Sopravvivere al Cancro: L’Indice SIRI Rivela Nuovi Indizi sulla Mortalità?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che tocca da vicino molti di noi: la lotta contro il cancro e, soprattutto, la vita *dopo* la diagnosi. Sopravvivere al cancro è una vittoria incredibile, ma sappiamo che il percorso non finisce lì. Una delle grandi sfide è capire quali fattori influenzano la prognosi a lungo termine. E se vi dicessi che un semplice esame del sangue potrebbe darci indizi preziosi? Parliamo dell’Indice di Risposta Infiammatoria Sistemica, o SIRI (dall’inglese Systemic Inflammation Response Index). Sembra complicato? Tranquilli, cerchiamo di capirci qualcosa insieme.
Cos’è questo SIRI e perché dovrebbe interessarci?
L’infiammazione, lo sappiamo, gioca un ruolo chiave nello sviluppo e nella progressione di molti tumori. È come un fuoco che cova sotto la cenere: può alimentare la crescita delle cellule tumorali, aiutarle a diffondersi e persino influenzare la risposta del nostro corpo alle terapie. Per questo, monitorare lo stato infiammatorio è diventato fondamentale.
Il SIRI è un indicatore relativamente nuovo che fa proprio questo. Come si calcola? È sorprendentemente semplice: si prendono i valori di tre tipi di globuli bianchi dal nostro emocromo (un esame del sangue comunissimo):
- Neutrofili
- Monociti
- Linfociti
La formula è: SIRI = (Conteggio Neutrofili × Conteggio Monociti) / Conteggio Linfociti.
In pratica, il SIRI ci dà una fotografia dell’equilibrio (o squilibrio) tra le cellule che promuovono l’infiammazione (neutrofili e monociti) e quelle che la combattono e orchestrano la risposta immunitaria contro il tumore (linfociti). Il bello è che si basa su dati facilmente reperibili, non richiede test invasivi ed è economico. Un potenziale strumento d’oro, insomma! Ma funziona davvero? È affidabile?
Uno sguardo ai dati: lo studio NHANES
Per rispondere a queste domande, un recente studio si è tuffato nei dati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES), una vasta indagine sulla salute condotta negli Stati Uniti. Hanno analizzato i dati di ben 3.733 sopravvissuti al cancro raccolti tra il 2001 e il 2018, seguendoli fino alla fine del 2019. L’obiettivo? Vedere se ci fosse un legame tra i valori di SIRI al momento dell’indagine e il rischio di mortalità per qualsiasi causa (all-cause mortality) negli anni successivi.

I partecipanti sono stati divisi in quattro gruppi in base ai loro valori di SIRI, dal più basso (Q1) al più alto (Q4). Durante un periodo medio di follow-up di quasi 10 anni (119 mesi), purtroppo, 1.217 persone sono decedute, circa il 32,6% del campione.
I risultati parlano chiaro: SIRI e rischio di mortalità
Ebbene sì, i risultati sono stati piuttosto netti. Utilizzando modelli statistici sofisticati (come la regressione di Cox, per i più tecnici), i ricercatori hanno trovato una correlazione positiva e significativa: più alto è il valore di SIRI, maggiore è il rischio di mortalità.
Nel dettaglio:
- Anche dopo aver tenuto conto di tanti altri fattori che potrebbero influenzare la sopravvivenza (età, sesso, etnia, fumo, diabete, ipertensione, ecc.), le persone nel gruppo con il SIRI più alto (Q4) avevano un rischio di morire superiore del 52% rispetto a quelle nel gruppo con il SIRI più basso (Q1). Un aumento notevole! (Hazard Ratio [HR] 1.52).
- Anche il gruppo con SIRI medio-alto (Q3) mostrava un rischio aumentato del 20% (HR 1.20).
- Le curve di sopravvivenza di Kaplan-Meier (un modo grafico per visualizzare la sopravvivenza nel tempo) hanno confermato visivamente che chi aveva un SIRI più alto tendeva a vivere meno.
- Analisi più complesse (con le spline cubiche ristrette, RCS) hanno mostrato che la relazione non è perfettamente lineare, ma la tendenza generale è chiara: all’aumentare del SIRI, il rischio sale. Hanno anche identificato un valore soglia intorno a 1.222: superato questo livello, il rischio di mortalità iniziava ad aumentare in modo significativo.

Per essere sicuri che non si trattasse di un caso o di “causalità inversa” (cioè che fosse la malattia più grave a causare un SIRI alto e non viceversa), hanno rifatto le analisi escludendo chi era morto nei primi due anni dopo l’intervista. I risultati sono rimasti solidi, confermando la robustezza del legame osservato.
Ma vale per tutti? Uno sguardo ai sottogruppi
La cosa interessante è che questa associazione tra SIRI e mortalità è stata riscontrata in diversi sottogruppi: uomini e donne, persone di diverse età ed etnie, fumatori e non, persone con o senza diabete o ipertensione. Sembra quindi un indicatore piuttosto trasversale.
È stato osservato anche in specifici tipi di cancro, tra cui:
- Cancro al polmone
- Cancro al seno
- Cancro colorettale
- Cancro della pelle
- Cancro alla prostata
Tuttavia, sono emerse alcune interazioni interessanti. Ad esempio, il legame tra SIRI alto e mortalità sembrava essere più forte nelle donne, nelle persone non sposate/vedove/divorziate e in quelle senza ipertensione o diabete. Perché? Le ragioni non sono chiarissime. Forse differenze nella risposta immunitaria tra sessi, l’impatto dello stress cronico legato allo stato civile sull’infiammazione, o il fatto che in persone con altre malattie gravi (come diabete o ipertensione) ci siano altri fattori di rischio che “mascherano” un po’ l’effetto del SIRI.
Perché un SIRI alto è un cattivo segno? I meccanismi biologici
Cerchiamo di capire il “perché” biologico. Un SIRI elevato significa, in genere, tanti neutrofili e monociti e pochi linfociti.
I neutrofili e i monociti, pur essendo parte della nostra difesa, nel contesto tumorale possono “tradire”: rilasciano sostanze che aiutano il tumore a crescere, a creare nuovi vasi sanguigni per nutrirsi (angiogenesi) e a invadere altri tessuti (metastasi). I monociti, in particolare, possono trasformarsi in macrofagi associati al tumore (TAM), noti per supportare la progressione tumorale.
Al contrario, i linfociti (soprattutto le cellule T) sono i nostri soldati specializzati nell’attaccare e distruggere le cellule tumorali. Un loro basso numero (che fa aumentare il SIRI) indica una risposta immunitaria indebolita, meno capace di tenere sotto controllo il cancro.
Quindi, un SIRI alto potrebbe riflettere un ambiente pro-infiammatorio che favorisce il tumore e, contemporaneamente, un sistema immunitario meno efficace nel combatterlo. Un doppio smacco.

Cosa significa tutto questo per la pratica clinica?
Se questi risultati saranno confermati da ulteriori studi, il SIRI potrebbe diventare uno strumento prezioso per i medici che seguono i sopravvissuti al cancro. Potrebbe aiutare a:
- Identificare i pazienti a maggior rischio: Un SIRI elevato potrebbe segnalare la necessità di un monitoraggio più attento o forse di strategie terapeutiche più mirate.
- Stratificare il rischio: Usare il SIRI, magari insieme ad altri fattori, per capire meglio la prognosi individuale.
- Potenziali interventi: Se l’infiammazione è un motore della mortalità, forse interventi mirati a ridurla (cambiamenti nello stile di vita, farmaci anti-infiammatori?) potrebbero migliorare gli esiti. Ma qui siamo nel campo delle ipotesi da verificare!
Calma e gesso: i limiti dello studio
È fondamentale, però, essere cauti. Ogni studio ha i suoi limiti, e questo non fa eccezione.
- Correlazione non è causalità: Lo studio mostra un’associazione, ma non può provare che un SIRI alto causi direttamente la morte. Potrebbe essere un riflesso di una malattia più aggressiva o di altri problemi di salute non misurati.
- Dati auto-riferiti: La diagnosi di cancro si basava su quanto dichiarato dai partecipanti, il che può introdurre imprecisioni (errori di memoria, diagnosi non corrette).
- Mancanza di dettagli clinici: L’indagine NHANES non raccoglie informazioni cruciali come lo stadio del cancro, il grado, le terapie ricevute, eventuali recidive. Questi fattori influenzano enormemente la sopravvivenza e potrebbero confondere l’associazione con il SIRI.
- Mortalità per tutte le cause: Lo studio ha considerato la morte per qualsiasi causa, non specificamente per cancro. I sopravvissuti al cancro possono morire anche per altre ragioni (problemi cardiaci, ecc.).
- Altre condizioni infiammatorie: Non si è potuto escludere che i partecipanti avessero altre malattie infiammatorie croniche (come l’artrite reumatoide) che potrebbero aver influenzato il SIRI indipendentemente dal cancro.

In conclusione: un tassello in più nel puzzle
Nonostante i limiti, questo studio aggiunge un tassello importante alla nostra comprensione dei fattori prognostici nei sopravvissuti al cancro. L’indice SIRI emerge come un marker promettente, facilmente misurabile e legato in modo significativo al rischio di mortalità.
Ci dice che lo stato infiammatorio sistemico è un fattore da non sottovalutare nel lungo viaggio dopo il cancro. Il valore soglia identificato (SIRI > 1.222) potrebbe, in futuro, diventare un riferimento clinico utile.
Ovviamente, la strada è ancora lunga. Servono studi longitudinali, che seguano i pazienti nel tempo misurando ripetutamente il SIRI, e studi che includano dati clinici dettagliati per confermare questi risultati e capire meglio i meccanismi sottostanti. E, soprattutto, servono trial clinici per vedere se intervenire per abbassare il SIRI possa davvero migliorare la sopravvivenza.
Per ora, teniamo d’occhio questo SIRI: potrebbe essere una piccola sigla con un grande potenziale per aiutare chi ha vinto la battaglia contro il cancro a vivere più a lungo e meglio.
Fonte: Springer
