Primo piano di un gatto soriano svedese, dall'aria leggermente preoccupata ma curiosa, con un veterinario che lo esamina delicatamente in background. Portrait photography, prime lens 35mm, depth of field, luce naturale soffusa da una finestra.

Febbre e Anemia nei Gatti Svedesi: Un’Indagine Esclusiva sugli Agenti Infettivi Nascosti!

Amici gattofili, siete pronti per un’avventura nel mondo microscopico che a volte, ahimè, disturba la serenità dei nostri adorati felini? Oggi vi porto con me nel cuore di uno studio scientifico affascinante condotto nella parte meridionale della Svezia. Immaginatevi un team di ricercatori, un po’ come dei detective della salute animale, che si sono chiesti: quali agenti infettivi circolano tra i gatti svedesi? E soprattutto, c’è differenza tra i mici che mostrano sintomi come febbre e/o anemia, quelli che sembrano stare benone e i gatti randagi o che vivono in colonia nelle stalle?

Vi assicuro che la questione è tutt’altro che banale. Molti di questi microrganismi, infatti, si trasmettono con una facilità sorprendente: un contatto diretto tra mici, una battuta di caccia un po’ troppo avventurosa, o la semplice (e fastidiosa) presenza di pulci e zecche. Alcuni di questi agenti possono causare malattie serie, e altri, pensate un po’, possono addirittura passare da loro a noi umani (le cosiddette zoonosi). Quindi, capire chi c’è e dove si nasconde è fondamentale!

I “Sospettati” Sotto la Lente d’Ingrandimento

I ricercatori non hanno lasciato nulla al caso. Hanno cercato le tracce di un bel po’ di “indiziati”:

  • Specie di Anaplasma e Ehrlichia (spesso legate alle zecche)
  • Specie di Bartonella (famigerate per essere trasmesse dalle pulci)
  • Specie di Mycoplasma ematotropici (che amano i globuli rossi)
  • Il virus schiumogeno felino (FFV)
  • Il gammaherpesvirus del gatto (FcaGHV1)
  • Il virus dell’immunodeficienza felina (FIV, la “AIDS” dei gatti)
  • Il virus della leucemia felina (FeLV)
  • Toxoplasma gondii (il famoso parassita della toxoplasmosi)

Insomma, una vera e propria task force di agenti patogeni!

Chi Erano i Protagonisti Felini?

Lo studio ha coinvolto tre gruppi di gatti:

  1. Gatti con sintomi: mici portati in clinica con febbre (temperatura rettale superiore a 39.5 °C) e/o anemia (ematocrito inferiore al 20%).
  2. Gatti di controllo: mici senza segni clinici di malattie infettive, spesso visitati per chirurgie di routine o gatti sani di proprietà del personale. Si è cercato di abbinarli per età, stile di vita (casa/esterno), sesso e periodo dell’anno ai gatti del primo gruppo, anche se un abbinamento perfetto non è stato sempre possibile.
  3. Gatti randagi o di stalla: mici catturati o che vivevano esclusivamente all’aperto in gruppi numerosi (più di sette individui) in stalle o fienili.

In totale, sono stati inclusi 91 gatti, con alcuni campioni prelevati tra il 2013 e il 2017. Pensate, un gatto è stato incluso due volte perché ha avuto due episodi di febbre a distanza di 22 mesi!

Cosa Hanno Scoperto i Nostri Detective? I Risultati “Scottanti”

E qui viene il bello! Tenetevi forte perché alcuni risultati sono davvero sorprendenti. Analizzando il sangue dei nostri amici a quattro zampe, ecco cosa è emerso:

  • FcaGHV1 (gammaherpesvirus): ben il 67% dei gatti aveva anticorpi! Questo suggerisce un’esposizione molto comune.
  • FFV (virus schiumogeno felino): il 45% dei mici mostrava anticorpi. Anche questo sembra piuttosto diffuso.
  • Bartonella spp.: il 43% aveva anticorpi. Un chiaro segnale che le pulci, purtroppo, fanno il loro “sporco lavoro”.
  • Toxoplasma gondii: il 37% dei gatti era positivo agli anticorpi. Questo ci ricorda l’importanza di evitare carne cruda e di fare attenzione alle abitudini di caccia dei nostri mici.
  • FIV: fortunatamente, solo il 3.3% dei gatti è risultato positivo agli anticorpi per l’immunodeficienza felina.
  • FeLV: ancora più raro, l’antigene della leucemia felina è stato trovato in un solo gatto (1.1%).
  • Mycoplasma ematotropici: il DNA di questi batteri è stato amplificato in sette gatti (7.6%). È interessante notare che in tutti e cinque i campioni sequenziati con successo, si trattava di ‘Candidatus M. haemominutum’, una specie considerata relativamente meno patogena.

E per quanto riguarda Anaplasma ed Ehrlichia? Sorprendentemente, il loro DNA non è stato trovato in nessun gatto. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che, ad esempio, la zecca che trasmette Ehrlichia canis (Rhipicephalus sanguineus) non è stabilmente presente in Svezia, probabilmente a causa del clima fresco.

Fotografia macro di una pulce (Ctenocephalides felis) su un tessuto chiaro, obiettivo macro 100mm, alta definizione, messa a fuoco precisa, illuminazione controllata da studio per evidenziare i dettagli dell'insetto.

La presenza di anticorpi contro FcaGHV1, FFV, FIV e FeLV ci dice che molti di questi gatti sono stati esposti ad altri gatti (trasmissione diretta). Gli anticorpi contro Bartonella spp. suggeriscono un controllo inadeguato delle pulci, mentre quelli contro T. gondii indicano che i gatti potrebbero aver mangiato carne poco cotta o aver cacciato.

Febbre, Anemia e Stile di Vita: Ci Sono Differenze?

Una delle domande chiave era se la prevalenza di questi agenti cambiasse tra i gruppi. Ebbene sì, qualche differenza c’è stata!

Ad esempio, gli anticorpi contro Toxoplasma gondii erano significativamente più comuni nei gatti randagi/di stalla (69%) rispetto ai gatti di controllo (23%). Questo non sorprende, dato che i gatti con accesso all’esterno e abitudini predatorie sono più a rischio. Infatti, lo studio ha notato associazioni tra la sieropositività a T. gondii e una storia di pulci o ferite da morso, probabilmente indicatori di uno stile di vita all’aperto.

Per quanto riguarda il FFV, è emersa un’associazione interessante: gli anticorpi erano più frequenti nei gatti che erano stati allevati all’aperto e in quelli con ferite da morso recenti. Inoltre, i gatti più anziani (oltre i 7 anni) avevano una prevalenza di anticorpi FFV significativamente maggiore rispetto ai più giovani (sotto i 2 anni), suggerendo un’esposizione che aumenta con il tempo.

Anche per FcaGHV1, l’età ha giocato un ruolo: i gatti più giovani (meno di 1.75 anni) avevano una frequenza di anticorpi significativamente inferiore rispetto ai gruppi di età più avanzata. Curiosamente, i maschi castrati avevano una prevalenza maggiore di anticorpi FcaGHV1 rispetto alle femmine castrate.

È importante sottolineare, come fanno gli stessi ricercatori, che la presenza di un test positivo o di un’infezione non significa automaticamente che il gatto sia malato a causa di quell’agente specifico. Molti di questi “ospiti” possono essere presenti senza causare problemi evidenti, soprattutto in mici altrimenti sani.

Coinfezioni: Quando i “Cattivi” Fanno Squadra

Un altro aspetto affascinante è quello delle coinfezioni, ovvero la presenza di più agenti infettivi contemporaneamente nello stesso gatto. Lo studio ha trovato ben 22 diverse combinazioni! La più comune era quella tra Bartonella e FcaGHV1 (13 gatti), seguita dalla combinazione di T. gondii, FcaGHV1 e FFV (9 gatti).

È emersa anche un’associazione positiva significativa tra gli anticorpi contro FFV e la presenza di DNA di emoplasma, tra anticorpi FFV e anticorpi T. gondii, e tra anticorpi FFV e anticorpi FcaGHV1. Questo suggerisce che i gatti esposti a un agente potrebbero essere più suscettibili ad altri, o che condividono vie di trasmissione simili.

Cosa Possiamo Imparare da Tutto Questo?

Questo studio è il primo a riportare la prevalenza di alcuni di questi agenti in Svezia e ci fornisce un quadro prezioso della situazione. Ci ricorda che:

  • L’esposizione a virus come FFV e FcaGHV1 è molto comune tra i gatti svedesi.
  • Le pulci continuano a essere un veicolo importante per agenti come Bartonella. Un buon controllo antiparassitario è quindi cruciale!
  • L’unico emoplasma sequenziato è stato ‘Candidatus M. haemominutum’, che potrebbe essere il più comune nella regione.
  • Come già noto, un test positivo non equivale a malattia. La diagnosi richiede sempre un quadro clinico completo.

La conclusione generale, che condivido appieno, è che i gatti tenuti in casa (quando umanamente possibile e nel rispetto del loro benessere), alimentati con cibo processato di qualità e protetti regolarmente da pulci e zecche, avranno una minore esposizione a questi agenti infettivi.

Insomma, ancora una volta la prevenzione si rivela la nostra arma migliore per garantire una vita lunga e in salute ai nostri baffuti compagni di vita. E studi come questo ci aiutano a capire meglio i nemici invisibili che dobbiamo affrontare!

Un gatto domestico dal pelo rosso e bianco che gioca all'aperto in un prato verde, ripreso in movimento con un teleobiettivo zoom 100-400mm, alta velocità dell'otturatore per congelare l'azione, tracciamento del movimento, luce solare naturale.

Devo dire che, da appassionato, leggere di queste ricerche mi entusiasma sempre. Ci fa capire quanto sia complesso l’ecosistema che ruota attorno ai nostri animali e quanto sia importante non abbassare mai la guardia. Ad esempio, il fatto che Anaplasma phagocytophilum non sia stato rilevato tramite PCR in questo studio, nonostante la Svezia sia stata la prima nazione a segnalarlo in un gatto e l’agente sia endemico in altre specie nel paese, è un dato che fa riflettere. Probabilmente, come suggeriscono gli autori, la fase in cui il batterio è presente nel sangue (rickettsemia) è di breve durata una volta che si sviluppa la risposta immunitaria.

Anche la questione Bartonella è emblematica: un’alta sieroprevalenza (43% con anticorpi) ma DNA amplificato solo in un gatto. Questo conferma quanto sia difficile diagnosticare una bartonellosi attiva basandosi solo sui test, poiché i gatti spesso limitano la batteriemia spontaneamente nel tempo. Il micio positivo al DNA di Bartonella henselae, tra l’altro, era un gatto di stalla apparentemente sano, il che complica ulteriormente l’interpretazione clinica di un singolo risultato positivo.

Per quanto riguarda i retrovirus, i dati su FIV e FeLV sono in linea con quanto ci si potrebbe aspettare: prevalenza bassa, con FIV leggermente più comune e associato, come spesso accade, ai gatti randagi, più esposti a lotte e contatti non protetti. Il singolo caso di FeLV, in un gatto di casa con anemia e sintomi neurologici, ci ricorda però che questo virus, seppur meno diffuso grazie anche alla sensibilizzazione e ai test, non va mai sottovalutato.

Infine, la massiccia presenza di anticorpi contro FcaGHV1 (67%) è stata una vera sorpresa per me, indicando un’esposizione virale estremamente comune, anche se le implicazioni cliniche di questo virus sono ancora oggetto di studio e dibattito nella comunità scientifica. Sembra che i maschi e i gatti più adulti siano più frequentemente esposti, un po’ come per altri virus felini.

Lo studio, pur con i suoi limiti (come la dimensione del campione per alcuni agenti e la selezione non randomizzata del gruppo di controllo, come onestamente ammesso dagli autori), apre la strada a ulteriori indagini e ci spinge a essere sempre più attenti e informati sulla salute dei nostri amici a quattro zampe. Un plauso ai ricercatori per il loro meticoloso lavoro!

Fonte: Springer

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