Grasso Viscerale e Cancro: L’Indice Cinese CVAI Batte Tutti per Prevedere il Rischio!
Ciao a tutti, amici della scienza e della salute! Oggi voglio parlarvi di una scoperta che mi ha davvero incuriosito e che, secondo me, potrebbe cambiare il modo in cui guardiamo al grasso corporeo, soprattutto quello più insidioso: il grasso viscerale. Sì, quella “pancetta interna” che si accumula attorno ai nostri organi e che, a quanto pare, è una spia molto più eloquente di quanto pensassimo per il rischio di cancro.
Recentemente, mi sono imbattuto in uno studio prospettico chiamato “MJ cohort study”, condotto su una popolazione cinese a Taiwan, che ha messo a confronto diversi indici di obesità per vedere quale fosse il migliore nel predire l’incidenza generale di cancro. E indovinate un po’? Un indice relativamente nuovo, il Chinese Visceral Adiposity Index (CVAI), ha sbaragliato la concorrenza!
Ma cos’è questo CVAI e perché è così speciale?
Prima di tuffarci nei risultati, facciamo un passo indietro. Sappiamo da tempo che l’obesità è un fattore di rischio per molte malattie croniche, inclusi ben 13 tipi di cancro secondo l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro. Il problema è che non tutto il grasso è uguale. Il grasso viscerale (VAT), quello che si deposita profondamente nell’addome, sembra essere particolarmente pericoloso perché può creare un ambiente ormonale, metabolico e infiammatorio che favorisce lo sviluppo dei tumori.
Per misurare il grasso viscerale, clinicamente si usano spesso la risonanza magnetica (MRI) o la tomografia computerizzata (CT), ma capite bene che non sono esami da fare tutti i giorni o su larga scala. Così, si ricorre a metodi più semplici come la misurazione della circonferenza vita (WC) o il rapporto vita-fianchi (WHR). Questi, però, non distinguono bene tra grasso viscerale e grasso sottocutaneo del tronco.
Ecco che entrano in gioco indici più sofisticati come il Visceral Adiposity Index (VAI), sviluppato su una popolazione italiana, e il Lipid Accumulation Product (LAP), basato su dati brasiliani. Buoni, certo, ma forse non perfetti per tutti. Ed è qui che il CVAI fa la sua entrata trionfale. Questo indice è stato sviluppato tenendo conto specificamente delle caratteristiche della distribuzione del grasso corporeo nelle popolazioni asiatiche. Il CVAI integra età, circonferenza vita, indice di massa corporea (BMI) e livelli di lipidi nel sangue (trigliceridi e colesterolo HDL), ed è stato confermato dalla CT per la sua rilevanza con il grasso viscerale. Già si era dimostrato bravo a predire diabete di tipo 2, ipertensione e altre malattie croniche, a volte superando BMI, WC e WHR. La domanda era: sarà così bravo anche con il cancro?
Lo studio MJ Cohort: numeri da capogiro!
I ricercatori hanno analizzato i dati di ben 332.297 individui della coorte MJ di Taiwan, seguiti in media per 6.7 anni (tra il 1996 e il 2007). Un campione enorme! Hanno calcolato il CVAI, il VAI, il LAP, la WC e il WHR per ciascun partecipante all’inizio dello studio e poi hanno monitorato l’insorgenza di nuovi casi di cancro.
I risultati sono stati piuttosto netti. Un CVAI più alto era costantemente associato a una maggiore incidenza generale di cancro. Pensate che, confrontando chi aveva il CVAI più alto (quinto quintile) con chi lo aveva più basso (primo quintile), il rischio aumentava del 45% negli uomini (Hazard Ratio, HR: 1.45) e addirittura del 103% nelle donne (HR: 2.03)! Un aumento più che doppio per le donne, pazzesco!

E gli altri indici? Beh, la circonferenza vita (WC) mostrava un aumento del rischio del 27% negli uomini e del 19% nelle donne. Il rapporto vita-fianchi (WHR) era significativo solo per gli uomini (rischio aumentato del 28%). Il LAP lo era solo per le donne (rischio aumentato del 25%). E il VAI? Sorprendentemente, non è risultato associato a un aumento significativo del rischio generale di cancro in questo studio.
Quindi, il CVAI non solo ha mostrato un’associazione forte, ma anche una relazione “dose-risposta”: più alto il CVAI, più alto il rischio, in modo progressivo. Questo lo rende un candidato eccellente come biomarcatore clinico.
Non solo rischio generale, ma anche tipi specifici di cancro
Ma non è finita qui! Lo studio ha anche esaminato l’associazione con specifici tipi di cancro. E anche qui, il CVAI ha dato indicazioni interessanti:
- Negli uomini, un CVAI elevato era legato a un rischio maggiore di cancro del colon-retto (HR: 2.81, quasi il triplo!) e di cancro orale (HR: 3.44, più che triplicato!).
- Nelle donne, un CVAI alto si associava a un rischio maggiore di cancro al seno (HR: 2.85) e, tenetevi forte, di cancro dell’utero con un HR sbalorditivo di 34.25! Certo, quest’ultimo dato va preso con le pinze per l’ampio intervallo di confidenza, ma indica una tendenza molto forte.
Anche WC e WHR hanno mostrato associazioni con alcuni tumori specifici, come quello del polmone o del colon-retto, ma i risultati erano un po’ più variabili e, curiosamente, a volte mostravano un’associazione negativa con il cancro al seno nelle donne (per WC e WHR), il che suggerisce che per le donne in premenopausa (l’età media del campione era 40.3 anni) questi indici potrebbero non essere i più adatti per valutare il rischio legato all’adiposità.
Fumo, alcol e differenze di genere
Un altro aspetto affascinante emerso è l’interazione con il fumo. Negli uomini, l’associazione tra CVAI (ma anche WC e WHR) e rischio di cancro era più evidente tra i fumatori (attuali o ex). Nelle donne, invece, questa interazione non è stata osservata. I ricercatori ipotizzano che gli estrogeni endogeni nelle donne (molte delle quali erano in premenopausa) potrebbero attenuare l’impatto dell’adiposità viscerale, modulando le adipochine (sostanze prodotte dal grasso) e riducendo l’infiammazione. Il grasso viscerale, infatti, promuove la carcinogenesi secernendo citochine pro-infiammatorie, che potrebbero interagire con i danni al DNA indotti dal fumo, amplificando il rischio di cancro, soprattutto negli uomini.
Perché il CVAI sembra vincere?
Il CVAI, essendo stato calibrato sulle caratteristiche della popolazione asiatica e includendo l’età (un fattore di rischio importante di per sé), sembra catturare meglio la “pericolosità” del grasso viscerale in questo contesto etnico rispetto a indici sviluppati su popolazioni occidentali o a semplici misurazioni antropometriche.

Certo, lo studio ha i suoi limiti, come ammettono gli stessi autori. Non c’è stato un confronto diretto con i dati di imaging (MRI o CT), che restano il gold standard, e i risultati, basati su individui cinesi con uno status socioeconomico tendenzialmente più alto che si sottopongono a check-up regolari, potrebbero non essere generalizzabili ad altri gruppi etnici o socioeconomici.
Cosa ci portiamo a casa?
Nonostante i limiti, questo studio è un tassello importante. Ci dice che, almeno nella popolazione cinese, il CVAI è uno strumento promettente e pratico per la valutazione del rischio di cancro negli ambulatori e durante i controlli di routine. È un passo avanti per identificare precocemente le persone a maggior rischio e, magari, intervenire con strategie preventive mirate.
Insomma, la battaglia contro il cancro passa anche dalla comprensione di come il nostro corpo accumula grasso e di quali siano gli indicatori più affidabili. E il CVAI, in questo, sembra davvero una freccia in più al nostro arco. Sarà interessante vedere se future ricerche confermeranno la sua validità anche in altre popolazioni!
Alla prossima scoperta!
Fonte: Springer
