Batteri nel Sangue nei Pazienti Oncologici: La Sfida Vinta con l’Uso Intelligente degli Antibiotici
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento tosto ma fondamentale, che tocca da vicino chi lotta contro un tumore: le infezioni del sangue, o BSI (Bloodstream Infections), come le chiamiamo noi addetti ai lavori. Sono tra le complicanze più comuni e, purtroppo, contribuiscono ancora tanto alla morbilità e mortalità di questi pazienti già fragili. Immaginate il corpo che combatte una battaglia su due fronti: contro il cancro e contro un’infezione che si è fatta strada nel sangue. Non è una passeggiata.
Uno dei motivi principali di questa vulnerabilità è la neutropenia, cioè quando i globuli bianchi neutrofili, i nostri soldati di prima linea contro le infezioni, scarseggiano. Questo succede spesso a causa delle terapie antitumorali. Pensate che chi ha una leucemia acuta ha un rischio altissimo, anche superiore all’80%, di sviluppare la cosiddetta neutropenia febbrile (FN). Per i tumori solidi il rischio è generalmente più basso, ma comunque presente.
Chi Rischia di Più?
Nel nostro studio, abbiamo analizzato la situazione di 123 pazienti con tumore che hanno avuto una BSI. Chi erano principalmente?
- Pazienti con leucemia acuta o sindrome mielodisplastica (il 40% del totale, un bel pezzo!)
- Pazienti con linfomi (25%)
- Pazienti con mieloma multiplo (20%)
Questi dati confermano che le malattie del sangue sono particolarmente a rischio. Spesso, queste infezioni partono da cateteri venosi centrali (le cosiddette CLABSI/CRBSI), ma possono anche originare da polmoniti, infezioni urinarie, gastrointestinali o dei tessuti molli.
I ‘Cattivi’ della Situazione: Che Batteri Troviamo?
E sapete chi troviamo più spesso in queste infezioni? Sembra che i batteri Gram-negativi stiano prendendo un po’ il sopravvento (li abbiamo visti nel 53% dei casi), anche se i Gram-positivi non scherzano (circa il 40%). Tra i più comuni ci sono:
- Escherichia coli (ben il 33%!)
- Stafilococchi coagulasi-negativi (CoNS), spesso legati ai cateteri (14%)
- Pseudomonas aeruginosa (10%)
- Staphylococcus aureus (SA) ed Enterococchi (entrambi al 7%)
Questo è interessante perché conferma un trend osservato anche in altri studi internazionali: una sorta di “ritorno” dei Gram-negativi come protagonisti delle BSI nei pazienti oncologici. Un tempo erano più i Gram-positivi a dominare. La buona notizia, nel nostro caso specifico, è che abbiamo trovato pochissimi batteri multi-resistenti (MDR), solo un caso di VRE (Enterococco resistente alla Vancomicina). Questo è un sollievo, perché le infezioni da MDR sono un incubo da trattare.

La Febbre che Non Scende: Cosa Influenza la Guarigione?
Quando arriva un’infezione del sangue, il primo sintomo è quasi sempre la febbre. Nel nostro gruppo di pazienti, la febbre mediamente se ne andava dopo 3 giorni, ma l’intervallo era ampio (da 1 a 30 giorni!). Cosa faceva la differenza? Abbiamo cercato di capirlo.
Sorprendentemente, né il tipo di batterio (Gram-positivo o negativo), né la terapia antibiotica iniziale, né le caratteristiche principali del paziente sembravano influenzare significativamente questo tempo di risoluzione della febbre.
C’era però un’eccezione importante: se il batterio responsabile dell’infezione non era sensibile all’antibiotico scelto all’inizio (la cosiddetta terapia empirica, quella che si dà prima di sapere esattamente chi è il colpevole), allora sì, la febbre ci metteva di più a passare (rischio dimezzato di risoluzione rapida, HR 0.53). Questo è successo più spesso con i Gram-positivi (22% dei casi) che con i Gram-negativi (5%).
Un altro fattore che sembrava allungare i tempi della febbre era la gravità della neutropenia al momento del ricovero e della diagnosi di BSI. Meno “soldati” hai, più difficile è vincere la battaglia in fretta.
Sopravvivenza: Cosa Conta Davvero?
Qui le cose si fanno ancora più serie. La mortalità per BSI può variare molto, dal 12% al 40% a seconda degli studi, della malattia di base e del microbo. Nel nostro studio, il 10% dei pazienti è deceduto durante l’episodio di BSI (l’8% a causa diretta dell’infezione) e il 17% entro 60 giorni dalla diagnosi.
Cosa ha inciso sulla sopravvivenza a 60 giorni? Non tanto il tipo di batterio (Gram-positivo vs negativo), né la sensibilità all’antibiotico empirico iniziale (questo è un dato un po’ controintuitivo, ma nel nostro campione non è emersa una differenza statisticamente significativa sulla sopravvivenza, HR 2.12, p=0.18).
Il fattore che invece ha avuto un impatto statisticamente significativo sulla sopravvivenza a 60 giorni è stata la gravità della neutropenia al momento del ricovero (ANC < 1.0 × 10^9/l). Chi partiva con pochi neutrofili aveva quasi 3 volte più probabilità di non farcela (HR 2.95, p=0.03). Questo sottolinea quanto sia critica la condizione immunitaria di base del paziente.
Abbiamo anche notato una cosa curiosa: i pazienti trattati inizialmente con piperacillina/tazobactam (l'antibiotico empirico più usato, nel 79% dei casi) sembravano avere una sopravvivenza migliore rispetto a quelli trattati con meropenem (un carbapenemico, usato nel 7%). Però, attenzione: chi riceveva il meropenem tendeva ad essere in condizioni generali peggiori e aveva più spesso una storia pregressa di BSI. Quindi, probabilmente non è l'antibiotico in sé, ma il fatto che veniva riservato ai casi più complessi o a rischio.

L’Asso nella Manica: L’Antibiotic Stewardship (ABS)
E qui arriviamo a un punto cruciale: l’Antibiotic Stewardship, o ABS. Ma cos’è? In parole povere, è l’insieme di pratiche per usare gli antibiotici nel modo più intelligente possibile: il farmaco giusto, alla dose giusta, per la durata giusta, al momento giusto, solo quando serve davvero. È fondamentale per combattere le infezioni efficacemente oggi, ma anche per preservare l’efficacia degli antibiotici per il futuro, contrastando il fenomeno dell’antibiotico-resistenza.
Nel nostro studio, abbiamo valutato se la gestione dell’infezione avesse seguito le raccomandazioni delle linee guida (come quelle dell’AGIHO tedesco o dell’ECIL europeo). Ebbene, abbiamo scoperto che:
- Nel 66% dei casi (81 pazienti), la terapia era aderente alle linee guida ABS.
- Nel 26% dei casi (32 pazienti), la terapia era chiaramente non aderente (spesso per durata errata – troppo lunga o troppo corta – o scelta dell’antibiotico non ottimale).
- Nell’8% dei casi (10 pazienti), l’aderenza era dubbia o difficile da valutare.
La cosa più interessante? La non aderenza (o l’aderenza dubbia) all’ABS era correlata significativamente con un ritardo nella risoluzione della febbre (mediana 4 giorni vs 3 giorni, p=0.04). Anche se non abbiamo visto un impatto diretto sulla sopravvivenza in questo studio, far guarire prima un paziente dalla febbre significa meno sofferenza, degenza più breve e potenzialmente meno complicanze. Quindi, seguire le regole dell’ABS paga!
Monitorare per Migliorare: La Differenza tra Guardare Indietro e Agire Ora
Un altro dato che mi ha colpito è la differenza tra i pazienti analizzati retrospettivamente (cioè guardando le cartelle cliniche del passato) e quelli seguiti prospetticamente (cioè monitorati attivamente durante lo studio).
Nei pazienti “retrospettivi”, la non aderenza o aderenza dubbia all’ABS era del 38%. Nei pazienti “prospettici”, questa percentuale scendeva drasticamente all’11% (p=0.03)!
Cosa ci dice questo? Che probabilmente, quando c’è un’attenzione specifica sul problema (come avviene in uno studio prospettico, dove magari il personale è più formato e sensibilizzato), l’aderenza alle buone pratiche migliora. Essere consapevoli e monitorare attivamente la gestione degli antibiotici fa davvero la differenza.

Cosa Portiamo a Casa?
Quindi, tirando le somme di questa chiacchierata sulle BSI nei pazienti oncologici:
- I batteri Gram-negativi sono ancora i più frequenti, con E. coli in testa.
- La neutropenia grave al momento del ricovero è un fattore prognostico negativo importante per la sopravvivenza a 60 giorni.
- La non sensibilità del batterio all’antibiotico empirico iniziale allunga i tempi della febbre, ma non sembra impattare drasticamente sulla sopravvivenza (almeno in questo studio). Questo suggerisce che partire con un antibiotico ad ampio spettro come piperacillina/tazobactam rimane una strategia valida nella maggior parte dei casi di neutropenia febbrile.
- Seguire le regole dell’Antibiotic Stewardship (ABS) è fondamentale: migliora i tempi di guarigione dalla febbre.
- Monitorare attivamente e formare il personale sulla gestione delle infezioni e sull’ABS (come fatto nella parte prospettica dello studio) sembra migliorare l’aderenza alle buone pratiche.
La lotta contro le infezioni nei pazienti oncologici è complessa, ma usare gli antibiotici con saggezza, seguendo i principi dell’ABS e monitorando attentamente i pazienti, è una delle armi più potenti che abbiamo per migliorare gli esiti e preservare l’efficacia di questi farmaci preziosi. È una sfida continua, ma i dati ci dicono che la strada è quella giusta!
Fonte: Springer
