello strato interno è più inclinato.
L’energia elastica accumulata nel campione prima della rottura segue a ruota la resistenza: più la roccia è resistente, più energia riesce ad immagazzinare prima di cedere. Quindi, con inclinazioni maggiori, anche l’energia accumulata è minore.
Un dettaglio interessante riguarda le crepe: per inclinazioni fino a 45° (0°, 15°, 30°, 45°), il numero di crepe da taglio e l’energia associata a questo tipo di rottura non cambiavano in modo significativo. Ma attenzione! Quando l’inclinazione raggiungeva i 60°, le cose cambiavano di colpo. Rispetto ai campioni con inclinazione a 45°, quelli a 60° mostravano una riduzione notevole sia nel numero di crepe da taglio (dal 24% al 48% in meno) sia nell’energia di taglio (dal 35% al 50% in meno). Questo suggerisce che a inclinazioni molto elevate, il meccanismo di rottura cambia, diventando forse più “fragile” o localizzato lungo lo strato stesso.

Questione di spessore: più è grosso, più è debole?
E se invece teniamo fissa l’inclinazione e cambiamo lo spessore dello strato debole? Anche qui, le sorprese non mancano. Aumentando lo spessore da 4 mm a 12 mm, la resistenza del campione diminuiva, ma in modo meno marcato rispetto all’effetto dell’inclinazione, con riduzioni che andavano dal 6.5% al 22% circa. Quindi, sì, uno strato debole più spesso rende la roccia complessivamente meno resistente, ma l’angolo con cui è disposto sembra avere un impatto maggiore.
Qui però succede qualcosa di curioso con le crepe e l’energia. Mentre la resistenza cala, il numero totale di crepe da tensione aumentava notevolmente (dal 38% fino al 143% in più!). Allo stesso tempo, però, l’energia associata a queste crepe da tensione diminuiva (dal 13% al 40% in meno). Sembra quasi un controsenso: più crepe, ma meno energia spesa per crearle? Forse indica che le crepe sono più numerose ma meno “importanti” o estese individualmente.
Per quanto riguarda le crepe da taglio e la loro energia, il comportamento era più altalenante, con aumenti e diminuzioni a seconda degli scenari specifici, ma senza un trend chiarissimo come per le crepe da tensione.
Come si rompe? Un’occhiata da vicino alle crepe
Andando a vedere proprio come si rompevano i nostri campioni virtuali, abbiamo notato pattern interessanti.
- Con inclinazioni basse (0°, 15°, 30°), le crepe tendevano a formarsi prima nella roccia dura adiacente allo strato debole, per poi collegarsi e formare una frattura principale più o meno perpendicolare all’inclinazione dello strato.
- Con inclinazioni alte (45°, 60°), invece, le crepe iniziavano spesso proprio all’interno o ai bordi dello strato debole, propagandosi poi attraverso di esso e collegando i due strati (nei nostri modelli ne avevamo due paralleli), portando al collasso.
- Riguardo allo spessore (prendendo ad esempio un’inclinazione fissa di 30°): con strati sottili (4-6 mm), la rottura avveniva spesso lungo un’unica frattura principale obliqua (tipo taglio). Con strati più spessi (8-12 mm), vedevamo comparire prima crepe quasi verticali nella roccia dura tra i due strati deboli, e solo dopo si sviluppavano crepe attorno agli strati deboli stessi, portando al cedimento finale.
Queste osservazioni ci dicono che il modo in cui la roccia “decide” di rompersi dipende intimamente dalla geometria di questi strati interni.

L’energia non mente: accumulo, rilascio e il ruolo dominante del taglio
Analizzare l’energia ci ha dato la conferma definitiva: il vero “cattivo” della storia, nella maggior parte dei casi, è il cedimento per taglio. Sia il numero di crepe da taglio che l’energia di deformazione da taglio erano significativamente maggiori rispetto a quelli da tensione. Questo significa che la roccia tende a “scivolare” lungo piani deboli piuttosto che a “strapparsi”.
L’energia elastica accumulata, come detto, è un buon indicatore della resistenza: più alta è la resistenza, più energia si accumula. Man mano che aumentiamo spessore e inclinazione, questa capacità di accumulo diminuisce.
L’energia da tensione, pur con un numero crescente di crepe all’aumentare dello spessore, diminuiva complessivamente, forse perché l’energia si dissipava più facilmente in micro-fratture meno energetiche.
Ma il dato chiave resta quello del taglio: la sua predominanza e la drastica riduzione di crepe ed energia di taglio a 60° ci dicono che questo è il meccanismo principale da tenere d’occhio, specialmente per strati molto inclinati.
Cosa significa tutto questo per l’ingegneria?
Questi risultati non sono solo curiosità accademiche. Hanno implicazioni pratiche enormi!
- Previsione: Capire come spessore e inclinazione influenzano la rottura ci aiuta a prevedere meglio dove e come un ammasso roccioso potrebbe cedere.
- Progettazione: Se stiamo progettando un tunnel o una fondazione e sappiamo di avere a che fare con strati deboli molto inclinati (sopra i 30-45°, e specialmente a 60°), dobbiamo essere molto più cauti. Forse è meglio evitare quelle zone, se possibile.
- Monitoraggio e Rinforzo: Dove non si può evitare, è cruciale monitorare attentamente deformazioni e spostamenti. E soprattutto, bisogna progettare interventi di rinforzo specifici per contrastare il cedimento per taglio, come l’iniezione di malte cementizie (grouting) per “incollare” lo strato o l’installazione di pali anti-scivolamento.
In conclusione: cosa abbiamo imparato e cosa ci aspetta
Questo studio ci ha mostrato chiaramente che non possiamo ignorare le caratteristiche geometriche degli strati deboli all’interno delle rocce. Spessore e, soprattutto, inclinazione sono fattori decisivi che governano la resistenza, il modo di fratturazione e l’evoluzione energetica dell’ammasso roccioso sotto carico. Il cedimento per taglio è il meccanismo dominante, specialmente pericoloso con inclinazioni elevate.
Certo, questo è uno studio basato su simulazioni. Ci sono ancora tanti aspetti da approfondire: come si comportano questi sistemi sotto carichi ciclici (come quelli sismici)? Cosa succede se c’è acqua che filtra (che di solito indebolisce ulteriormente)? E come influisce la rugosità reale dell’interfaccia tra strato debole e roccia dura? Sono tutte domande aperte per ricerche future, che ci aiuteranno a rendere le nostre costruzioni nel sottosuolo sempre più sicure.
Per ora, spero di avervi trasmesso un po’ della complessità e dell’importanza di studiare questi “punti deboli” nascosti sotto i nostri piedi!
Fonte: Springer
