Una persona di mezza età, dall'aspetto sano, sorride mentre tiene in mano una mela verde e un metro da sarta, con un grafico astratto che simboleggia l'indice di rotondità corporea (BRI) e la salute intestinale sullo sfondo. L'immagine è un ritratto, scattata con un obiettivo da 35mm, con una leggera profondità di campo per mettere a fuoco il soggetto e gli oggetti che tiene, usando una palette di colori duotone verde e grigio per un look moderno e pulito.

Pancia Rotonda, Intestino Felice? La Sorprendente Verità sulla Stitichezza e l’Indice di Rotondità Corporea

Amici lettori, preparatevi perché oggi vi parlo di una scoperta che, lo ammetto, mi ha fatto strabuzzare gli occhi! Siamo abituati a pensare che certi parametri fisici siano sempre e solo indicatori di problemi, ma a volte la scienza ci sorprende con delle associazioni inaspettate. Avete mai sentito parlare dell’Indice di Rotondità Corporea (BRI)? No? Beh, mettetevi comodi, perché sembra che questo numeretto possa dirci qualcosa di molto interessante sulla… stitichezza! Sì, avete capito bene.

Recentemente mi sono imbattuto in uno studio intitolato “Negative association between body roundness index and constipation: insights from NHANES” e la curiosità mi ha divorato. In pratica, i ricercatori hanno voluto vederci chiaro sulla relazione tra questo BRI e la tendenza a soffrire di stipsi, usando i dati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) degli Stati Uniti. E i risultati, ve lo anticipo, sono piuttosto controintuitivi.

Ma cos’è esattamente la stitichezza?

Prima di addentrarci nei meandri dello studio, rinfreschiamoci la memoria. La stitichezza, o stipsi che dir si voglia, è un disturbo gastrointestinale piuttosto comune. L’Organizzazione Mondiale di Gastroenterologia (WGO) la definisce come una ridotta frequenza di evacuazione (meno di tre volte a settimana), difficoltà nell’espellere le feci o una sensazione di evacuazione incompleta. Non è solo un fastidio fisico, intendiamoci: può impattare negativamente sulla qualità della vita, sull’umore e persino sulle nostre interazioni sociali, oltre a rappresentare un bel peso per i sistemi sanitari. Si stima che circa il 15% della popolazione mondiale ne soffra, un numero in continua crescita.

Sappiamo che tanti fattori possono contribuire alla stitichezza:

  • Genere femminile
  • Età avanzata
  • Basso reddito e livello di istruzione
  • Sedentarietà
  • Uso di certi farmaci
  • Dieta povera di fibre
  • Scarsa idratazione
  • Consumo frequente di cibo spazzatura

E, tra questi, l’obesità è spesso chiamata in causa come fattore di rischio modificabile. Ma è davvero così semplice?

Entra in scena il BRI: un nuovo modo di guardarci

Qui le cose si fanno interessanti. L’obesità, definita classicamente con un Indice di Massa Corporea (IMC o BMI) pari o superiore a 30 kg/m², è un problema di salute pubblica globale. L’IMC, però, ha un limite: ci dice quanto pesiamo in relazione all’altezza, ma non ci dà informazioni su come il grasso è distribuito nel nostro corpo. E sappiamo bene che non tutto il grasso è uguale, soprattutto quando si parla di rischi per la salute.

Ecco che nel 2013 è stato proposto il Body Roundness Index (BRI). Questo indice è uno strumento più nuovo e, per certi versi, più furbo. Non si limita a peso e altezza, ma tiene conto anche della circonferenza vita, offrendo una stima più accurata della percentuale di grasso corporeo e, soprattutto, del grasso viscerale (quello che si accumula attorno agli organi interni, per intenderci). Il BRI, quindi, sembra avere una marcia in più rispetto all’IMC nel valutare la distribuzione del grasso e i rischi di malattie cardiovascolari, diabete e sindrome metabolica. Ma che dire della sua relazione con i disturbi gastrointestinali come la stitichezza? Finora, buio pesto.

La ricerca che ribalta le carte: cosa ci dice lo studio NHANES?

Lo studio in questione ha analizzato i dati di ben 12.732 partecipanti adulti (età pari o superiore a 20 anni) raccolti tra il 2005 e il 2010 tramite l’NHANES. La stitichezza è stata diagnosticata basandosi sulla Scala delle Feci di Bristol (Bristol Stool Form Scale – BSFS), dove feci di tipo 1 (palline dure separate) o tipo 2 (a forma di salsiccia, ma grumose) indicavano stitichezza, oppure sulla frequenza di evacuazione (meno di tre volte a settimana).

Ebbene, tenetevi forte: i ricercatori hanno osservato una correlazione negativa tra il BRI e la prevalenza di stitichezza. In parole povere? Più alto era il BRI (quindi, una maggiore “rotondità” corporea, soprattutto a livello addominale), minore era il rischio di soffrire di stitichezza. Dopo aver aggiustato i dati per tenere conto di tutti i possibili fattori confondenti (età, sesso, etnia, stato civile, livello di istruzione, reddito, fumo, alcol, ipertensione, malattie cardiovascolari e diabete), il risultato è rimasto solido: per ogni aumento di un’unità nel BRI, il rischio di stitichezza diminuiva del 13% (odds ratio aggiustato di 0.87).

Quando i partecipanti sono stati divisi in quattro gruppi (quartili) in base al loro BRI, quelli nel terzo e quarto quartile (cioè con BRI più alto) mostravano un rischio significativamente ridotto di stitichezza rispetto a quelli nel primo quartile (BRI più basso). Addirittura, un modello statistico più sofisticato (regressione con spline cubiche ristrette) ha confermato una relazione lineare inversa: all’aumentare del BRI, il rischio di stitichezza scendeva in modo progressivo. Sembra un paradosso, vero? Ci si aspetterebbe quasi il contrario!

Illustrazione scientifica che mostra la silhouette di un corpo umano con evidenziata l'area addominale e l'indice BRI, accanto a un grafico che indica una correlazione inversa con la stitichezza. Macro lens, 80mm, high detail, controlled lighting.

Le analisi per sottogruppi hanno poi rivelato delle interazioni interessanti. L’effetto del BRI sulla stitichezza sembrava essere modulato dall’età, dal consumo di alcol e dalla presenza di ipertensione. E anche dopo un’ulteriore analisi statistica chiamata “propensity score matching” (che cerca di appaiare persone con e senza stitichezza che abbiano caratteristiche di base simili), i pazienti con stitichezza mostravano comunque livelli di BRI significativamente più bassi rispetto a quelli che non ne soffrivano.

Ma perché questa associazione inversa? I possibili meccanismi

Ora, la domanda da un milione di dollari è: perché? Perché persone con una maggiore rotondità corporea, indice di più grasso addominale, dovrebbero essere meno stitiche? Lo studio non dà risposte definitive, ma avanza alcune ipotesi affascinanti, anche se a prima vista sembrano un po’ un rompicapo.

Una prima via potrebbe riguardare il microbiota intestinale. Sappiamo che l’obesità è spesso correlata a una disbiosi, cioè un’alterazione della flora batterica intestinale. Paradossalmente, alcune di queste alterazioni, con la crescita eccessiva di batteri patogeni, potrebbero predisporre più a disturbi diarroici (come nelle malattie infiammatorie croniche intestinali) che alla stitichezza. Inoltre, fattori psicosociali (ansia, depressione), più comuni nelle popolazioni giovani, potrebbero legarsi ad alterazioni precoci del microbiota, con una ridotta diversità batterica che potrebbe contribuire allo sviluppo della stitichezza. Questo si allineerebbe con il rischio più elevato osservato in alcune coorti pediatriche.

Un’altra pista riguarda l’alcol. Il consumo cronico di alcol può indurre un’aggregazione patologica di una proteina chiamata alfa-sinucleina (SNCA) sia nel sistema nervoso centrale che in quello enterico (quello dell’intestino). Questa proteina può propagarsi lungo l’asse intestino-cervello, causando disfunzioni dopaminergiche che disturbano la regolazione neurale della motilità intestinale, manifestandosi con una ridotta frequenza peristaltica. Questo meccanismo è stato corroborato in modelli animali.

Infine, l’ipertensione. I pazienti ipertesi mostrano spesso un rapporto alterato tra due grandi famiglie di batteri intestinali (Firmicutes e Bacteroidetes), indice di disbiosi. Questa disbiosi interagisce con la patologia intestinale, la permeabilità intestinale e l’asse intestino-cervello, promuovendo un’infiammazione enterica che, in modo un po’ controintuitivo, è stata associata a una ridotta incidenza di stitichezza.

Insomma, un bel guazzabuglio di meccanismi che, insieme, potrebbero spiegare questa relazione inversa tra BRI e rischio di stitichezza.

Un quadro complesso: obesità, stitichezza e altri fattori

È importante sottolineare che la relazione tra obesità (generalmente misurata con l’IMC) e stitichezza è ancora molto dibattuta. Alcuni studi non trovano correlazioni, altri sì, soprattutto in popolazioni specifiche o a seconda delle soglie di IMC considerate. Per esempio, uno studio ha rivelato una relazione non lineare in cui il rischio di stitichezza diminuiva con l’aumentare dell’IMC fino a un certo punto (circa 28 kg/m²), per poi aumentare bruscamente oltre questa soglia. Altri studi ancora suggeriscono che le persone sottopeso siano più inclini alla stitichezza, e alcuni lavori indicano addirittura che l’obesità negli adulti riduca il rischio di stipsi.

Queste discrepanze evidenziano quanto sia cruciale il modo in cui si valuta l’obesità e come si stratifica la popolazione. Il BRI, offrendo una prospettiva diversa sulla distribuzione del grasso, potrebbe proprio aiutarci a dipanare questa matassa.

Lo studio ha anche confermato che fattori socio-economici e razziali giocano un ruolo. Nel gruppo con stitichezza, c’erano proporzioni significativamente più alte di:

  • Donne
  • Persone di etnia afroamericana
  • Individui con un basso livello di istruzione
  • Persone con basso reddito familiare
  • Persone non in coppia (vedove/divorziate/separate/mai sposate)

Questi dati sono coerenti con la teoria dei determinanti sociali della salute, suggerendo che il rischio di stitichezza non è solo una questione biologica, ma è fortemente influenzato anche dallo status socioeconomico e da altri fattori contestuali.

Infografica che mostra i diversi fattori che influenzano la stitichezza, inclusi dieta, idratazione, attività fisica, e fattori socio-economici. Macro lens, 100mm, high detail, precise focusing.

Un passo avanti, ma con qualche “ma”

Come ogni studio scientifico che si rispetti, anche questo ha le sue limitazioni. Essendo uno studio trasversale (cioè che fotografa la situazione in un dato momento), non può stabilire un rapporto di causa-effetto tra BRI e stitichezza. Serviranno studi longitudinali (che seguono le persone nel tempo) per confermarlo. Inoltre, i dati provengono da un campione statunitense, quindi generalizzare i risultati a popolazioni africane o asiatiche potrebbe essere azzardato. La definizione di stitichezza si basava in gran parte su dati auto-riferiti dai pazienti, il che potrebbe introdurre qualche distorsione. E, ovviamente, non tutti i possibili fattori confondenti (come la composizione del microbiota, malformazioni congenite, chirurgia digestiva o espressione genica) sono stati inclusi nell’analisi, per limiti del database.

Quindi, cosa ci portiamo a casa?

Nonostante i “ma”, questo studio è il primo a esplorare sistematicamente l’associazione tra BRI e stitichezza usando un database così ampio e ricco come NHANES. La scoperta di una significativa associazione negativa, con una relazione dose-risposta lineare, è decisamente intrigante. Suggerisce che mantenere una distribuzione del grasso corporeo “appropriata” (che, in questo contesto, sembra implicare un BRI non troppo basso) potrebbe aiutare a prevenire la stitichezza.

Certo, non sto dicendo “mettiamoci tutti all’ingrasso per andare meglio di corpo!”, sarebbe un’interpretazione folle e dannosa. Piuttosto, questo studio apre una nuova prospettiva sui meccanismi della disfunzione gastrointestinale legata all’obesità (o meglio, alla distribuzione del grasso) e sottolinea l’importanza di non fermarsi al solo IMC quando valutiamo lo stato di salute di una persona. Il BRI si conferma uno strumento promettente, capace di cogliere sfumature che altri indici più tradizionali potrebbero perdere.

La strada è ancora lunga: serviranno coorti prospettiche per validare questi risultati e ulteriori ricerche per svelare i meccanismi biologici sottostanti. Ma una cosa è certa: il nostro corpo è una macchina incredibilmente complessa e le relazioni tra le sue parti non smettono mai di sorprenderci. E io, da curioso cronico, non vedo l’ora di scoprire cosa ci riserverà la prossima ricerca!

Fonte: Springer

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