Infezioni Post-Operatorie nell’Ostruzione Intestinale: Sveliamo i Nemici Nascosti e Come Prevederli!
Amici della scienza e della medicina, oggi voglio parlarvi di un argomento un po’ spinoso ma super importante che tocca da vicino chiunque debba affrontare un intervento chirurgico per un’ostruzione intestinale acuta. Immaginatevi la scena: un dolore addominale lancinante, vomito, l’intestino che decide di fare sciopero… una situazione che spesso richiede un intervento chirurgico d’urgenza. E dopo l’operazione? Beh, uno dei fantasmi che si aggira nelle corsie è quello delle infezioni della ferita chirurgica. Un bel problema, perché possono allungare la degenza in ospedale, far lievitare i costi sanitari e, nei casi peggiori, mettere a rischio la vita del paziente.
Ecco perché un gruppo di ricercatori, me compreso in questo racconto divulgativo, si è messo al lavoro per capire meglio chi sono i “cattivi” responsabili di queste infezioni, come si comportano e, soprattutto, se possiamo prevedere chi è più a rischio. Lo studio che vi racconto è stato condotto nel Dipartimento di Chirurgia d’Urgenza del First Affiliated Hospital dell’Anhui Medical University, analizzando i dati di pazienti operati tra il 2020 e il 2022.
Chi sono i colpevoli? Identikit dei batteri
Allora, su 329 pazienti con ostruzione intestinale acuta, ben 37 (l’11,25%, non proprio pochi!) hanno sviluppato un’infezione della ferita dopo l’intervento. Abbiamo prelevato campioni da queste ferite infette e, indovinate un po’? Nell’86,48% dei casi abbiamo trovato dei batteri pronti a fare festa.
I principali indiziati? I batteri Gram-negativi, che la facevano da padrone nel 65,63% dei casi. Tra questi, il più gettonato era il famigerato Escherichia coli. Poi c’erano i batteri Gram-positivi (28,12%), con l’Enterococcus faecium in pole position. E, per non farci mancare nulla, anche qualche fungo (6,25%), principalmente la Candida albicans.
Ma la cosa che ci ha fatto drizzare le antenne è stata la loro resistenza agli antibiotici. I Gram-negativi, ad esempio, se la ridevano di fronte al ceftriaxone (un antibiotico comunissimo), mentre mostravano più rispetto per l’imipenem. I Gram-positivi, invece, erano particolarmente tosti contro l’eritromicina, ma per fortuna nessun ceppo resistente alla vancomicina (un antibiotico considerato un’ultima spiaggia) è stato isolato. Questo ci dice che non basta dare un antibiotico a caso, ma bisogna scegliere con cura, magari proprio tenendo d’occhio questi Gram-negativi.
Fattori di rischio: chi è più esposto?
Ok, abbiamo i colpevoli. Ma perché alcuni pazienti si infettano e altri no? Per capirlo, abbiamo usato delle tecniche statistiche un po’ cervellotiche ma super efficaci (come la regressione LASSO e la regressione logistica multivariata, per i più curiosi). E cosa abbiamo scoperto? Che ci sono dei fattori che aumentano significativamente il rischio di infezione. Eccoli qui:
- Età ≥ 60 anni: Eh sì, con l’avanzare dell’età il nostro sistema immunitario non è più quello di un giovincello e le difese si abbassano.
- Storia di diabete: Il diabete, si sa, non aiuta la guarigione delle ferite e crea un ambiente più favorevole alla crescita dei batteri.
- Tempo operatorio ≥ 3 ore: Più a lungo dura l’intervento, più la ferita rimane esposta e maggiore è la possibilità che qualche batterio indesiderato si intrufoli.
- Ostruzione colorettale: Se l’ostruzione è nel colon-retto, il rischio è più alto. Quest’area dell’intestino è naturalmente più ricca di batteri.
- Enterostomia: La creazione di una stomia (un’apertura dell’intestino sulla parete addominale) è un altro fattore di rischio.
- Emoglobina (HGB): Qui la sorpresa! Un buon livello di emoglobina è risultato essere un fattore protettivo. Quindi, l’anemia pre-operatoria potrebbe peggiorare le cose.
L’enterotomia/decompressione (cioè l’apertura dell’intestino per svuotarlo), invece, non è risultata né un fattore di rischio né protettivo in questo specifico modello.
Un modello predittivo: la nostra “sfera di cristallo”
Con questi sei fattori in mano (età, diabete, durata dell’intervento, sede dell’ostruzione, enterostomia ed emoglobina), abbiamo costruito un modello predittivo. Pensatelo come una specie di calcolatore che, inserendo i dati del paziente, ci dice quanto è alto il suo rischio di sviluppare un’infezione.
E funziona? Pare proprio di sì! L’abbiamo testato sia su un gruppo di pazienti “di addestramento” sia su un gruppo “di validazione” (per essere sicuri che non fosse un caso) e i risultati sono stati ottimi. L’area sotto la curva (AUC), che è un po’ come il voto che si dà al modello per la sua capacità di distinguere chi si infetterà da chi no, è stata di 0.952 nel gruppo di addestramento e addirittura 0.982 in quello di validazione. Tradotto: il modello è molto bravo a fare previsioni! Anche altri test (come il test di Hosmer-Lemeshow e le curve di calibrazione) hanno confermato che il modello è affidabile.
Cosa ci portiamo a casa da tutto questo?
Beh, prima di tutto, abbiamo confermato che i batteri Gram-negativi sono i principali piantagrane nelle infezioni post-operatorie dopo chirurgia per ostruzione intestinale acuta. E sono pure parecchio resistenti agli antibiotici più comuni. Quindi, massima allerta su questi microrganismi!
L’età avanzata è un classico fattore di rischio, un po’ come una vecchia auto che ha bisogno di più manutenzione. I pazienti più anziani hanno spesso un sistema immunitario meno reattivo, magari soffrono di malnutrizione o hanno altre patologie che complicano le cose. Per loro, un monitoraggio più attento e magari un aiutino per rinforzare le difese immunitarie non guasterebbe.
Il diabete è un altro osso duro. La malattia stessa compromette la guarigione, riducendo la produzione di collagene e la resistenza delle ferite. In più, l’iperglicemia (cioè troppo zucchero nel sangue) inibisce i fibroblasti, che sono fondamentali per riparare i tessuti, e crea un ambiente perfetto per la proliferazione batterica. Quindi, chi ha il diabete e deve operarsi per un’ostruzione intestinale, merita un occhio di riguardo.
E la durata dell’intervento? Logico: più tempo la “pancia è aperta”, più è facile che qualcosa vada storto. L’esposizione all’aria, l’ambiente della sala operatoria… tutto contribuisce. L’ideale sarebbe fare in fretta, ma ovviamente senza compromettere la buona riuscita dell’operazione!
L’ostruzione del colon-retto è particolarmente insidiosa. Il colon è un vero e proprio condominio di batteri, Gram-negativi e anaerobi in primis. E spesso, in urgenza, non c’è tempo per una preparazione intestinale adeguata, quindi il rischio di contaminazione della ferita è alto. Se le immagini pre-operatorie dicono “ostruzione colorettale”, bisogna essere ancora più meticolosi con la cura della ferita nel post-operatorio.
Parliamo della stomia. È vero che a volte è salvavita, ma è anche una porta d’accesso in più per i batteri rispetto a una sutura intestinale primaria. Addirittura, la chiusura di una stomia è di per sé un fattore di rischio per infezioni. Quindi, la decisione di fare una stomia va ponderata bene, riservandola ai pazienti ad alto rischio per cui un’anastomosi primaria sarebbe troppo pericolosa.
Infine, l’anemia. Avere pochi globuli rossi prima dell’intervento non è mai una buona cosa. L’anemia può peggiorare la malnutrizione, ostacolare la sintesi delle proteine immunitarie e compromettere la guarigione della ferita, perché arriva meno ossigeno ai tessuti, e l’ossigeno è fondamentale per combattere le infezioni. Correggere l’anemia prima dell’intervento, se possibile, è un’ottima mossa.
Il nostro modello predittivo, basato su questi sei indicatori, può essere uno strumento semplice e utile per i medici. Permette di identificare i pazienti più a rischio e di mettere in atto strategie preventive mirate, come una profilassi antibiotica più aggressiva o un monitoraggio più stretto. L’obiettivo finale? Ridurre le infezioni, accorciare i tempi di degenza e, non da ultimo, contenere i costi.
Certo, il nostro studio ha qualche limite. È retrospettivo, quindi potrebbe esserci qualche “bias” nella raccolta dei dati. Il campione non è enorme e i dati vengono da un solo centro. Serviranno studi prospettici e multicentrici per confermare e magari migliorare il nostro modello.
Ma la strada è tracciata! Capire meglio le caratteristiche di queste infezioni e avere strumenti per prevederle è un passo avanti enorme per migliorare la cura dei pazienti che affrontano la difficile sfida di un’ostruzione intestinale acuta. E noi ricercatori non ci fermiamo qui, pronti a collaborare per rendere questo modello ancora più forte e affidabile!
Fonte: Springer