Infiammazione, Umore e Cervello: Vi racconto cosa abbiamo scoperto sulla battaglia silenziosa nel nostro corpo!
Ehilà, appassionati di scienza e curiosi del benessere! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo della ricerca, un po’ come se fossimo detective alla scoperta dei misteri del nostro corpo e della nostra mente. Parleremo di qualcosa che, magari, non associate subito all’umore o alla capacità di concentrazione: l’infiammazione. Sì, proprio lei, quella reazione del nostro organismo che di solito colleghiamo a un ginocchio sbucciato o a un mal di gola. E se vi dicessi che questa “battaglia” interna potrebbe avere un ruolo anche nei disturbi depressivi, nell’ansia e persino nel modo in cui pensiamo?
Nello studio “Lifelines”, un’enorme indagine condotta nei Paesi Bassi su decine di migliaia di persone, abbiamo cercato di vederci più chiaro. Immaginate un po’: abbiamo seguito un sacco di gente (circa 55.000 persone, per la precisione, con una maggioranza di donne) per quasi quattro anni! L’obiettivo? Capire se ci fosse un legame tra i livelli di alcuni marcatori infiammatori, come la famosa Proteina C Reattiva (CRP), e la presenza di disturbi depressivi e d’ansia, le variazioni dell’umore (il cosiddetto “affect” positivo e negativo) e le nostre capacità cognitive, come l’attenzione, la velocità psicomotoria, la memoria e le funzioni esecutive.
Cosa abbiamo fatto, in parole povere?
Beh, non ci siamo limitati a guardare le analisi del sangue e a fare test psicologici. Siamo andati più a fondo! Abbiamo usato un approccio a più livelli, una specie di “triangolazione” delle prove, per essere più sicuri dei nostri risultati.
- Prima di tutto, le analisi “classiche” (non genetiche): abbiamo misurato la CRP nel sangue dei partecipanti e abbiamo visto se, chi aveva livelli più alti, tendeva anche ad avere più depressione, ansia, umore nero o difficoltà cognitive, sia al momento della misurazione che a distanza di anni.
- Poi, siamo passati alla genetica. Ognuno di noi ha un corredo genetico che può predisporlo ad avere livelli più o meno alti di certe sostanze infiammatorie. Così, abbiamo calcolato dei “punteggi di rischio genetico” (GRS) per l’infiammazione (basati su CRP, Interleuchina-6 o IL-6, il suo recettore IL-6R, e le Glicoproteine Acetilate o GlycA, un altro marcatore interessante) e abbiamo verificato se questi punteggi fossero associati agli stessi problemi di umore e cognizione.
- Infine, la ciliegina sulla torta: la Randomizzazione Mendeliana (MR). È una tecnica statistica molto furba che usa le varianti genetiche come se fossero “esperimenti naturali”. Dato che i geni sono distribuiti casualmente alla nascita, ci possono aiutare a capire se c’è un rapporto di causa-effetto tra l’infiammazione (in questo caso, la CRP) e i nostri esiti di salute mentale, un po’ come si fa negli studi clinici controllati.
L’idea di base è: se metodi diversi, con i loro punti di forza e le loro debolezze, puntano tutti nella stessa direzione, allora possiamo essere un po’ più fiduciosi nelle nostre conclusioni. Se invece i risultati non combaciano, dobbiamo essere più cauti e chiederci perché.
I primi indizi: l’infiammazione “misurabile”
Cosa è emerso dalle analisi non genetiche? Beh, abbiamo visto che livelli più alti di CRP erano effettivamente associati a una diagnosi di disturbo depressivo, a un umore più negativo e meno positivo, e a prestazioni un po’ peggiori in test che misurano le funzioni esecutive, l’attenzione e la velocità psicomotoria. Questo anche dopo aver tenuto conto di altri fattori che potrebbero confondere le acque, come età, sesso, istruzione, indice di massa corporea e stato di salute generale. Certo, bisogna dire che l’entità di queste associazioni era generalmente piccola, ma comunque presente. Pensate, la depressione è una delle principali cause di sofferenza legata alla salute mentale nel mondo, e i problemi cognitivi sono diffusissimi. Capire i meccanismi alla base è fondamentale per trovare nuove cure.
Il verdetto dei geni: cosa ci dicono i GRS?
Quando siamo passati all’analisi dei punteggi di rischio genetico, il quadro si è fatto più specifico.
Il GRS per la CRP è risultato associato a un maggiore rischio di sviluppare un qualsiasi disturbo d’ansia e a un umore più negativo.
Anche il GRS per GlycA (quel marcatore composito dell’infiammazione) è andato nella stessa direzione, associandosi a un umore più negativo e, in questo caso, a un aumentato rischio di disturbo depressivo maggiore.
Interessante, vero? Sembra che una predisposizione genetica a certi tipi di infiammazione possa influenzare il nostro stato emotivo.
Per quanto riguarda le capacità cognitive, i GRS per l’infiammazione in generale non hanno mostrato grandi legami, con un’eccezione: il GRS per il recettore solubile dell’IL-6 (sIL-6R) è stato associato a una peggiore performance di memoria episodica. L’IL-6 è un’altra molecola infiammatoria importante, e il suo recettore solubile gioca un ruolo nel modo in cui questa molecola “comunica” nel corpo. Questo è un dato nuovo e intrigante, perché l’IL-6 è implicata in funzioni cerebrali cruciali per la memoria.
E la causalità? La parola alla Randomizzazione Mendeliana
Qui le cose si fanno un po’ più caute. L’analisi di Randomizzazione Mendeliana, che abbiamo potuto fare solo per la CRP (perché avevamo i dati genetici e i livelli misurati di questa proteina), ha suggerito una possibile associazione causale tra CRP e un aumentato rischio di disturbi d’ansia, ma il risultato non ha raggiunto la significatività statistica per un pelo (il famoso p-value era 0.054, vicinissimo alla soglia del 0.05). Quindi, diciamo che è un indizio forte, che merita di essere approfondito in studi futuri con campioni ancora più grandi. Per l’umore negativo, l’associazione causale con la CRP non è emersa chiaramente da questa analisi.
Tiriamo le somme: un filo rosso tra infiammazione e affettività negativa
Mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle, sia le analisi non genetiche che quelle genetiche ci forniscono prove consistenti di un’associazione, seppur modesta, tra la CRP e l’umore negativo. Questo è forse il dato più solido che emerge dal nostro studio. Sembra che l’infiammazione possa davvero toccare le corde delle nostre emozioni, andando oltre i sintomi classici della depressione come tristezza e anedonia, e influenzando una gamma più ampia di stati affettivi “negativi”, come la paura o l’irritabilità.
Le analisi genetiche, poi, suggeriscono che la segnalazione dell’IL-6 potrebbe essere rilevante per la memoria, e che l’associazione tra CRP e disturbi d’ansia potrebbe avere una base causale, anche se, come detto, servono conferme.
È affascinante pensare che l’infiammazione, un processo biologico così fondamentale, possa avere queste sfumature d’impatto sulla nostra salute mentale. Certo, non stiamo dicendo che l’infiammazione sia l’unica causa di depressione o ansia, assolutamente no! Si tratta di condizioni complesse, multifattoriali. Però, i nostri risultati si aggiungono a un corpo crescente di evidenze che suggeriscono come l’infiammazione possa essere uno dei tanti attori in gioco.
Limiti e prospettive future: la scienza non si ferma mai!
Come ogni studio, anche il nostro ha dei limiti. Ad esempio, il campione, seppur grande, è composto prevalentemente da individui di origine europea, quindi bisogna vedere se i risultati valgono anche per altre popolazioni. Inoltre, non abbiamo corretto le analisi per confronti multipli, quindi ogni singolo risultato va preso con cautela e necessita di repliche. Gli effetti che abbiamo osservato sono generalmente piccoli, il che è comune quando si studiano fenomeni complessi nella popolazione generale. Sarà importante capire se ci sono sottogruppi di persone (magari più anziane, o con specifiche condizioni cliniche) in cui queste associazioni sono più marcate.
Un altro aspetto riguarda i test cognitivi: quelli usati potrebbero non essere i più sensibili per cogliere piccole variazioni individuali in persone sane. E poi, gli strumenti genetici che abbiamo usato per l’IL-6 erano basati su pochi geni, il che rende difficile distinguere nettamente gli effetti dei diversi percorsi di segnalazione di questa molecola.
Nonostante queste cautele, credo che il nostro lavoro aggiunga un tassello importante alla comprensione del legame tra corpo e mente. L’idea che l’infiammazione possa influenzare un’ampia gamma di stati emotivi, al di là dei sintomi depressivi classici, apre nuove prospettive. Forse, in futuro, potremmo pensare a strategie che, modulando l’infiammazione, possano aiutare a gestire non solo la depressione, ma anche l’ansia e quel malessere diffuso che chiamiamo “umore negativo”.
La ricerca continua, e ogni scoperta, anche la più piccola, ci avvicina a una comprensione più profonda di noi stessi. E voi, cosa ne pensate? Vi affascina questo legame tra infiammazione e cervello? Fatemelo sapere!
Fonte: Springer