Immagine concettuale dell'antibiotico-resistenza: una capsula di antibiotico aperta e vuota su uno sfondo scuro con sagome stilizzate di batteri minacciosi. Lente macro, 90mm, illuminazione drammatica laterale per enfatizzare il pericolo e creare ombre lunghe, alta definizione per i dettagli della capsula.

Batteri Tosti in Pronto Soccorso: Vi Racconto la Mia Battaglia contro le Infezioni Urinarie Resistenti!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore, perché tocca da vicino la salute di tantissime persone e il lavoro che facciamo ogni giorno in prima linea: le infezioni delle vie urinarie (IVU) e, soprattutto, la crescente minaccia dei batteri resistenti agli antibiotici. Immaginatevi la scena: siete in Pronto Soccorso, arriva un paziente con i classici sintomi di un’infezione urinaria – dolore, bruciore, febbre. Sembrerebbe una routine, ma c’è un nemico invisibile che complica tutto: l’antibiotico-resistenza (AMR).

Proprio per capire meglio questo fenomeno, insieme a un gruppo di colleghi abbiamo condotto uno studio multicentrico prospettico, chiamato UTILY. L’obiettivo? Fotografare la situazione nei nostri Pronto Soccorso, capire quanto fossero diffuse le infezioni urinarie causate da una specifica famiglia di batteri, gli Enterobacterales, diventati resistenti a una classe di antibiotici molto usata, le cefalosporine di terza generazione (3GC-R), e quali fossero le conseguenze per i pazienti.

Ma cosa sono queste infezioni urinarie e perché ci preoccupano tanto?

Le IVU sono tra le infezioni più comuni, sia in comunità che in ospedale. Provocano non solo fastidi e un peggioramento della qualità della vita, ma anche costi economici significativi. Pensate che nel 2019, a livello globale, si sono registrati oltre 400 milioni di casi e quasi 237.000 decessi correlati! Il batterio più frequentemente chiamato in causa è il famoso Escherichia coli, un normale abitante del nostro intestino che, a volte, decide di fare una “gita” indesiderata nelle vie urinarie. Altri batteri come Klebsiella, Proteus e compagnia bella sono più tipici delle infezioni ospedaliere.

Il vero “cattivo” della storia: l’Antibiotico-Resistenza

L’AMR è una delle più grandi sfide per la salute globale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stilato una lista di “patogeni prioritari” resistenti agli antibiotici, e indovinate un po’? Gli Enterobacterales resistenti alle cefalosporine di terza generazione (3GC-R) sono classificati come “critici”. Questo significa che abbiamo sempre meno armi a disposizione per combatterli. Nel 2019, si stima che 1,27 milioni di decessi siano stati direttamente causati da batteri resistenti, e le IVU non fanno eccezione, con migliaia di morti attribuibili a E. coli resistente alle 3GC e ai fluorochinoloni.

In Europa, la situazione è varia, ma l’Italia, purtroppo, è tra i Paesi con la prevalenza più alta di resistenza negli Enterobacterales. Conoscere l’epidemiologia locale è quindi fondamentale, specialmente in Pronto Soccorso, dove le decisioni terapeutiche devono essere rapide e spesso non si può aspettare l’esito dell’antibiogramma.

Il nostro studio UTILY: cosa abbiamo scoperto?

Abbiamo coinvolto sette strutture sanitarie, principalmente in Campania e una in Lombardia, arruolando tutti i pazienti adulti che arrivavano in Pronto Soccorso con una diagnosi di IVU da Enterobacterales confermata microbiologicamente. Abbiamo raccolto un sacco di dati: età, sesso, malattie preesistenti, ricoveri recenti, terapie antibiotiche pregresse, presenza di cateteri, gravità dell’infezione, e ovviamente, l’esito a 30 giorni.

Su 288 pazienti inclusi nello studio (età media 72 anni, per darvi un’idea), il “protagonista” indiscusso è stato l’Escherichia coli (nel 70,5% dei casi). E qui arriva la prima botta: ben il 35,9% di tutti i batteri isolati erano resistenti alle cefalosporine di terza generazione. Un dato allarmante, non trovate?

Abbiamo cercato di capire se ci fossero dei fattori di rischio associati a queste resistenze. Ebbene sì: un ricovero in ospedale (Odds Ratio 3.31, un bel numerino!) o in una struttura di assistenza a lungo termine (RSA, per intenderci, con un OR di 4.87) nei tre mesi precedenti aumentava significativamente la probabilità di beccarsi un batterio 3GC-R.

Un tecnico di laboratorio osserva al microscopio campioni di urina con piastre di Petri contenenti colonie batteriche in primo piano. Lente macro, 60mm, illuminazione da laboratorio precisa, alta definizione dei dettagli delle colonie.

Andando più a fondo, l’E. coli nel nostro campione era resistente alle 3GC in circa il 30% dei casi, mentre la Klebsiella pneumoniae lo era addirittura nel 48% circa! Queste percentuali, seppur preoccupanti, sono in linea con i dati regionali e nazionali, confermando che il problema è serio e diffuso.

Le conseguenze cliniche e la mortalità

Passiamo agli esiti. Purtroppo, 22 dei 217 pazienti per cui avevamo il follow-up completo (il 10,1%) sono deceduti entro 30 giorni. Quando abbiamo analizzato i dati più a fondo, abbiamo visto che i pazienti con infezioni da batteri 3GC-R avevano infezioni più gravi al momento dell’arrivo in PS (punteggio SOFA più alto, che misura la disfunzione d’organo) e, cosa cruciale, ricevevano una terapia empirica (cioè quella iniziata prima di avere l’antibiogramma) meno frequentemente adeguata (47,3% contro il 79,6% dei pazienti con batteri sensibili).

Questo si traduceva in una risposta clinica peggiore a 7 giorni e, come detto, in una mortalità a 30 giorni significativamente più alta (16,7% vs 6,7%) nel gruppo con batteri resistenti. Tuttavia, nell’analisi multivariata, l’unico fattore che si è dimostrato protettivo rispetto alla mortalità a 30 giorni è stata una buona risposta clinica a 7 giorni. Questo ci dice quanto sia importante azzeccare la terapia giusta e farlo in fretta!

Cosa ci insegnano questi dati per la pratica quotidiana?

Beh, innanzitutto che la situazione dell’antibiotico-resistenza nelle IVU comunitarie che arrivano in PS è tutt’altro che rosea. Il 35,9% di resistenza alle 3GC è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. La terapia empirica che abbiamo osservato, spesso basata su aminopenicilline (prescritte nel 46,6% dei casi), era adeguata solo nel 61,1% dei casi, e questa percentuale scendeva drasticamente al 47,3% se l’infezione era causata da un ceppo 3GC-R.

È chiaro che dobbiamo rivedere le nostre abitudini prescrittive, soprattutto nei pazienti critici con sospetta IVU. Forse è il momento di considerare regimi combinati, magari con un aminoglicoside, che in molti studi preclinici ha mostrato un’attività sinergica contro gli Enterobacterales multi-resistenti. La conoscenza dell’epidemiologia locale e dei fattori di rischio per l’AMR diventa quindi un’arma potentissima nelle mani del medico di Pronto Soccorso per scegliere la terapia empirica più appropriata e per stilare linee guida locali efficaci.

Un medico in un affollato pronto soccorso italiano, con camice e stetoscopio, mentre esamina con attenzione la cartella clinica di un paziente su un tablet. Luci al neon tipiche dell'ambiente ospedaliero, profondità di campo per sfocare lo sfondo e mantenere il medico a fuoco. Lente prime, 35mm, espressione concentrata.

Certo, il nostro studio ha delle limitazioni: non avevamo dati sulle batteriemie, né sul timing esatto dell’inizio della terapia mirata, e non abbiamo fatto una caratterizzazione molecolare per distinguere i meccanismi di resistenza (ESBL, AmpC). Inoltre, il numero di decessi era relativamente basso, quindi l’analisi sulla mortalità potrebbe essere meno potente. Ma hey, è uno studio prospettico e multicentrico, e fornisce dati utilissimi sulla prevalenza delle IVU da patogeni resistenti alle 3GC e sull’epidemiologia dei principali ceppi batterici che circolano nelle nostre aree.

Un messaggio da portare a casa

Se c’è una cosa che questo studio ci ha insegnato, è che non possiamo abbassare la guardia. L’antibiotico-resistenza è un problema reale e presente nei nostri Pronto Soccorso. Identificare i pazienti a rischio (come quelli con recenti ospedalizzazioni o soggiorni in RSA) e conoscere i pattern di resistenza locali è cruciale. Solo così potremo sperare di migliorare gli esiti per i nostri pazienti e combattere questa silenziosa pandemia.

Spero che questo “viaggio” nel mondo delle infezioni urinarie e dell’antibiotico-resistenza vi sia stato utile. È un campo in continua evoluzione, e studi come UTILY sono fondamentali per guidare le nostre scelte cliniche e per implementare strategie di controllo sempre più efficaci. Alla prossima!

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *