Incendi Devastanti: Quando il Meteo Impazzisce, la Struttura del Bosco Conta Ancora?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che, purtroppo, sta diventando sempre più scottante: gli incendi boschivi estremi. Sapete, quelli che vediamo sempre più spesso divorare ettari su ettari di foreste, con fiamme che sembrano indomabili. Mi sono sempre chiesto: ma cosa determina veramente la gravità di questi mostri di fuoco? È solo colpa del tipo di alberi o della macchia presente, o c’è dell’altro? Bene, mi sono imbattuto in uno studio affascinante che ha cercato di rispondere proprio a questa domanda, analizzando due eventi catastrofici avvenuti nel nord-ovest della Spagna nel 2022. E le scoperte, ve lo dico subito, sono piuttosto sorprendenti e ci danno parecchio su cui riflettere.
Un Pianeta che Brucia: L’Era degli Incendi Estremi
Prima di tuffarci nei dettagli, facciamo un passo indietro. Viviamo in un’epoca in cui gli eventi climatici estremi sono all’ordine del giorno, e gli incendi non fanno eccezione. Il bacino del Mediterraneo, con il suo mix di abbandono delle aree rurali, proliferazione di piantagioni forestali non gestite e, naturalmente, i cambiamenti climatici, sta vedendo i suoi regimi di incendio cambiare drasticamente. Parliamo di incendi più vasti, più intensi, più frequenti. Questi “super incendi”, o Extreme Wildfire Events (EWEs) come li chiamano gli scienziati, sono eventi piroconvettivi che sfuggono a ogni capacità di controllo, con un’intensità di fiamma pazzesca (pensate a oltre 10.000 kWm-1!), una velocità di propagazione rapidissima (oltre 50 metri al minuto!) e la capacità di lanciare tizzoni ardenti a più di un chilometro di distanza. Immaginate la scena: è come avere a che fare con un drago inferocito!
L’esito? Aree enormi bruciate con una severità tale da compromettere la capacità di recupero degli ecosistemi. Le piante faticano a ricrescere, la diversità delle specie crolla, il suolo si degrada, le risorse idriche ne risentono e la fauna selvatica subisce impatti devastanti. Insomma, un vero e proprio disastro ecologico ed economico.
Sotto la Lente: Due Incendi Spagnoli da Record
Lo studio che ho analizzato si è concentrato su due incendi particolarmente violenti avvenuti nell’estate del 2022 nella provincia di Zamora, in Spagna: l’incendio della Sierra de la Culebra (oltre 28.000 ettari bruciati a giugno) e quello di Losacio (quasi 31.500 ettari tra luglio e agosto), che ha addirittura raggiunto l’area già percorsa dal primo. Insieme, hanno mandato in fumo quasi il 50% di un’area protetta di grande valore ecologico. Pensate che questi eventi sono stati accompagnati da ondate di calore e una siccità estrema, la peggiore degli ultimi 500 anni in Europa meridionale! Le condizioni erano, a dir poco, apocalittiche.
I ricercatori hanno usato dati satellitari (Sentinel-2, per i più curiosi) per calcolare un indice chiamato dNBR-EVI, che è un po’ come un termometro della severità dell’incendio, misurando quanta biomassa è stata consumata. Poi, hanno messo in campo l’artiglieria pesante: dati LiDAR aviotrasportati. Il LiDAR è una tecnologia fichissima che, sparando impulsi laser verso il suolo, permette di creare mappe 3D dettagliatissime della vegetazione, rivelando la densità del combustibile a diverse altezze, dalla lettiera alla cima degli alberi. Hanno anche considerato dati meteorologici ad alta risoluzione, in particolare il deficit di pressione di vapore (VPD), che ci dice quanto è secca l’aria e, di conseguenza, il combustibile fine morto (come foglie secche e rametti). Infine, hanno aggiunto dati topografici (altitudine, pendenza, ecc.).
L’obiettivo era capire il peso relativo di tutti questi fattori – tipo e struttura del combustibile, condizioni meteo e topografia – nel determinare la severità dell’incendio. E per farlo, hanno usato un algoritmo di machine learning chiamato Random Forest, che è bravissimo a districarsi tra relazioni complesse e a capire cosa conta davvero.
Le Sorprese dal Modello: Quando il Meteo Prende il Sopravvento
Ebbene, i risultati sono stati illuminanti! Il modello Random Forest è riuscito a spiegare la variabilità spaziale della severità dell’incendio con un’accuratezza molto alta (un R2 di 0.81, per chi mastica di statistica). Ma quali sono stati i protagonisti?
- Le metriche derivate dal LiDAR, quelle che descrivono la densità del combustibile a livello del suolo, degli arbusti (i cosiddetti “combustibili scala” che portano il fuoco alle chiome) e delle chiome stesse, sono risultate cruciali.
- Il VPD, il nostro indicatore di secchezza, ha giocato un ruolo da leone.
- Il tipo di vegetazione ha fatto la sua parte: le foreste di conifere hanno mostrato la severità più alta. Questo perché tendono ad avere carichi di combustibile strutturalmente omogenei su più strati, il che favorisce la propagazione del fuoco sia al suolo che tra le chiome. Al contrario, le foreste dominate da latifoglie e i paesaggi a mosaico con aree agricole hanno mostrato una severità inferiore, confermando il loro potenziale nel moderare il comportamento del fuoco.
- E la topografia? Beh, ha contribuito un po’, ma è risultata relativamente meno importante in questi due eventi estremi.
Ma ecco il colpo di scena: in condizioni di estrema siccità (VPD molto alto), la severità dell’incendio ha mostrato una scarsa sensibilità alle variazioni dei parametri del combustibile. In pratica, quando il meteo diventa davvero infernale, sembra quasi che non importi più di tanto come è fatto il bosco: il fuoco devasta comunque con grande intensità. È come se le condizioni atmosferiche estreme “bypassassero” le difese naturali o quelle create dalla gestione forestale. Questo è un punto cruciale, perché ci dice che le strategie mirate solo a ridurre il carico di combustibile potrebbero non essere efficaci in questi scenari apocalittici.
D’altro canto, con valori di VPD da bassi a moderati, una severità elevata è stata osservata quando era presente un accumulo e una disposizione di combustibile molto pericolosi. Quindi, in condizioni “normali” o “moderatamente avverse”, la gestione del combustibile fa eccome la differenza!
Cosa Significa Tutto Questo per Noi?
Questi risultati, amici miei, sono un campanello d’allarme. Sottolineano la necessità di una gestione mirata del combustibile, soprattutto nelle foreste di conifere e nelle aree a macchia, per mitigare gli impatti ecologici e socio-economici di un regime di incendi sempre più intenso. Pensiamo a diradamenti selettivi, alla creazione di fasce tagliafuoco “verdi” con specie meno infiammabili, o alla promozione di boschi misti con una maggiore presenza di latifoglie, che si sono dimostrate più resilienti.
Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli che, di fronte a condizioni meteorologiche estreme – quelle che purtroppo il cambiamento climatico renderà sempre più frequenti – anche il bosco meglio gestito potrebbe trovarsi in seria difficoltà. Questo non significa che la gestione forestale sia inutile, anzi! Significa che dobbiamo integrarla con altre strategie, come una pianificazione territoriale più attenta, sistemi di allerta precoce più efficaci e, soprattutto, un impegno serio e globale per contrastare il cambiamento climatico alla radice.
Lo studio ha anche evidenziato la potenza delle nuove tecnologie. L’uso del LiDAR per caratterizzare la struttura tridimensionale del combustibile a una scala così fine è un passo avanti enorme. Immaginate di poter “vedere” con precisione millimetrica dove si annidano i rischi maggiori e intervenire in modo chirurgico! E l’uso di indici come il dNBR-EVI, che combinano informazioni spettrali in modo più sofisticato, permette valutazioni della severità più accurate.
È interessante notare come, nelle foreste, la severità dell’incendio fosse maggiore in popolamenti con alta continuità orizzontale del combustibile e alta complessità verticale. Questo suggerisce che una grande quantità di combustibile superficiale più alto (tra 0.6 e 2 metri) e la presenza di “combustibili scala” (tra 2 e 4 metri, o la densità di combustibile nella zona oligofotica, cioè quella meno illuminata della chioma) siano determinanti. Allo stesso modo, un’alta continuità del combustibile in chioma (misurata con indici come LAI o la profondità della zona eufotica, quella ben illuminata) era legata a una maggiore severità. Al contrario, aree con discontinuità nelle chiome e alta variabilità nella struttura verticale erano associate a una severità inferiore.
Un altro aspetto emerso è l’importanza dei “ladder fuels”, i combustibili scala. Nelle foreste analizzate, le severità più alte si sono verificate solo quando sia la densità dei combustibili scala sia quella dei combustibili in chioma erano elevate. Questo ci dice che interrompere la continuità verticale del combustibile è una strategia chiave per prevenire che un incendio di superficie diventi un incendio di chioma, molto più distruttivo e difficile da controllare.
Uno Sguardo al Futuro e alle Sfide Aperte
Certo, questo è uno studio di caso, focalizzato su due eventi specifici. Sarebbe importantissimo confermare questi risultati su un numero maggiore di incendi estremi, in biomi diversi, magari usando dati LiDAR globali come quelli del progetto GEDI della NASA, che è a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. E se in futuro avessimo a disposizione dati LiDAR nazionali ad altissima densità di impulsi, potremmo spingerci ancora oltre, identificando vuoti nella chioma, strati di combustibile non continui e la distanza verticale tra di essi a livello di singolo albero! Questo permetterebbe una caratterizzazione ancora più accurata dell’accumulo di combustibile.
In conclusione, quello che mi porto a casa da questa lettura è che la lotta contro gli incendi boschivi è una partita complessa, giocata su più fronti. La struttura del combustibile conta, eccome, e la sua gestione è fondamentale. Ma non possiamo illuderci: quando il meteo decide di scatenare l’inferno, con siccità e temperature record, le nostre armi potrebbero spuntarsi. È un monito a non abbassare la guardia e a investire sempre di più in ricerca, prevenzione e, soprattutto, in azioni concrete per un futuro più sostenibile e meno infuocato.
Alla prossima!
Fonte: Springer